Sara Trevisan, autrice dalla penna raffinata, si distingue per la profondità con cui esplora le sfaccettature più oscure dell'animo umano. Il suo ultimo lavoro, Incubi di un mostro, pubblicato da Argentodorato Editore, si sviluppa come un viaggio nell'intimità delle paure e delle riflessioni esistenziali. In un'opera che alterna momenti di cupa introspezione a squarci di poetica delicatezza, Trevisan accompagna il lettore attraverso un labirinto di emozioni e domande. In questa intervista, ci parla delle sfide narrative e dei temi che hanno guidato la creazione del suo libro.
Il titolo della sua opera, "Incubi di un mostro", suscita immagini forti e inquietanti. Come è nato questo titolo e cosa rappresenta, secondo lei, il "mostro" in questo contesto?
Il titolo Incubi di un Mostro è stato, per me, una scoperta. Come mi è stato insegnato, il titolo è spesso l’ultima tappa del processo creativo, ed esso è emerso quasi spontaneamente dall’opera stessa, come risultato naturale del lavoro svolto. Mi sono chiesta: “Cosa mi comunica quest’opera, ora che è giunta a maturazione? Cos’è diventata nel suo percorso di crescita, da semplice accorpamento di testi a opera unitaria e consapevole?”. E ho trovato una risposta: l’opera porta alla luce gli incubi di chi non accetta sé stesso o il contesto in cui vive. In questo senso, è il racconto di un "mostro". Il titolo Incubi di un Mostro incarna simbolicamente la parte più profonda e oscura dell’animo umano, quella che, prima o poi, tutti abbiamo affrontato o temuto. Qui, il "mostro" è una figura complessa: rappresenta chi si sente diverso, giudicato, rifiutato e privato dell’amore del suo prossimo; ma è anche la persona che lotta con le proprie paure, colpe e fragilità. Il "mostro" non è tale per le sue azioni, ma perché rappresenta quel lato di noi stessi che la società spesso disapprova, condanna o semplicemente non comprende. Questo titolo, dunque, è il ritratto di una battaglia intima, un invito a riflettere sull’importanza di accettare e vivere pienamente anche i sentimenti più scabrosi, dal momento che fanno a buon diritto parte di noi. Incubi di un Mostro rappresenta il percorso di accettazione di chi deve legittimare la sua esistenza nel mondo.
L'opera sembra esplorare temi profondi come l'innocenza, la caduta delle illusioni e la solitudine. Qual è stato per lei il momento più intenso o difficile da scrivere, e perché?
Direi che non ci sono stati momenti davvero "difficili", perché è stato il bisogno stesso a spingermi verso la scrittura. Ho accumulato una marea di appunti, idee che ritengo originali, in attesa di essere sviluppate. Tuttavia, il momento per loro non è ancora arrivato; non sento ancora quel bisogno di scriverle con l’attenzione, l’amore e la dedizione che meritano. Avere un’idea non basta: serve il fuoco dell’ispirazione, quella forza che ti permette di scrivere qualcosa che aspiri a essere unico e significativo. Senza questo, è solo un esercizio di scrittura. Perciò posso affermare che, più che difficoltà, c’è stata una necessità impellente, un’urgenza che ho sempre assecondato.
Quanto ai momenti intensi, quelli non sono mancati. Ancora oggi, quando leggo “A te, Sara” o “La distesa di ranuncoli”, non posso fare a meno di commuovermi.
Il libro si sviluppa in atti, come un'opera teatrale. Questa scelta narrativa conferisce una struttura particolare al testo. Qual è stato il suo obiettivo nell'organizzare il libro in questa forma, e come crede che ciò influenzi l'esperienza del lettore?
La scelta di strutturare il libro in atti è stata pensata per offrire al lettore un percorso da seguire, come se fosse uno spettatore. Ogni testo sembra rappresentare una scena, con il suo fondale, i suoi attori, la sua storia e il lettore, seduto tra gli spalti di un'ipotetica platea, ha la possibilità di osservare i momenti salienti della vita di alcuni individui. “Incubi di un Mostro” parla di persone che solo di rado hanno un nome. Si compone delle testimonianze di chi ha vissuto veramente, di chi ha smesso di recitare la parte di comparsa nella sua vita per diventarne il vero protagonista. Non si tratta di gente che ha vinto, o almeno non nell’accezione comune: una vita degna di essere vissuta non termina necessariamente con una vittoria riconosciuta dalla massa o da una performance alla quale i giudici darebbero 10 con la paletta alzata. Si può anche dare un senso alla propria esistenza soccombendo gloriosamente nella battaglia contro il proprio giudice interiore.
Volevo che ogni atto fosse una tappa che accompagnasse il lettore verso una catarsi, proprio come in un’opera teatrale, creando così un crescendo di emozioni e riflessioni. Questa struttura non solo guida il lettore in modo più lineare attraverso il tumulto di sentimenti e pensieri presenti nell’opera, ma gli permette anche di vivere la storia a un livello più intimo e personale, quasi partecipando al processo evolutivo del protagonista.
Scrivere online ha ormai un impatto importante sul modo in cui gli autori comunicano con i lettori. In che modo, secondo lei, la dimensione digitale ha influenzato il suo approccio alla promozione e alla diffusione del suo lavoro?
La dimensione digitale ha permesso di accorciare le distanze tra autore e lettore, creando un dialogo diretto che altrimenti sarebbe impossibile. Condividere i miei lavori e le mie riflessioni online mi consente di raggiungere un pubblico più ampio, di ricevere riscontri immediati e di comprendere meglio come il mio lavoro possa influenzare o ispirare chi lo legge. La presenza online mi ha aiutato a mostrare una parte di me stessa che va oltre le pagine del libro, rendendo il rapporto con i lettori più personale e immediato.
Il tema del perdono emerge nel settimo atto del libro. In un'opera che attraversa emozioni così cupe e complesse, come definirebbe la sua visione del perdono e quale ruolo gioca nella vita di un artista?
Il perdono, per me, è un atto di liberazione e una delle chiavi più difficili, ma anche più potenti, per affrontare la propria vita. Nel contesto dell’opera, il perdono non è solo il lasciarsi alle spalle un errore o una ferita: è la decisione di riconoscere la propria storia, di comprenderla e, infine, di accettarsi senza più giudizi. Credo che per un artista il perdono rappresenti un passo necessario per poter esprimere sinceramente ciò che vive, senza il peso delle aspettative altrui. Perdonarsi consente di scrivere in libertà, attingendo a ogni aspetto di sé e dando voce a emozioni autentiche.