Religiosi, storici e archeologi l'hanno di volta in volta localizzato in Arabia, India, Etiopia, Seychelles, sommerso nell'Oceano Indiano o fra le più alte montagne della Terra, dove si sarebbe salvato dal diluvio universale come ultimo baluardo della perfezione terrena.
Al Paradiso terrestre credeva Cristoforo Colombo, il quale penso di averlo ritrovato in un'isola dei Caraibi. Mentre Linneo, il grande botanico seicentesco a cui dobbiamo la classificazione ancora oggi in uso di piante e animali, lo vedeva come l'ambiente da cui si erano diffusi tutti gli esseri viventi.
Ne 𝐼𝑙 𝑝𝑎𝑟𝑎𝑑𝑖𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑡𝑒𝑟𝑟𝑎. 𝑀𝑎𝑝𝑝𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑔𝑖𝑎𝑟𝑑𝑖𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝐸𝑑𝑒𝑛 di Alessandro Scafi emerge quanto l'Eden era considerato un luogo reale, da cercare e localizzare geograficamente, nonostante vigesse il divieto divino di entrarvi. Ma dove nasce l'idea del Paradiso terrestre?
Nel capitolo I della 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖, Dio crea la luce separandola dalle tenebre; il firmamento dal cielo; la terra, con le piante, separandola dal mare; il Sole e la Luna; i pescibe gli uccelli. L'uomo viene plasmato il sesto giorno con gli animali di terra.
Tuttavia, nel II capitolo della 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖 – nota Scafi – il testo prosegue con contraddizioni e ripetizioni. C'è ancora un Dio che creatore che forma un essere umano tramite il fango.
Egli poi pianta un giardino per depositarvi la creatura umana. Adamo cade in un sonno profondo, viene privato di una costola e al risveglio trova Eva. Ha il compito di prendersi cura del giardino, dove si stagliano due alberi particolari: l'albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male. Sappiamo tutti come andò a finire: la cacciata dal Paradiso terrestre, la prospettiva per la prima coppia e i suoi discendenti di una vita durissima, la perdita dell'immortalità a causa del peccato originale...
Molti studiosi ritengono che i due capitoli della 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖 furono scritti in epoche diverse da due autori diversi.
C'è invece chi, come Karen Armstrong, in 𝑆𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑑𝑖 𝐷𝑖𝑜 azzarda l'ipotesi che ci si riferisse a due differenti divinità creatrici: il dio El, in auge nella politeista terra di Canaan, e il dio proprio di Israele, Yahveh. Compilatori successivi dell'Antico Testamento avrebbero fuso insieme le due tradizioni intorno al VI secolo a.C. I testi originali dei primi autori andarono perduti, così i riferimenti più antichi a una versione scritta dell'Antico Testamento, quindi alla 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖, risalgono a.C. quando, in Alessandria d'Egitto, i Settanta (settantadue anziani esuli da Israele) la utilizzarono per una compilazione tradotta in greco. La versione dei Settanta era quella conosciuta dai cristiani del I e II secolo.
Nel V secolo Girolamo, uno dei padri della Chiesa, utilizzando anche testi greci ed ebraici più recenti, compilò la Bibbia nota come la 𝑉𝑢𝑙𝑔𝑎𝑡𝑎, versione canonica dei cristiani del Medioevo.
In genere oggi noi leggiamo la traduzione da un originale ebraico della Conferenza episcopale italiana (Cei). Il punto è che i riferimenti al Paradiso terrestre concordano o cambiano a seconda delle traduzioni.
Nella versione Cei si legge: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare (...). Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiamava Pison: esso scorre attorno a tutto il paese di Avila dove c'è l'oro (...); il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutto il paese d'Etiopia.
Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur.
Il quarto fiume è l'Eufrate. Il Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.» Anche nella versione più antica, dei Settanta, Eden è inteso come luogo in cui Dio ha piantato il suo giardino e non come il nome dello stesso.
La parola usata per giardino è quella che in greco antico significa "giardino recintato".
