La Solennità Civile intitolata «Giorno del Ricordo» venne fissata dal Parlamento Italiano con Legge n. 92 del 30 marzo 2004. In essa all’articolo 1, comma 1, tale riconoscimento da parte della Repubblica è affermato «al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
Terminata la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) le stime riguardanti il coinvolgimento di esseri umani, esuli o soppressi, in tali eventi indicavano 250.000–350.000 profughi e 10.000 scomparsi comprendenti 6-7000 persone uccise nelle Foibe e 3000 reclusi in Gulag e campi di concentramento di Josip Broz (1892-1980) uomo politico e capo militare conosciuto come “Maresciallo Tito”, comunista rivoluzionario e statista della Repubblica Socialista Federale della Jugoslavia.
Con il “Trattato di Osimo”, firmato dai rappresentanti diplomatici italiani e jugoslavi il 10 novembre 1975 si chiudeva definitivamente la questione con la rinuncia dell’Italia, senza alcuna contropartita, degli ultimi lembi della penisola istriana, quella che nelle carte internazionali era indicata come “Zona B”.
Nel 1992 il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si recava a Basovizza, Trieste, presso un pozzo minerario dove furono gettati in tanti, non si conosce il numero, dai partigiani jugoslavi per dichiararlo monumento nazionale. La Foiba di Basovizza è diventata simbolo di tutti quegli eccidi e, una volta recuperata e restaurata quell’area, il 10 febbraio 2007 vi è stato inaugurato il Sacrario, in onore dei Martiri di tutte le Foibe.
Quale contributo alla conoscenza di quei tragici fatti e alla conservazione della memoria di quelle vicende e di valorizzazione del patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria e delle coste dalmate, come richiamato all’articolo 1, comma 2, della già citata legge n. 92 del 30 marzo 2004, il sociologo Antonio Castaldo, riporta la testimonianza di Maria Carcich, rilevata nel corso di una ricerca di storia sociale dell’anno 2005, Sessantesimo Anniversario della Liberazione.
Dunque, quello qui riproposto, richiamando la prima pubblicazione avvenuta sul numero di febbraio 2006 del periodico “Il Paese”, diretto da Felice Iolo, è un tratto della storia di vita di due persone, Sebastiano Sposito (Brusciano 19 gennaio1914-26 aprile 1986) e Maria Carcich (Lussinpiccolo, Pola, 4 luglio1925-Brusciano 1 agosto 2007) dentro il più generale contesto storico ricordato.
Nel 1939, Maria, 16 anni di età, sposò Sebastiano, il quale dopo aver partecipato come volontario alla guerra in Africa si trovava in servizio nel Corpo della Finanza a Lussinpiccolo. Giunse poi il tempo della loro odissea che iniziò dopo l’Armistizio, 8 Settembre 1943, proprio a Lussinpiccolo, allora provincia dell'Istria, Pola, italiana dal 1923 al 1947, passata poi alla Jugoslavia. Oggi è in Croazia dove Mali Lošinj con i suoi 7000 abitanti è città capoluogo dell’isola di Lussino, alto Adriatico, parte meridionale dell'arcipelago del Quarnero.
In quel periodo il finanziere Sebastiano Sposito era in servizio a Pola, mentre la moglie Maria Carcich con la propria sorella ed i bambini erano ad Unie in vacanza. La mamma di Maria, Giovanna Carcich (Lussinpiccolo, Pola, 5 marzo1888-Brusciano 25 dicembre 1970) era proprietaria di una bella casa con un ampio appezzamento di terreno nella Venezia Giulia. Alla caduta del fascismo, rimasero sotto avvicendata occupazione di fascisti slavi, degli ustascia, dei cetnici, poi dei tedeschi. Dopo l'Armistizio intere colonne di militari italiani erano allo sbando e se intercettati dai tedeschi venivano uccisi e solo chi riusciva a passare da un’isola all’altra si salvava raggiungendo infine l’Italia.
Fino al dicembre 1943 la famiglia Sposito-Carcich restò unita pur nella sofferenza e covando progetti di fuga. Un giorno, Sebastiano si procurò una barchetta e così Maria e Sebastiano con due loro figli, sua sorella con il suo bambino, con una guida si avventurarono in mare aperto. Dopo due ore di mare grosso ed aver rischiato la vita, dovettero fare ritorno ad Unie, rinunciando alla pericolosa traversata. Due giorni dopo si imbarcarono su un dragamine della Marina Militare Italiana e così poterono raggiungere Pola. Abitavano a Veruna ed il secondo bambino era nato da pochi mesi, mentre si avvicinava il Natale del 1943 con una gran freddo. Quando iniziarono i bombardamenti, Sebastiano, esperto militare, prevedendo il peggioramento della situazione decise di chiedere il trasferimento per portare in salvo la famiglia. Fatta la domanda a gennaio 1944, il mese dopo erano tutti a Sacile in provincia di Udine. Ma anche qui ci furono i bombardamenti mentre nel 1945 gli scontri continuarono con i tedeschi combattuti dagli americani e dai partigiani italiani.
Quando iniziò l’eccidio degli italiani, la loro prima bambina, Antonia era ad Unie con la nonna Giovanna. Intanto i partigiani raccontavano di bambini italiani sottratti con l’ingannevole promessa della salvezza, mentre venivano messi in cassoni per essere inabissati in mare. E si sapeva anche delle Foibe dove venivano in tanti spinti a morte sicura.
Nonna Giovanna, che credeva la figlia Maria ancora a Pola, pensò di riportare la nipotina dalla madre. Chiuse a chiave la porta di casa e la consegnò alla sua vicina per riprendersela al ritorno. Ma il ritorno non fu più possibile e nonna Giovanna non sapeva che sarebbe morta Brusciano dopo un trentennio di esilio senza mai più rivedere la propria casa.
La famigliola rimase a Sacile fino alla conclusione della guerra da dove assistette alla ritirata dei tedeschi. Subito dopo, Sebastiano venne trasferito a Venezia e, su propria istanza, a Padova. A Sebastiano, una volta finita la guerra, venne consegnata una medaglia per aver aiutato i partigiani e contribuito alla Resistenza. Dopo un po’ i coniugi maturarono l’idea di raggiungere Brusciano, in provincia di Napoli, paese di origine di Sebastiano. E così fu. All’inizio affittarono una casetta e comprarono dei mobili, poi con tanti sacrifici costruirono una casetta, e qui Sebastiano e Maria, con Nonna Giovanna, continuarono in serenità, amore e gioia la saga familiare arricchita da 5 splendidi figli: Antonio, Giovanni, Maria Grazia, Raffaele e Adriana. Nonna Giovanna, deceduta il giorno di Natale del 1970 non ha mai più rivisto la sua casa di origine e mai le è stata restituita la proprietà.
La signora Maria Carcich, congedandosi dal sociologo Antonio Castaldo, dopo il rammemorato incontro introdotto dal figlio Lino Carcich, offrendogli un cioccolatino gli sottolineava il suo pensiero: «Questa è una piccola cosa che noi di una certa età sappiamo apprezzare, perché ce la siamo stentata e conosciamo bene il sacrificio per ottenerla. Oggi i giovani sembrano non accontentarsi mai, non sanno apprezzare il valore delle cose, vogliono tutto e subito,, e magari cambiarlo quanto prima. Vogliono comprare cose anche quando non c’è la necessità ma solo per seguire la moda. Ci tengo a dire - precisava infine la Signora Maria- che sono sempre stata in Italia ed i profughi giuliani devono riavere tutto quanto è stato da loro perduto».
IESUS
Istituto Europeo di Scienze Umane e Sociali - Brusciano NA -