Brusciano: Echi della tragedia del Confine Orientale d’Italia nel Giorno del Ricordo. (Scritto da Antonio Castaldo)
Sono passati 15 anni da quando in Italia si è iniziato a rendere giusta memoria, con una solennità civile nazionale, 60/65 anni dopo le vicende e gli accadimenti storici sul Confine Orientale, ai tragici fatti avvenuti dal 1943 al 1945, il fenomeno delle Foibe in cui vennero inghiottite migliaia di persone ed i circa 350.000 istriani, fiumani e dalmati nell’Esodo avviato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Per questo il Parlamento italiano con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, riconosceva in via ufficiale e definitiva il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo”, avente l’obiettivo di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
È nell’anno 1991 con l’inizio della dissoluzione della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica che lo Stato italiano rende il suo primo omaggio ufficiale con i Presidenti della Repubblica, pima Francesco Cossiga (Sassari, 26 luglio 1928-Roma, 17 agosto 2010) e poi Oscar Luigi Scalfaro (Novara, 9 settembre 1918-Roma, 29 gennaio 2012). Nel 2006, due anni dopo l’istituzione del “Giorno del Ricordo” il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, (Livorno, 9 dicembre 1920-Roma, 16 settembre 2016) nel corso delle celebrazioni del 10 febbraio affermò: “L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro”.
Di quella tragedia, le vittime furono nella maggior parte italiani, ex fascisti, appartenenti all’amministrazione italiana, partigiani, carabinieri, sacerdoti e gente comune, ma vi erano anche croati e sloveni, coloro che si opponevano al regime comunista di Josip Broz, noto come Maresciallo Tito (Kumrovec, 7 maggio 1892-Lubiana, 4 maggio 1980).
Dal maggio 1945, finita la Seconda Guerra Mondiale, fra le tante foibe, dalle quali sono stati estratti la minima parte dei corpi di quei morti ammazzati, circa un migliaio, la Foiba di Basoviza, presso una frazione di Trieste, che in origine era un pozzo minerario, diveniva luogo simbolo di quel martirio.
Su quei fatti storici “uno strumento di prima consultazione rigoroso e sintetico, ai giornalisti, insegnanti e politici che hanno bisogno di un'informazione di base” è stato messo a disposizione dall’Irsrec FVG 3, Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, che ha pubblicato il “Vademecum per il Giorno del Ricordo”, sul suo sito, http://www.irsrecfvg.eu/upload/allegati/Vademecum_giorno_del_ricordo_aggiornato.pdf .
La storia del martoriato Confine Orientale, registra anche, in Slovenia e in Croazia, la “Pulizia etnica” messa in atto dagli italiani, a partire da quanto ordinato con la circolare “3C”, del 1° dicembre 1942, dal Generale Mario Roatta (Modena, 2 febbraio 1887- Roma, 7 gennaio 1968): per la fine dell’anno vennero internati in Italia circa 50.000 elementi sloveni le cui abitazioni furono distrutti e confiscati i loro beni.
Dei vari comandanti del campo di Gonars solo l'ultimo, il capitano Arturo Macchi, noto per la sua ferocia, venne ucciso dai partigiani nel 1944. Il processo di internamento di massa portò all’installazione del Campo di concentramento fascista di Gonars presso Udine, dove 5686 internati al 29 dicembre 1942 e 364 furono i morti registrati dal 16 aprile 1942 al 1° aprile 1943 [cfr. http://campifascisti.it/scheda_campo.php?id_campo=82].
La memoria della “Italianizzazione forzata” della popolazione di lingua slovena e croati tentata dal regime fascista (1922-1943) seppure non giustifica quanto avvenuto qualche parziale ma incontrovertibile elemento di spiegazione lo offre per la comprensione dei richiamati accadimenti storici sul Confine Orientale.
Finita la Seconda Guerra Mondiale dopo un lungo lavoro diplomatico internazionale, il 10 novembre 1975 veniva firmato dai rappresentanti diplomatici italiani e jugoslavi il “Trattato di Osimo” che metteva fine alla questione del Confine Orientale.
Qui di seguito, come contributo al “Giorno del Ricordo” il sociologo e giornalista Antonio Castaldo, per IESUS Istituto Europeo di Scienze Umane e Sociali, riporta la testimonianza raccolta presso la casa della Signora Sposito, Maria Carcich, nel 2005, per una sua ricerca di storia sociale nel Sessantesimo Anniversario della Liberazione.
Questa è l’esperienza vissuta da Sebastiano Sposito (Brusciano 19 gennaio1914-26 aprile 1986) e Maria Carcich (Lussinpiccolo, Pola, 4 luglio1925-Brusciano 1 agosto 2007) nel periodo storico sopra richiamato.
