La costruzione della chiesa risale al 1270. La zona che oggi conosciamo come detto sopra, come Piazza Mercato, un tempo era chiamata Campo Moricino. Luogo avvolto anche da tristezza dato che li, a pochi passi, e anni prima, era stato decapitato il giovane Corradino di Svevia, per opera di tre cavalieri francesi al seguito di Carlo I d’Angiò. Carlo d’Angiò divenuto sovrano di Napoli, fece costruire questa chiesa che inizialmente venne dedicata ai santi Eligio, Dionigi e Martino. Alla chiesa venne affiancato un ospedale e l’intero complesso godette della protezione e dei privilegi reali, prima con Giovanna I d’Angiò e dopo sia con Giovanna II d’Angiò ed Alfonso d’Aragona.
Nel XVI secolo il vicerè Don Pedro de Toledo, decise di fondare un educandato femminile, chiamato conservatorio per le vergini, dove le ragazze erano istruite al servizio infermieristico nel vicino ospedale. Sul finire del XVI alle attività benefiche dell’educandato e dell’ospedale si aggiunse l’attività di banco pubblico.
Proprio a questo periodo si fanno risalire i primi interventi di restauro con il rifacimento del soffitto ad opera di Nicolò di Tommaso e il posizionamento dell’organo realizzato da Giovanni Francesco Donadio e da Giovanni Mattia. Nel 1863 l’architetto Orazio Angelini trasformò il soffitto quattrocentesco.
Il complesso monumentale venne colpito e danneggiato gravemente dal violento bombardamento del 4 novembre del 1943, il restauro fatto alcuni decenni dopo, riportò la chiesa all’originaria linea gotica.
Molto particolare è l’ingresso della chiesa, attraverso un imponente portale strombato di fattura gotica francese. Si trova nel lato destro della chiesa, essendosi persa la funzione di portale principale a seguito delle stratificazioni strutturali.
L’arco quattrocentesco di Sant’Eligio è avvolto da mistero e leggenda. Si innalza su due piani a collegare il campanile della chiesa con un edificio vicino. Sul primo piano è inserito un orologio, sotto si trovano due testine che raffigurerebbero una fanciulla di nome Irene Malarbi e il duca Antonello Caracciolo.
Pare che il Caracciolo nobiluomo perfido e senza scrupoli, innamorandosi follemente della fanciulla che lo respingeva, fece condannare ingiustamente il padre della fanciulla. Solo in un modo il Caracciolo avrebbe salvato l’uomo, con la resa ai propositi del duca della bella Irene.
La ragazza con il cuore distrutto accettò, e il padre venne liberato. Ma la famiglia di lei chiese giustizia a Isabella di Trastàmara, figlia del sovrano Ferdinando II d’Aragona, ottenendo come condanna lo sposalizio riparatore della giovane da parte del Caracciolo e la sua successiva morte per decapitazione.
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