Claudio, cominciamo da lei. Gruppobea sta continuando a correre seguendo le evoluzioni del mercato. In questi mesi avete assunto ancora, attingendo dalla scuola attraverso il percorso del tirocinio curriculare e dell’apprendistato di I Livello. Una promozione scolastica, dunque, vale una assunzione?
Sì, dopo l’esperienza positiva extracurriculare fatta con lo IED, che ci ha permesso di assumere 4 neo laureati, per la quinta volta uno studente di un istituto superiore entra nella nostra azienda attraverso un apprendistato di primo livello. Con Galdus, ma anche con altre scuole, abbiamo creato una rete divenuta una fucina formativa capace di valorizzare talenti che cresceranno giorno dopo giorno in questa famiglia.
È una visione complessa?
Sì. Molto. Qualche settimana fa mi è capitato di ascoltare il responsabile di una società di servizi che ha sostenuto quanto fosse difficile investire sui giovani mancanti di esperienza. Ricordo il suo tono stanco: “troppo tempo, troppi soldi, troppa energia. Troppe brutte figure.” Era tutto “troppo”, e per lui sarebbe stato meglio puntare su chi avesse avuto anni di esperienza tali da poter soddisfare il bisogno di urgenza della società per cui lavorava. È stato in quel momento che mi sono detto che non tutti sono sempre disposti a farsi travolgere dall’esperienza gravosa di una crescita, ed ho pensato che se si ha la fortuna di osservare - come è accaduto a noi - una ex stagista, ormai divenuta da 6 anni una dipendente preparatissima, entrare in commissione per valutare uno studente che ha seguito il programma di apprendistato di primo livello, si riesce a sentire addosso qualcosa di diverso: l’ebrezza di un percorso fatto con sacrificio.
Come è andato l’esame?
Direi benissimo. Maria si è diplomata con 100/100 e l’abbiamo appena assunta. Soprattutto, il suo tutor aziendale Mariya Chorney, con il suo lavoro di affiancamento durato 2 anni, ha dimostrato che la bellezza sta nella vicinanza, nella ricerca, nella mutualità, e nella voglia di trasferire quel che in precedenza si è appreso. È stata una grande dimostrazione di maturità, e far parte di tutto questo mi ha emozionato.
Veniamo a lei, Marcello. Può parlarci del programma Galdus, e di come è nata la vostra collaborazione con Gruppobea?
L’obiettivo della scuola professionale Galdus, radicata nel territorio di Milano da più di 20 anni, è aiutare gli studenti a trovare il loro posto nel mondo. La collaborazione inizia con il dialogo e il confronto. Il tema fondamentale è: di che competenze ha bisogno il mondo del lavoro, e come possiamo trasmetterle ai ragazzi per prepararli al meglio? Le risposte concrete, nate in sinergia tra Galdus e Gruppobea, sono state: incontri ed interventi formativi a scuola, curati dall’Azienda stessa, esperienze di tirocinio per toccare con mano la realtà aziendale e immergersi in una quotidianità diversa. Fino all’Apprendistato di primo livello, grazie al quale i nostri ragazzi hanno l’opportunità di raggiungere la qualifica professionale o il diploma di tecnico. Il tutto lavorando, con un contratto vero e proprio, e frequentando contemporaneamente la Scuola. Durante queste esperienze, Azienda e Scuola si confrontano costantemente, grazie a tutor scolastici dedicati, e referenti aziendali specifici per ogni ragazzo. Jonas si occupa della supervisione delle esperienze, e s’impegna in prima persona nella formazione e nell’orientamento dei ragazzi.
Jonas, ha voglia di raccontarci di questo percorso?
