Uno psicologo che scrive anche poesie. Vi è una connessione?
Certamente. È nella natura del verso poetico cercare di dar luce a mondi di emozioni e di intimità. La parola poetica, come per l’inconscio, non cerca la riproduzione dei fatti, ma evoca e sollecita un ordine del sentire sincretico, dove il dettaglio si confonde con il generale, la sfumatura con il colpo di luce. Una parola che per trovare quel che cerca deve inventarsi espressioni e dilatazioni.
Cosa ha cercato ne “Il silenzio tra le parole”?
I miei versi hanno un preciso punto di attrazione, attorno a cui gravitano: sono gli incidenti invisibili e le perturbazioni impalpabili dell’esistenza. Gli esseri umani nelle grandezze generiche hanno caratteristiche simili. Così si possono formulare idee, teorie e convinzioni che raggruppano l’identità in modi uguali. Mentre è nel dettaglio, nel microscopico che si trovano le differenze di ogni persona, la sua inimitabile unicità. Sono i dettagli che balenano in attimi di vita, in gesti quasi inconsapevoli, in scorci dello sguardo. Sovente sono silenziosi, interstiziali, tra le parole che invece diciamo uguali.
Cosa mi dice invece del suo stile, del suo linguaggio poetico?
La parola poetica, come sappiamo, è un territorio difficile da tracciare, identificare. Dall’endecasillabe, con la sua architettura musicale, sino al verso libero, dove a volte pare sia sufficiente andare a capo da credere che sia poesia.
Per quel che mi riguarda sono molti anni che cerco di impegnarmi nel verso. Mi pare, ma è difficile essere giudici di sé stessi. che nella mia evoluzione sia presente una progressiva transizione: dalla poesia come urgenza del contenuto, che richiede al verso libero un’alleanza contenitiva; agli scritti più recenti dove si è conquistata spazio un’attenzione al verso, come detonatore estetico ed esperienziale. Sicché molta più attenzione alla musicalità, al legame delle parole per il loro potere immediato di suscitare una reazione di partecipazione.
Concludendo: cosa sta scrivendo oggi?
Sto cimentandomi in un verso del tutto nuovo, come spingersi in una rotta al largo e non sapere se si troverà terra. Sto cercando di fondere ben tre acrobazie: scrivere in versi endecasillabi, combinati da una rima, il dialogo introspettivo di una Penelope contemporanea. Una narrazione in versi che lega una tradizione poetica con l’esplorazione psicologica, attraverso un filo narrativo.
Gian Maria Zapelli, Il silenzio tra le parole
Le parole cercano ciò che si sottrae e si custodisce nel silenzio: le sorprese dei dettagli, le pieghe che rimangono nei sentimenti, lo scarto, il residuo nel quale l’esperienza rivela la sua intimità.
La poesia è allora particella, frammento: non trama che si dilunga, ma episodio del sentire. Il costrutto poetico non cerca durata, ma si esaurisce in poche righe. Perché il silenzio ha bisogno di respiro e discrezione, senza mostrare, ma solo ospitare.
La ricerca scava nell’esperienza introspettiva dell’io e del tu, che diventa il noi del tempo condiviso, dell’amore. La vita che si rivela non è piena, completa, dai perimetri intensi delle emozioni forti. È scorcio di consapevolezze, di riconoscimenti, che compongono con discrezione le occasioni nelle quali si scorge un senso.
Gian Maria Zapelli (1960) vive a Lecco. Ha pubblicato Senza Rammarico (Manni, 2011), Prosodie dell’anima (Manni 2015). E numerosi libri dedicati allo sviluppo emotivo e relazionale: Penelope, don Chisciotte & co. (Etas 2003), Esercizi di coraggio (Etas 2005) Cambiamenti incantevoli (Raffaello Cortina 2010), Diamoci del noi (Egea 2013), Dizionario sentimentale (Vita Activa 2019).
Fonte notizia
nulladie.com it i-canti-sussurri 410-gian-maria-zapelli-il-silenzio-tra-le-parole-9788869152962.html