di Pino Sassano*
C’è l’oblio generato dal silenzio, ma c’è pure l’oblio generato dalla voce che insiste in eccesso. Di parole proferite in un “loop” che le svuota di senso.
C’è il ripetersi a ufo di gesti scontati, di scenari comuni alle attese previste.
C’è il ripetersi vecchio del nuovo, dove quello che accade non è più un evento.
C’è la scena che induce al continuo ripetere ambienti, situazioni, discorsi. Déjà-vu d’esistenze nella bolsa commedia di vita. Citare e re-citare. Citarsi e re-citarsi. Insomma, recitare continuativamente pose dell’essere, dove il movimento è somma di infinite sequenze in “fermo immagine”.
Tra l’essere e l’esistere, lo sappiamo, lo strappo lo determina la scelta oltre la convenzione. Il taglio che fende il sipario tra un atto e un altro della rappresentazione e disvela la verità del palcoscenico. Ne mostra l’oltre celato da stoffe e broccati calati dall’alto. Visione che irrompe e dà scena inattesa. Scombina il canone prescritto che fa pensar bella soltanto la forma che già riconosci. Cosicché Duse appare.
In un palco c’è un grande regista. Un Luchino Visconti ancora ragazzo. L’ha condotto la madre a teatro, dove diva, lei ritorna con Ibsen dopo anni sospesi. È “La donna del mare”, nel 1921, al “Manzoni” di Milano. È una donna anziana, in accappatoio bianco, capelli grigi in fondo al palcoscenico, senza sorriso. Non parla. Non ammicca agli applausi del pubblico. È Ellida, una moglie che aspetta l’approdo del possibile amante a cambiarle il presente. Sta zitta. Non accenna al rituale teatrale del caso e si sposta su un’ampia poltrona. Si siede. Ha un ombrellino in mano con cui disegna tra i piedi ghirigori, cominciando a parlare tra sé e sé.
Il giovane Luchino è sgomento. È già stato a teatro, ma non ha mai visto niente di simile. «Ma che fa quella donna? È l’attrice, ma perché non recita?». «Zitto e ascolta» gli impone la madre. E lui ubbidisce. Ascolta le parole, i silenzi della Duse e, sconcertato, il nuovo. L’inaudito.
Sente e vede verità inattese che smuovono emozioni e idee. Possibilità d’altra vita che si evolve in altra rappresentazione. Capisce che Duse non recita Ibsen, non interpreta Ellida. Non usa gli strumenti del teatro per rendere il personaggio. Semplicemente, naturalmente è Ellida. La sua storia è la storia di quella donna immaginata da Ibsen, suoi sono i sentimenti, suoi la commozione, i gesti, le parole. Intuisce, probabilmente, che il personaggio “è”, ma Eleonora Duse/Ellide “esiste”.
Anni più in là, da regista affermato, Luchino Visconti si dichiarerà convinto che Eleonora Duse improvvisasse in ogni presunta replica dei suoi spettacoli. Una stessa commedia, ma mai ripetuta. Mai recitata. E descrisse il magnifico scompiglio generato dall’assenza della grande attrice alle prove dei suoi ultimi lavori. Al suo posto, una sedia vuota. «Lì c’è la signora Duse», indicava il direttore di scena agli altri attori. E via via, spostava la sedia a ogni cambio di posizione in copione.
C’è l’oblio generato dal silenzio, ma c’è pure l’oblio generato dalla voce che insiste in eccesso.
In questo silenzio dell’oggi e nell’odierno vociare inconsulto, vorremmo una sedia che in scena ancora ne marchi l’assenza.
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*scrittore, saggista di “Eleonora Duse – Il mito di una Dea” (Collana Nuovo Rinascimento Milano – Passerino Editore), Progetto Scientifico Internazionale “Duse Centenario” coordinato scientificamente da Stefania Romito (Membro del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della morte di Eleonora Duse)
Fonte notizia
oraquadra.info 2024 05 27 nellanno-in-cui-versa-la-morte-di-eleonora-duse