Vengo dalla Francia, paese in cui i percorsi professionalizzanti rappresentano ormai la norma. In Italia ci si sta finalmente muovendo in questa direzione, e la Regione Lombardia è molto sensibile rispetto a questo tema. Penso, però, si potrebbe e si dovrebbe fare ancora di più. Ci sono moltissimi freni culturali quando si decide di imboccare questa strada. Iniziare con uno studente mirando unicamente alle sue attitudini e non alla sua esperienza, pare davvero una odissea. Sembra tutto sia tarato per provocare tensione e fatica. Un po’ come se la logica della formazione fosse staccata da qualsiasi logica aziendale. Questo concetto distorto, però - pur causando stress - rappresenta la chiave di volta. Per comprenderlo bisognerebbe immergersi nella visione di un contadino: scavare con fatica, piantare un seme, ed essere disposti a vivere dei cicli. A guardarla così ci verrebbe in mente che, a causa della formazione, si stia togliendo del tempo a noi stessi; ma si tratta semplicemente di fasi. Difficoltose, lunghe, stressanti, non importa. Quello che conta è sapere che ogni volta saremo più elastici. Il nostro pensiero sarà più plastico, e ci convinceremo che è necessario imparare ad ascoltare, sentire, aspettare, capire altri mondi, altre visioni. E, alla fine, come in un piccolo miracolo, scopriremo di avere nel nostro giardino un albero.
Sembra una vera e propria ricetta per la ricerca della unicità. Ricorda un po’ la sintesi del libro di Buscaglia. Vivere amare capirsi.
Ha citato uno dei miei miti! Ho amato quel testo colmo di passione in cui la didattica è anche ricerca creativa, incentivazione della curiosità viva, capacità di mettersi in discussione. Le peculiarità di uno studente, la predisposizione e le sue attitudini, se ben veicolate e potenziate, costituiranno la grande via che fissa il passaggio tra scuola e lavoro
Passo dopo passo.
Esattamente. Si comincia con la predisposizione all’ascolto, condizione essenziale per settare i livelli comunicativi tra il formatore e lo studente. Si usa l’empatia per fissare i perimetri del rapporto. Poi, arrivano le istruzioni; chiare, dirette, disegnate affinché nascano domande utili alla costruzione di un apprendimento. Dagli showroom alla logistica, dall’amministrazione al marketing, Il modo che useremo per comunicare, diventerà la discriminante nel processo formativo.
Quanto conta in tutto questo la fiducia, Claudio?
Ha un peso enorme. La fiducia transita attraverso la comprensione e l’assimilazione delle regole necessarie per fare i primi passi in una nuova dimensione. L’aspettativa passa attraverso il metodo, ed è necessaria una prospettiva legata ai reciproci bisogni e al rispetto vicendevole. Ecco, stabilire questa progressione significa agevolare l’assimilazione di ogni attività dello studente che si sentirà libero di cavalcare la propria curiosità, consapevole che sbagliare è una grande fortuna. D’altronde, chi sbaglia, migliora.
Marcello, nell’Apprendistato di primo livello Quanto Incide la scuola e quanto il lavoro? E come si configura un esame?
Gli Apprendisti sono, contemporaneamente, lavoratori di Gruppobea e studenti della scuola Galdus. Trascorrono a lavoro 4 giorni a settimana, durante i quali è l’Azienda a farsi Laboratorio, e a trasmettere i contenuti tecnici della formazione. Un giorno a settimana è invece dedicato alla formazione scolastica: docenti specialisti del Progetto Apprendistato realizzano una formazione in piccoli gruppi di lavoro. I contenuti sono quelli culturali: Italiano, Inglese, Matematica, Diritto, Orientamento al Lavoro. La progettazione didattica è pensata su misura, con un forte accento sulle applicazioni pratiche e lavorative dei contenuti. L’Esame finale prevede una prova scritta per le materie di base. Per la parte tecnico-professionale, è invece prevista la presentazione di un Capolavoro: i ragazzi scelgono un processo che appartiene alla loro quotidianità in azienda, e lo mostrano alla Commissione, dimostrando il livello tecnico raggiunto. La sinergia tra il mondo del lavoro e quello della formazione scolastica negli anni si dimostra sempre più un’alchimia positiva di grande stimolo per i giovani.
Jonas, perché scegliere uno studente con nessuna esperienza piuttosto che un professionista che viene dal settore? non è un processo troppo lungo?
