Continua a marciare spedito il prezzo del grano, che nell'ultima settimana è schizzato di oltre il 6%. Un incremento che è diretta conseguenza del Covid-19. Infatti la diffusione della pandemia se da un lato ha scosso i mercati finanziari e azionari, dall'altra ha dato una spinta fortissima a quello dei beni di prima necessità, soprattutto i prodotti agricoli.
La spinta al prezzo del grano
Nei paesi occidentali si è assistito ad una tendenza all’accaparramento, che ha spinto a raddoppiare gli acquisti di prodotti come farina (+99,5%), pasta di semola (+45%). Per questo motivo la Russia ha voluto addirittura mettere un limite al proprio export, innescando una nuova spinta rialzista ai prezzo del grano. A Mosca addirittura il prezzo per tonnellata è diventato più alto di quello del petrolio (13270 rubli contro i 12850 di quello dell'oro nero). Altri paesi hanno adottato provvedimenti simili. Il Kazakistan ha bloccato le esportazioni di farina di grano e imposto restrizioni anche per quelle di grano saraceno, cipolle, carote e patate. Il Vietnam, terzo esportatore di riso al mondo, ha sospeso i relativi contratti.
Secondo gli esperti peraltro, al CBOT (ovvero il Chicago Bord of Trade, riferimento mondiale delle materie prime agricole) il prezzo continuerà ancora a crescere. Ma questa forte tendenza all'aumento riguarda tutti i beni agricoli, la cui disponibilità è divenuta di importanza strategica per tutte le economie Nazionali. Basta prendere una qualsiasi migliore piattaforma trading gratis per vederlo. Oltre al grano infatti, anche la soia è salita di circa il 2%, mentre il mais ha incrementato il valore dello 0,7% durante l’ultima settimana. L'olio di soia è salito del 4,65.
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La posizione dell'Italia
Per quanto riguarda il nostro Paese, va sottolineato che siamo primi in Europa e secondi al mondo nella produzione di grano duro destinato alla pasta, ma siamo anche un paese che importa tantissimo grano dall'estero (circa il 30% del fabbisogno). Una tandenza che è cresciuta soprattutto dopo l'intesa commerciale con il Canada, dove peraltro non vengono adottate le stesse stringenti norme di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese (cominciando dall'utilizzo del glifosato).