Sono più di 70.000 le aziende nel mondo che hanno provato a misurarsi con i requisiti BCorp, ma solo 2.500 hanno superato il test. In Italia sono 85 le Benefit Corporation ed è il Paese in Europa dove le BCorp stanno crescendo più rapidamente.
Aziende del design come Alessi o del food come Fratelli Carli, della cosmetica come Davines a Parma. Per diventare BCorp l’azienda si sottopone a un protocollo di valutazione, il B Impact Assessment: se raggiunge un punteggio superiore a 80 punti su 200 può definirsi BCorp (la certificazione è rilasciata dall’ente no-profit, B Lab).
Tra le Benefit Corporation italiane ci sono anche aziende che fanno parte di Elite (il programma internazionale del London Stock Exchange Group-Borsa Italiana, dedicato alle aziende con un modello di business solido e una strategia di crescita). Aziende come Erbatint-Antica Erboristeria, o realtà finanziarie come Banca Prossima, banca del gruppo Intesa Sanpaolo, rivolta alle imprese sociali e alle comunità.
La riflessione che sorge spontanea è la seguente: se anche un grande fondo si confronta con questi elementi valoriali significa necessariamente che qualcosa sta cambiando.
«Il benessere è diventato il metro di misura più di moda», ha scritto l’Economist.
«C’è il riconoscimento che il Pil è una misura imperfetta – ha continuato Franklin – perché non riesce a catturare molte delle cose che davvero definiscono il senso di successo e di benessere per la gente comune».
Lo aveva già ammesso nel 1934 Simon Kuznets, premio Nobel per l’economia, che mise a punto il calcolo del Pil: il prodotto interno lordo non avrebbe comunque potuto essere utilizzato per giudicare il benessere sociale di una nazione.
E infatti, nel 2008, dopo la grande crisi, per iniziativa del presidente francese Nicolas Sarkozy, iniziò il dibattito attorno alla felicità con la Commission on the measurement of economic performance and social progress presieduta dal Nobel Joseph Stiglitz.
Conosciuta anche come Stiglitz-Sen-Fitoussi Commission (dal nome di Jean Paul Fitoussi e Amartya Sen) ha provato a individuare nuovi indici per valutare il reale stato di “salute” di un Paese.
«Oltre al Pil, bisogna guardare anche a un indice di Inequality e a uno di Sostenibilità», aveva spiegato Stiglitz.
«Prima della crisi è vero che il Pil era in crescita ma stavamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità, il tasso di risparmio era zero e si spendeva il 110% di quanto si disponeva. Ecco che cosa intendo quando parlo di indice di sostenibilità di una buona economia. Che ha anche un altro risvolto: la sostenibilità è, infatti, collegata e intaccata dal global warming, che con la crisi è stato meno al centro dell’attenzione. E poi c’è il crescente divario tra poveri e ricchi».
Ma la misurazione della felicità è ancora «un work in progress – ha fatto notare Franklin –. Il Pil resta una misura metrica di successo, non fosse altro perché riesce a sintetizzare il progresso e la forza relativa di un Paese con un singolo numero, che è anche facile da mettere a confronto. Mentre non lo è ancora il caso del Gross National Happiness index, l’indice di felicità nazionale lorda».
Nel frattempo, la schiera di aziende pronte al salto BCorp si allarga:
«Ci stiamo informando e stiamo prendendo il modello di certificazione in considerazione – hanno dichiarato in Technogym –. Produciamo e diffondiamo wellness con benefici in termini di sostenibilità sociale e salute: siamo un candidato naturale».
Tra quanti guardano alle BCorp, c’è anche René Caovilla, «perché la nuova sfida è la sostenibilità – ha fatto sapere Edoardo Caovilla, figlio di René, che ha costruito la notorietà della maison, e terza generazione dell’azienda calzaturiera –: i millennial non vogliono più la migliore azienda “al” mondo, ma la migliore azienda “per” il mondo: così abbiamo avviato il percorso che ci porterà alla certificazione BCorp».
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