Nel 1939, Maria, 16 anni di età, sposò Sebastiano, il quale dopo aver partecipato come volontario alla guerra in Africa si trovava in servizio nel Corpo della Finanza a Lussinpiccolo. Giunse poi il tempo della loro odissea che iniziò dopo l’Armistizio, 8 Settembre 1943, proprio a Lussinpiccolo, allora provincia dell'Istria, Pola, italiana dal 1923 al 1947, passata poi alla Jugoslavia. Oggi è in Croazia dove Mali Lošinj con i suoi 7000 abitanti è città capoluogo dell’isola di Lussino, alto Adriatico, parte meridionale dell'arcipelago del Quarnero.
In quel periodo il finanziere Sebastiano Sposito era in servizio a Pola, mentre la moglie Maria Carcich con la propria sorella ed i bambini erano ad Unie in vacanza. La mamma di Maria, Giovanna Carcich (Lussinpiccolo, Pola, 5 marzo1888-Brusciano 25 dicembre 1970) era proprietaria di una bella casa con un ampio appezzamento di terreno nella Venezia Giulia. Alla caduta del fascismo, rimasero sotto avvicendata occupazione di fascisti slavi, degli ustascia, dei cetnici, poi dei tedeschi. Dopo l'Armistizio intere colonne di militari italiani erano allo sbando e se intercettati dai tedeschi venivano uccisi e solo chi riusciva a passare da un’isola all’altra si salvava raggiungendo infine l’Italia.
Fino al dicembre 1943 la famiglia Sposito-Carcich restò unita pur nella sofferenza e covando progetti di fuga. Un giorno, Sebastiano si procurò una barchetta e così Maria e Sebastiano con due loro figli, sua sorella con il suo bambino, con una guida si avventurarono in mare aperto. Dopo due ore di mare grosso ed aver rischiato la vita, dovettero fare ritorno ad Unie, rinunciando alla pericolosa traversata. Due giorni dopo si imbarcarono su un dragamine della Marina Militare Italiana e così poterono raggiungere Pola. Abitavano a Veruna ed il secondo bambino era nato da pochi mesi, mentre si avvicinava il Natale del 1943 con una gran freddo. Quando iniziarono i bombardamenti, Sebastiano, esperto militare, prevedendo il peggioramento della situazione decise di chiedere il trasferimento per portare in salvo la famiglia. Fatta la domanda a gennaio 1944, il mese dopo erano tutti a Sacile in provincia di Udine. Ma anche qui ci furono i bombardamenti mentre nel 1945 gli scontri continuarono con i tedeschi combattuti dagli americani e dai partigiani italiani. Quando iniziò l’eccidio degli italiani, la loro prima bambina, Antonia era ad Unie con la nonna Giovanna. Intanto i partigiani raccontavano di bambini italiani sottratti con l’ingannevole promessa della salvezza, mentre venivano messi in cassoni per essere inabissati in mare. E si sapeva anche delle Foibe dove venivano in tanti spinti a morte sicura. Nonna Giovanna, che credeva la figlia Maria ancora a Pola, pensò di riportare la nipotina dalla madre. Chiuse a chiave la porta di casa e la consegnò alla sua vicina per riprendersela al ritorno. Ma il ritorno non fu più possibile e nonna Giovanna non sapeva che sarebbe morta Brusciano dopo un trentennio di esilio senza mai più rivedere la propria casa. La famigliola rimase a Sacile fino alla conclusione della guerra da dove assistette alla ritirata dei tedeschi. Subito dopo, Sebastiano venne trasferito a Venezia e, su propria istanza, a Padova. A Sebastiano, una volta finita la guerra, venne consegnata una medaglia per aver aiutato i partigiani e contribuito alla Resistenza. Dopo un po’ i coniugi maturarono l’idea di raggiungere Brusciano, in provincia di Napoli, paese di origine di Sebastiano. E così fu. All’inizio affittarono una casetta e comprarono dei mobili, poi con tanti sacrifici costruirono una casetta, e qui Sebastiano e Maria, con Nonna Giovanna, continuarono in serenità, amore e gioia la saga familiare arricchita da 5 splendidi figli: Antonia, Giovanni, Maria Grazia, Raffaele e Adriana. Nonna Giovanna, deceduta il giorno di Natale del 1970 non ha mai più rivisto la sua casa di origine e mai le è stata restituita la proprietà. Si ringrazia per la gentile concessione di foto di famiglia da parte del discendente Sebastiano Sposito, fotografo in Brusciano prima con “Il Ricordo” poi con “Foto d’Autore”.
IESUS-Istituto Europeo di Scienze Umane e Sociali-Brusciano NA.IT.EU