Non è solo lungo. È anche complesso, stancante fisicamente e psicologicamente. Gli studenti sono inquadrati in una zona di confort in cui tutto è ovattato; provengono spesso da aree didattiche in cui la luce del lavoro è mancante, oppure completamente distorta. Quando entrano in azienda, anche solo per uno stage, sono spaesati. La contezza relativa al mondo lavorativo è quasi nulla; la conoscenza di quanto li circonda è rarefatta. Per non parlare poi della capacità di esprimersi, spesso sporcata dalla cattiva abitudine di rapportarsi agli altri attraverso le dinamiche seriali di uno smartphone: interazioni rapide, non afferenti alla realtà. Ansia che sfocia spesso in noia e malinconia. L’empatia, così come l’uso della parola, molte volte è da cercare, sollecitare. Soprattutto in un momento complesso come questo, in cui il covid e la guerra hanno messo a dura prova la loro sicurezza, le loro certezze. Ecco perché, alcuni di loro, pur avendo seguito percorsi scolastici anche articolati, pur avendo alle spalle famiglie attente e protettive, assumono atteggiamenti di chiusura che non consentono la predisposizione a quell’ascolto e quella curiosità di cui parlavamo. Gli stagisti che arrivano qui sono smarriti, persi in un guscio che li isola dal mondo. La fatica sta proprio nella volontà di scoperchiare tutto questo. Bisogna ascoltarli, tenerli per mano, accompagnarli, introducendoli nella nuova e velocissima dimensione lavorativa. E, perché no, anche quella culturale.
Con noi, infatti, gli studenti entrano in un circuito in cui è necessario leggere l’Ansa ogni giorno, raccontarci le notizie del mondo che hanno colpito la loro attenzione. Discutere di cosa provano, spiegare cosa hanno capito, allevando un pensiero critico. Inoltre, nel periodo istruttivo - e si spera di educarli anche per il seguito - sono invitati a registrarsi gratuitamente sul sito una parola al giorno, un bellissimo progetto online che aiuta ad ampliare la conoscenza della lingua italiana. Perché, come dicono gli ideatori: dalla qualità delle parole che conosciamo dipende la qualità dei pensieri che facciamo.
Molto bello. Escono da un’aula per rientrare in un’aula?
Già. L’aula più impegnativa. In fondo, la vita è una scuola che ci predispone alla crescita, e sta solo a noi decidere in che modo lo faremo. Per quanto mi riguarda, penso siano importanti le guerre puniche, ma è fondamentale anche la sperimentazione, l’innovazione didattica. La scoperta di una coscienza aziendale che attivi la scoperta e l’uso delle proprie attitudini, i talenti personali. Misurarsi in modo adeguato con le sfide della vita offre la grande opportunità di poter sbagliare. E come scrive Carol Dweck -professoressa di psicologia di Stanford - il nostro sviluppo, il modo in cui interpretiamo le difficoltà e il modo per realizzare al meglio il nostro potenziale, in fondo, è frutto di un impegno deliberato. La “mentalità” influenza il nostro modo di processare, interpretare, leggere le informazioni.
Ecco perché sono felice quando penso agli studenti rimasti 2 anni con noi in apprendistato di 1 livello: Maria, Veronica, Mario, Alessio, Lorenzo, entrati tutti per la pima volta nella nostra azienda con gli occhi sgranati, la paura sul volto e le braccia conserte. Avevano un programma da seguire, lezioni da fare a scuola. Esami su esami. Aula e lavoro. Molti di loro, una gestione di una vita familiare non facile. Ed ora che hanno terminato l’ultimo anno in Galdus, sono entrati nel nostro universo fatto di rapporti, gestione dello stress, consapevolezza, mentalità dinamica, formazione, merceologica costante e - perché no - in un mondo fatto di libri che la neo assunta Maria ha imparato a rubare dal mio ufficio, rendendomi felice. Perché la cultura non dovrebbe mai avere un prezzo.