Si può odiare così tanto noi stessi fino al punto di farci del male e diventare ombre senza più forma e identità? Le vicende narrate in questo romanzo non hanno un luogo o un tempo precisi, l’io narrante protagonista non ha un nome né un genere e nemmeno un’età, tutto è indefinito e sfocato sullo sfondo. Come in tutte le storie vere non c’è un inizio, ma solo il momento in cui entriamo a farne parte.
Nel mezzo troviamo un’infermiera con la fissa di salvare il mondo, un bambino seduto su un trono di libri, e un fantasma cattivo, accompagnato da quattro nani vestiti da ufficiali nazisti. Sotto, invece, c’è la cantina. È buia e sporca e non ha finestre. Dentro ci vivono odio e terrore, disgusto e paura. Insieme con molte altre cose brutte. Credetemi: io l’ho vista.
Manuel Omar Triscari è fermamente convinto, con Croce e Calvino, che di un autore contino solo le opere (quando contano, naturalmente) e pertanto dati biografici non ne fornisce, o li dà falsi, o li cambia velocemente sicché è inutile chiedergli la verità. Forse egli è solo un nome, senza anima e corpo. In ogni caso non è una persona reale: ogni scrittore vive all’ombra dell’autore implicito che la propria opera postula.
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