Se il mese di settembre è stato pessimo per le prospettive di inflazione, a causa della corsa senza freno del prezzo del petrolio, la paura della recessione si è dimostrata ancora più forte del mercato, spingendo giù il barile di 10 dollari in pochi giorni.
E' concreto il rischio di recessione?
Il prezzo del barile di oro nero aveva cominciato a correre con forza dopo la decisione di Arabia Saudita e Russia, i due paesi leader dell'OPEC+, di estendere i tagli volontari alla produzione fino alla fine dell'anno. Secondo alcune stime, quella mossa avrebbe potuto innescare un deficit dell'offerta di circa 3 milioni di barili. Meno barili sul mercato, significa prezzo più alto da pagare per quelli che ci sono.
Da quel momento era partita una corsa senza freni del prezzo dei due benchmark (l'europeo Brent e il texano WTI), che erano arrivati verso i 95 dollari. Gli strumenti tecnici come il Keltner channel, per la volatilità, evidenziavano picchi mai visti di recente. Ma la paura di una recessione economica ha cambiato di nuovo lo scenario.
Economia in crisi significa calo della domanda
L'inizio del mese di ottobre ha infatti riportato con forza alla ribalta l'aggressività delle banche centrali. A cominciare dalla FED, i policy makers hanno ribadito l'intenzione di non fermare la lotta contro l'alta inflazione, a costo di spingere le economie in recessione.
Questa convinzione ha però finito per deprimere la prospettive della domanda di carburante. E così dopo un mese di rialzi, il prezzo del petrolio è precipitato di 10 dollari in pochi giorni. Il Brent è arrivato scambiare a Londra poco al di sopra gli 84 dollari dai broker stp ecn, e nella giornata di mercoledì 4 ottobre la flessione aveva superato il 5%, configurando il calo giornaliero più forte da oltre un anno.
Circolo virtuoso o vizioso
Se la discesa delle quotazioni dovesse consolidarsi, il costo del carburante calerebbe a sua volta, ed a cascata anche quelli dell'energia. In generale si attenuerebbero le pressioni inflazionistiche, fattore che potrebbe ammorbidire le banche centrali, che al momento sembrano accettare il pericolo di spedire l'economia in recessione.