Ciononostante, Girolamo lo tradusse con "giardino delle delizie" per il fatto che in ebraico il termine eden significa delizia (usandolo come aggettivo e non come sostantivo-luogo).
Tuttavia anche in un'altra versione, conosciuta come 𝑉𝑒𝑡𝑢𝑠 𝐿𝑎𝑡𝑖𝑛𝑎 (III secolo) al pari della versione Cei e della 𝑉𝑢𝑙𝑔𝑎𝑡𝑎, Eden indica una località.
Inoltre la parola "Oriente", in ebraico usata sia in rapporto allo spazio sia al tempo, assume un significato diverso. Nella 𝑉𝑢𝑙𝑔𝑎𝑡𝑎 significa "esistito in principio"; nelle traduzioni dei Settanta, della 𝑉𝑒𝑡𝑢𝑠 𝐿𝑎𝑡𝑖𝑛𝑎 e della Cei significa "a Oriente". Mentre il Tigri e l'Eufrate erano ben noti, traduttori e studiosi cercarono di scoprire l'identità degli altri due fiumi utili alla localizzazione del Paradiso terrestre. L'interpretazione più diffusa, avanzata nel I secolo dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, era che il Pison fosse il Gange e il Ghicon il Nilo. Ipotesi ritenuta ai tempi realistica, perché si pensava che questi due fiumi, pur nascendo dalla medesima fonte, nel luogo ove l'uomo fu creato, scorressero a lungo sottoterra, per poi riaffiorare in superficie in Asia e Africa.
La misteriosa terra di Avila poteva dunque essere in India e quella di Etiopia a sud dell'Egitto. Altri però pensavano che la parola ebraica originaria 𝐶𝑢𝑠𝘩 non indicasse l'Etiopia, bensì una regione della Mesopotamia e che Avila potesse essere ubicata in Siria o in Arabia.
Fin dal principio gli intellettuali scorsero le contraddizioni della 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖: nel capitolo I l'uomo viene creato come essere perfetto, a immagine di Dio; nel capitolo II la creazione di Adamo viene seguita dal racconto della tentazione e della cacciata. Secondo il filosofo Filone ebreo bisognava distinguere la prima creazione di un essere umano immortale e celeste da quella terrestre e mortale, incline al peccato.
Il primo Adamo è l'archetipo, la forma originaria atta a modellare il secondo Adamo, il quale ha il compito di migliorarsi fino a raggiungere la perfezione spirituale. Filone si soffermava al linguaggio simbolico del racconto dell'Eden: per lui non era un parco recintato di alberi, ma un luogo di virtù e di sapienza di Dio.
Immaginare che il Signore piantasse alberi come viti, ulivi meli e fichi, con tanto di albero della conoscenza del bene e del male, era assurdo. Filone invitava quindi a capire il significato più autentico del Giardino dell'Eden: l'estasi di gioia e delizia che l'anima serba al servizio del Signore.
Origene, un padre della Chiesa, sosteneva che la natura umana fosse rappresentata dal primo Adamo.
Il secondo Adamo del peccato originale andava di pari passo con la creazione di un mondo materiale corruttibile studiata da un "intelletto celeste" decaduto che aveva tradito Dio.
Il filosofo San Agostino, a sorpresa, restituì concretezza terrena al Giardino dell'Eden.
Secondo il suo parere vi era stata una prima creazione fuori dal tempo (𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖 cap. I). E poi, una creazione nel tempo storico (𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖 cap. II). Alberi sacri, Adamo, Eva, peccato originale: tutto vero secondo Agostino. Il compito dell'uomo nella storia era ritornare alla perfezione, riscattando il peccato originale con l'aiuto di Cristo. Da quel momento partì decisa la ricerca del Paradiso terrestre come luogo fisico. Fino a Lutero, padre della Riforma protestante: per lui l'Eden era una realtà, ma era vano cercarlo perché il diluvio universale aveva cambiato il volto della Terra, cancellandolo per sempre.
