L’origine delle Confraternite della Misericordia o, come spesso furono ribattezzate, della Buona Morte, è assai antica. Opere pie d’ispirazione analoga nacquero in Oriente intorno al IV o V secolo, affidate ai collegi monastici, la cui missione di carità era, in primo luogo, fornire assistenza ai malati, rischiare la propria vita assistendo anche i più contagiosi e, in secondo luogo, garantire una degna sepoltura a tutti coloro che, per diverse ragioni, non se la potevano permettere. Analogamente, presso la Chiesa di Alessandria d’Egitto, operavano alcuni chierici, esperti in medicina – i Lectigari ed i Paraboloni, la cui missione era di garantire a chi ne aveva bisogno una sepoltura cristiana e decorosa. Anche a Roma era attiva un’istituzione similare, i Fossores. Questa congregazione, al pari delle opere pie orientali, si occupava di dare una pietosa sepoltura ai morti. L’importanza del compito svolto e la considerazione in cui essa era tenuta si evince dal fatto che fosse annoverata dalla Chiesa nella gerarchia ecclesiastica del tempo.
Erano proprio le confraternite a occuparsi del servizio delle esequie della parrocchia, qualora mancassero corporazioni di becchini, come i crieurs parigini. In tal modo ai funerali del povero non venivano più sottratte le onoranze della Chiesa, la stessa che aveva reso solenni le esequie dei più abbienti.
Le confraternite erano caratterizzate da un lungo abito nero con un cappuccio calato sul viso, la cosiddetta “cocolla“, con cui presenziavano ai cortei funebri, spesso rappresentati in statue e in alcuni dipinti che decoravano le cappelle delle confraternite stesse.
In Italia, giusto per citare qualche esempio, troviamo a Urbania, nelle Marche, la Confraternita della Buona Morte fondata nel 1567 e la Chiesa dei Morti (Cappella Cola fino al 1836), conosciuta anche come "cimitero delle mummie", poiché lì riposano diciotto salme mummificate databili 1600-1700, estratte circa due secoli più tardi da una fossa comune del vicino cimitero francescano ed esposte dietro l'altare a partire dal 1833, in seguito all’istituzione dei cimiteri extraurbani per effetto dell’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804.
Curioso come la natura le abbia conservate nei secoli dei secoli. Le salme risultano, infatti, "essiccate" piuttosto che decomposte.
La ragione risiederebbe nella combinazione di fattori climatici e ambientali che hanno disidratato i tessuti dei corpi e nella protezione favorita da un particolare tipo di muffa (Hipha Bombicina Pers).
La teoria della muffa, spesso associata anche ad altri casi di mummie naturali, è stata però smentita dai più recenti studi dei paleopatologi Arthur Aufderheide dell’Università del Minnesota e Gino Fornaciari dell’Università di Pisa, i quali propesero per la spiegazione climatico-ambientale.
Riguardo alle mummie, salta subito all'occhio di come una appaia vestita: si tratta del priore della Confraternita nel primo Ottocento, Vincenzo Piccini, abbigliato con la tunica delle cerimonie funebri accanto alla moglie Maddalena, che soffriva di rachitismo, e al figlio Guido.
Piccini, farmacista, mise a punto alcuni procedimenti chimici e volle che fossero applicati sui cadaveri della sua famiglia, per cui queste rappresentano le uniche due mummie non naturali.
Proseguendo, ci si imbatte in una donna deceduta di parto con un visibile squarcio fatto per salvare il bambino che portava in grembo, un impiccato, una donna contraddistinta da una lussazione all'anca, un fornaio dei frati detto "lunano”, un disgraziato investito da un carro durante una veglia danzante, una donna poliomielitica mancante di parte sinistra alla quale, per sopperire, è stato inserito un arto maschile, un giovane accoltellato le cui ferite si notano con facilità, del quale si può scorgere il cuore essiccato e trafitto da uno stiletto.
Infine, l’uomo che venne inumato poiché creduto morto e si risvegliò nella fossa: sul suo volto si legge ancora il ghigno sardonico del terrore «e ancora si vede la sua pelle d’oca», proferisce il custode.
Al di sopra della moltitudine di corpi spiccano diversi cartigli con citazioni tratte dalla Bibbia, per far sì che chi le legga possa riflettere sulla caducità della vita.
Spostandoci in Umbria, Bettona è culla dell’antichissima Confraternita della Buona Morte, rifondata nel 2017 a sostegno delle attività parrocchiali, per volontà e desiderio di coloro che hanno indossato la "vesta”, così chiamate in dialetto le tonache indossate dai confratelli, oppure sono nipoti o figli di persone a loro volta affiliati alla confraternita, restaurata il 13 giugno 2020 nei suoi apparati lignei grazie alla società KEO Restauro di Roma, che ha fornito aggiornamenti costanti nell'arco dei cinque mesi necessari a completare i lavori.
Talii strumenti (bastoni da processione, croce, lanternoni a cera...), risalenti alla fine del 1700, furono con molta probabilità realizzati in concomitanza dell’Anno Santo 1775, anno in cui la confraternita si recò in pellegrinaggio a Roma, ospite della consorella capitolina.