L’art. 65 del Decreto Cura Italia riconosce, agli esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione di marzo, limitato ai soli negozi/botteghe (C/1), escluse le attività definite “essenziali”. Allo stesso modo sono escluse le categorie catastali diverse dalla C/1 nonché tutti i contratti diversi dalle locazioni, regolanti pur sempre i rapporti tra conduttore e proprietario. Per quanto con- cerne le modalità di fruizione, la norma prevede la compensazione ex art. 17 D.Lgs. 241/1997, da utilizzare a partire dal 25 marzo 2020, escludendo la possibilità di rimborso. Inoltre, per quanto riguarda le condizioni, la norma sembrerebbe ammettere l’utilizzo del credito d’imposta anche nel caso di mancato pagamento del canone di locazione. Comunque, nel caso di mancato pagamento del canone non si esclude l’inadempimento contrattuale al quale andrebbe incontro il conduttore moroso. Per evitare che ciò accada è opportuno che la sospensione o la riduzione del canone sia previamente concordata con il proprietario dell’immobile. Fermo restando, comunque, la possibilità per il conduttore di ricorrere al recesso unilaterale del contratto previsto dall’art. 27, co. 7 L. 292/78 garantito qualora ricorrano gravi motivi.
Ma quali sono le conseguenze, ai fini fiscali, per i proprietari degli immobili che non
percepiscono i canoni?
La regola generale prevista dall’art. 26 del T.U.I.R. (D.P.R. 917/1986) prevede che i
redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito
complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili. Ciò, con pregiudizio soprattutto per i proprietari degli immobili ad uso commerciale considerato che l’art. 26, come
riformato dal D.L. 34/2019, prevede una disciplina differente tra locazioni ad uso abitativo e commerciale. Per le locazioni ad uso abitativo i canoni di locazione non percepiti, non concorrono a formare il reddito, qualora sia provata l’intimazione di sfratto
per morosità o l’ingiunzione di pagamento; è riconosciuto un credito d’ imposta
commisurato alle somme nel frattempo non riscosse. Di contro, per le locazioni ad
uso commerciale queste sono soggette alla normale disciplina secondo cui: i canoni
di locazione non percepiti devono essere sempre e comunque dichiarati, a meno che
non si dimostra che il contratto di locazione sia cessato; le imposte versate per i canoni non percepiti non possono essere recuperate sotto forma di credito d’imposta. Ebbene, già in passato, tale norma ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale sulla
quale si è già espressa la Corte Costituzionale con sentenza n. 362 del 26/07/2000 non
ravvisando ipotesi di illegittimità atteso che, secondo la Corte, la regola generale di
potenziale produzione del reddito opera a condizione che il contratto sia effettivamente esistente e realmente produttivo di obbligazioni tra le parti. Invero, i proprietari che
non incassano i canoni di locazione sarebbero tutelati dagli ordinari strumenti di risoluzione contrattuale previsti dalla legge. Nello stesso senso si è poi orientata anche
l’A.E. nella circolare n. 11/E/2014, par. 1.3.
A questo punto occorre chiarire quando il contratto può intendersi risolto e quali so- no gli strumenti previsti dalla legge, a tutela dei proprietari, per provocare la risoluzione ai fini della detassazione ex art. 26 TUIR. Vediamo di seguito. La risoluzione a seguito di diffida ad adempiere. Ai sensi dell’art. 1454 c.c., il proprietario può intimare al conduttore inadempiente, di provvedere entro un congruo termine, decorso il quale, nel caso di perdurante inadempimento, il contratto si intenderà risolto. Il proprietario dovrà, quindi, documentare e denunciare la risoluzione presso l’Agenzia delle Entrate competente. La risoluzione anticipata deve essere comunicata, entro 30 giorni dall’evento, attraverso i servizi telematici o presentando all’Ufficio il modello cartaceo debitamente compilato. Ai fini fiscali, in questi casi, i canoni di locazione aventi scadenza successiva alla risoluzione del contratto non sarebbero assoggettabili a tassazione, dovendo procedersi all’ordinaria dichiarazione e tassazione dell’immobile sulla base della rendita catastale.
Il contratto può essere risolto, altresì, in applicazione della c.d. clausola risolutiva espressa prevista dall’art. 1456 c.c. Si tratta di una clausola con il quale le parti si obbligano ad assumere un determinato adempimento, al venir meno del quale si determina la risoluzione. In questo caso il proprietario dell’immobile è tenuto anzitutto a comunicare al conduttore di volersi avvalere della clausola risolutiva. Successivamente, deve provvedere alla registrazione della risoluzione contrattuale con le modalità sopra dette, documentando le cause della risoluzione e l’avvenuta comunicazione al conduttore. Ai fini fiscali, i canoni di locazione aventi scadenza successiva alla risoluzione, non sarebbero assoggettabili a tassazione. Risoluzione del contratto a seguito di provvedimento di sfratto. Il contratto può essere risolto anche mediante il procedimento giudiziale ex art. 658 s.s. c.p.c. volto ad ottenere la convalida di sfratto per morosità attraverso un provvedimento giudiziale. Non di rado, tale procedimento viene attivato anche per ottenere l’accertamento di una risoluzione verificatasi in un momento antecedente per effetto di una delle cause di diritto sopra analizzate. Ad esempio, quando il conduttore non provveda a liberare l’immobile nonostante vi sia stata diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) o clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) In linea generale, ai fini fiscali, i canoni di locazione dovrebbero essere esclusi dalla tassazione a far data dal deposito del provvedimento giudiziale. Tuttavia, se il provvedimento accerta una precedente risoluzione, si ritiene che possa acquisire efficacia retroattiva al momento in cui la risoluzione è intervenuta. Le somme eventualmente percepite dal proprietario dopo la risoluzione del contratto, inoltre, non sarebbero tassabili ma assumerebbero, tutt’al più, la configurazione di indennità risarcitorie di occupazione senza titolo, aventi diverse modalità di tassazione [1].
Concludendo, la legge prevede diversi strumenti a tutela dei proprietari onde evitare la tassazione dei canoni di locazione non percepiti. Alla luce di quanto illustrato si ritiene conveniente inserire, ab origine, nel contratto di locazione, la clausola risolutiva espressa, al verificarsi della quale il proprietario potrebbe immediatamente far cessare gli effetti del contratto. In mancanza di tale clausola, il proprietario potrebbe procedere alla diffida ad adempiere. Infine, si potrebbe intentare un procedimento di convalida di sfratto ex artt. 658 ss c.p.c.. Tale strumento, come visto, potrebbe essere utilizzato sia ai fini costitutivi che accertativi di una precedente risoluzione. In quest’ultimo caso, ai fini fiscali, la sentenza avrebbe efficacia retroattiva.
Venendo, invece, alla situazione attuale causata dall’emergenza coronavirus, si potrebbe prospettare una diversa soluzione, sottoscrivendo un accordo di riduzione del canone di locazione da registrare presso i competenti uffici fiscali.
[1] https://www.diritto.it/d-l-cura-italia-e-credito-dimposta-sui-canoni-di-locazione-rimedi-per-i-proprietari-sui- canoni-non-riscossi