Con Calvino la ricerca riprese. Per lui, infatti, Dio aveva comunque lasciato tracce del Paradiso terrestre ed era possibile localizzare la sede. Calvino fu il primo a indicare l'area dell'attuale Iraq, ritenendo che i fiumi Pison e Ghicon erano semplicemente due rami del Tigri e dell'Eufrate. Furono poi determinanti, dalla metà dell'Ottocento, le ricerche archeologiche sulle civiltà sumera e assira. Nel 1849 Austen Henry Loyard annunciò che un albero sacro del Paradiso terrestre era raffigurato sulle mura del palazzo assiro di Mimrod.
Nel 1881 Friedrich Delitzsch rinvenne l'albero della vita in una tavoletta assira. E, cosa ancora più sensazionale, in un brano del testo cuneiforme che si riferiva a un "paradiso terrestre" appariva la parola sumera edin, da cui derivò Eden, inteso come luogo del paradiso. Non un luogo preciso, piuttosto un ambiente naturale fuori città.
Un altro assirologo, Archibald Says, pensò di avere individuato l'Eden-edin nella Mesopotamia del sud. Quella che nella 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖 era presentata come la fonte dei quattro fiumi del Paradiso era il loro sbocco, cioè il golfo Persico, descritto nei testi cuneiformi come un grande fiume salato. Says riconobbe i quattro fiumi del Paradiso terrestre nelle raffigurazioni del dio Ea/Enki, presenti in sigilli babilonesi. Se Loyard e Says volevano dimostrare l'attendibilità della Bibbia, per Delitzsch il paradiso terrestre riguardava, un tempo, più i Sumeri e le successive civiltà mesopotamiche che gli ebrei. Stando agli scritti cuneiformi ritrovati nella cultura babilonese, dove furono deportati gli ebrei dopo la caduta di Gerusalemme, emersero le storie di "peccati originali" che sancirono la condizione mortale dell'uomo. E persino tre versioni di un "diluvio universale" del tutto simile a quello della Bibbia, con tanto di Noè locale e zattera per salvare gli animali. L'idea che i profeti ebraici in esilio a Babilonia avessero tratto ispirazione dai racconti locali per comporre la 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖 fu però contrastata dal kaiser Guglielmo II e messa a tacere.
Nel corso del tempo altri ritrovamenti cuneiformi hanno confermato che Eden deriva da 𝑒𝑑𝑖𝑛, a volte scritto in sumero proprio come 𝑒𝑑𝑒𝑛.
Gli storici sono in maggioranza d'accordo nel ritenere che il II capitolo della 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑠𝑖, quello del Paradiso e della cacciata di Adamo ed Eva, fu scritto nel VI secolo a.C. dai rabbini tornati dalla prigionia babilonese. Nel 2002 Manfred Dietrich presentò il suo primo studio su un "paradiso terrestre" che i sumeri credevano trovarsi nell'𝑒𝑑𝑖𝑛 di Eridu, la più antica città sumera, alla confluenza dei quattro fiumi in un estuario sul golfo Persico (Ghicon e Pison sono Kercha e Karun).
Eridu era la città del dio Enki: tavolette cuneiformi lì rinvenute narrano della creazione dell'uomo su iniziativa di Enki. Fare giardini recintati era una delle attività delle divinità sumere, assire e babilonesi.
Arrivate sulla Terra, perché si annoiavano in cielo, scavarono canali, irrigarono e coltivarono i campi. Stanche però di quella vita faticosa incrociarono le braccia. Enki allora convinse le altre divinità a creare gli uomini per adoperarli come forza lavoro, in campi e giardini (che sorgevano di solito negli 𝑒𝑑𝑖𝑛 fuori dalle città).
Il loro prototipo fu un modellino di creta ideato dallo stesso Enki. A Eridu, Enki creò anche un guardiano-sacerdote del tutto speciale. Si chiamava Adapa che, per un fatale errore, bruciò l'occasione dell'immortalità proprio come Adamo.