L'anno è cominciato benissimo per il rublo russo, che aveva anche concluso bene il 2019, durante il quale aveva segnato un +10,5%. A premiare la moneta di Mosca è stato soprattutto l’andamento delle quotazioni del Brent, che ha beneficiato del clima di tensione tra USA e Iran.
Ma un sostegno è arrivato anche dall'impennata dell'oro, metallo prezioso custodito in grandi quantità nella banca centrale russa. La Russia sta accumulando lingotti negli ultimi anni, nel tentativo di ridurre la dipendenza della sua economia dal dollaro USA. La crescente scorta fornirebbe probabilmente alla Russia una maggiore influenza all'interno dell'OPEC e stabilizzerebbe la sua valuta nazionale, il rublo, anche in caso di crollo dei prezzi del petrolio secondo le previsioni degli esperti.
Rublo sprint contro dollaro ed euro
La valuta moscovita ha raggiunto i massimi contro il dollaro americano dallo scorso mese di maggio, a quota 61,25, con gli indicatori lagging (cosa sono?) che puntano su un ulteriore apprezzamento del rublo. Adesso la coppia si prepara a testare la trendline di lungo periodo costruita sui minimi decrescenti, che se infranta potrebbe aprire a scenari molto interessanti. Anche la coppia euro-rublo ha aggiornato i minimi da gennaio 2018. Il miglioramento del cambio inoltre spinge al ribasso i rendimenti sovrani, a sua volta indice degli afflussi di capitali esteri.
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Gli effetti dell'apprezzamento del Rublo
L'apprezzamento del rublo ha un altro effetto importante per la Russia. Infatti abbassa i costi dei beni importati, riducendo i tassi d’inflazione e dando così modo alla banca centrale moscovita di di poter agire in modo più sostenuto sui tassi d’interesse, che sono stati tagliati al 6,25% a dicembre e si confrontano con un’inflazione al 3% a dicembre, in calo dall’oltre il 5% dei primi mesi del 2019. Questo vuol dire che la Banca centrale può tagliare ancora i tassi, senza temere ripercussioni sul cambio.
E' pur vero che il clima che si è innescato in Medioriente è una medaglia a due facce per la Russia. Se da un lato ha spinto le quotazioni petrolifere, alimentando i ricavi delle esportazioni russe, dall’altro però rischia di mettere a rischio i rapporti tra Mosca e Washington, già sotto pressione per via delle sanzioni sull’occupazione della Crimea.