Il disegno di legge Calderoli consentirebbe alle Regioni di chiedere e ottenere maggiori competenze e forme di autonomia su materie cruciali finora di competenza esclusiva dello Stato centrale. Tra queste, ambiti chiave come l'istruzione, i rapporti internazionali, la gestione della sanità pubblica e persino il settore energetico.
Tuttavia, come contro-bilanciamento a questa spinta centralifuga, l'autonomia differenziata è subordinata al raggiungimento dei LEP, essi sono i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull'intero territorio nazionale.
Nonostante l'approvazione alla Camera, restano però numerosi dubbi e critiche sulla reale possibilità di attuare questa riforma nell'immediato. Come evidenziato da un'analisi de Il Foglio, il ddl Calderoli non sembra accompagnato da una cornice chiara su quali funzioni e competenze potranno essere effettivamente trasferite alle Regioni autonome.
Un'altra critica mossa riguarda la procedura per determinare i citati Livelli Essenziali di Prestazione. Secondo il ddl, i LEP verrebbero individuati con un atto del Governo, senza una specifica cornice legislativa di riferimento. Eppure, il Governo ha solo 24 mesi di tempo farlo con spese altissime derivanti da eventuali trasferimenti alle Regioni del Sud Italia al fine di equiparare i livelli minimi di prestazioni su tutto il territorio nazionale. Agenzie stimano intorno ai 100 miliardi, soldi che ovviamente non si sa da dove prendere.
Questa complessa architettura procedurale fa sorgere il dubbio che il ddl possa essere stato volutamente "pensato per non funzionare". Un ddl così confusionario, che non fa cenno ad un autonomia tributaria e un percorso bizantino e costosissimo per determinare i LEP, rischiano di rendere l'autonomia differenziata una riforma soltanto sulla carta, offrendo alibi per non attuarla realmente.
A favore dell'autonomia si schiera la Lega di Matteo Salvini, principale promotrice e beneficiaria di questa riforma. Insieme a parte del Governo Meloni, il Carroccio vede nell'autonomia un modo per responsabilizzare e premiare le amministrazioni regionali più efficienti ed esperte nella gestione delle risorse pubbliche a livello locale.
Dall'altra parte della barricata, contrari si dichiarano soprattutto i Presidenti di Regione del Mezzogiorno e le forze di opposizione. Il timore è che l'autonomia differenziata possa esacerbare ulteriormente il divario socio-economico e infrastrutturale tra un Nord ricco di risorse ed efficiente e un Sud sempre più depresso e spogliato di funzioni strategiche.
In questa accesa dialettica, forse la verità sta nel mezzo. L'autonomia differenziata, se fatta come si deve, può rappresentare un'opportunità di maggiore responsabilizzazione ed efficienza per le Regioni. Perché non è solo un questione di soldi. Difatti, rispetto a determinate materie, i trasferimenti in denaro erogati attualmente al Sud sono molto più corposi rispetto ad alcune Regioni del Nord, si veda ad esempio la Spesa Sanitaria. Il problema stà nella gestione adeguata dei trasferimenti.
La sfida è trovare un equilibrio tra il legittimo desiderio di autonomia amministrativa delle Regioni più efficienti e la necessità imprescindibile di continuare a garantire un'offerta uniforme di servizi pubblici essenziali su tutto il territorio, senza discriminazioni o disuguaglianze.
Il dibattito sull'attuazione concreta dell'autonomia differenziata è appena iniziato. Le insidie e gli ostacoli procedurali sul percorso attuativo sembrano numerosi, e l'esito finale di questa ennesima riforma appare tutt'altro che scontato.
Tra ricorsi alla Corte Costituzionale, rischi di disarticolazione di servizi strategici come i trasporti o la rete energetica nazionale, e la perenne ed annosa questione del divario Nord-Sud, il cammino per un'effettiva autonomia delle Regioni si prospetta ancora molto lungo e accidentato.
