Permettetemi, cari lettori, di portarvi in un viaggio attraverso quattordici secoli di storia, teologia e misticismo. Un viaggio che, come vedrete, ci mostrerà quanto sia sottile il filo che separa l'amore dall'odio, la guerra dalla pace, la comprensione dall'intolleranza.
I. Le radici comuni: Abramo padre dei credenti
Tutto inizia, come spesso accade nelle grandi storie, con un padre comune. Abramo, Ibrahim per i musulmani, è la figura centrale da cui tutto discende. Il Corano lo definisce "hanif" (il puro monoteista): "Ibrahim non era né ebreo né cristiano, ma era puro credente e musulmano" (Sura 3:67). La Torah ce lo presenta come l'uomo della fede incrollabile, pronto a sacrificare suo figlio per obbedienza a Dio (Genesi 22:1-19).
Il grande teologo musulmano Al-Ghazali (1058-1111) scriveva nel suo "Ihya 'Ulum al-Din": "Abramo è il modello della perfetta sottomissione a Dio, esempio per ebrei, cristiani e musulmani alike." Gli fa eco Maimonide (1138-1204) nella sua "Guida dei Perplessi": "Abramo fu il primo a raggiungere la verità attraverso la speculazione filosofica, comprendendo l'esistenza di un Dio unico quando il mondo era immerso nell'idolatria."
II. La rivelazione e le sue interpretazioni
Il rapporto tra Corano e Torah è di straordinaria complessità. Il Corano riconosce gli ebrei come "Ahl al-Kitab" (Gente del Libro) e afferma: "A te abbiamo rivelato il Libro con la Verità, a conferma di ciò che era prima di esso e a sua protezione" (Sura 5:48).
Il grande mistico sufi Ibn 'Arabi (1165-1240) nel suo "Fusus al-Hikam" elabora una teoria affascinante: "Ogni rivelazione è come uno specchio che riflette la luce divina secondo l'angolazione propria di quel popolo e di quel tempo."
Rabbi Abraham Isaac Kook (1865-1935), primo rabbino capo ashkenazita della Palestina mandataria, scriveva: "Le diverse religioni sono come raggi diversi della stessa luce divina, ciascuno necessario per illuminare una particolare parte dell'umanità."
È proprio nel misticismo che troviamo i ponti più sorprendenti tra le due tradizioni. Il grande mistico ebreo spagnolo Abraham Abulafia (1240-1291) studiò il sufismo e trovò paralleli sorprendenti con la Kabbalah. Nel suo "Or ha-Sekhel" scrive: "Le vie verso Dio sono molteplici come i respiri degli uomini."
Il sufi Al-Hallaj (858-922), prima di essere giustiziato per eresia, proclamava: "Ho visto il mio Signore con l'occhio del cuore", un'espressione che ricorda da vicino il chassidico "vedere Dio in ogni cosa" del Baal Shem Tov (1700-1760).
III. L'età dell'oro e i suoi protagonisti
A Cordova, nell'anno 1000, potevi incontrare il giovane Ibn Gabirol che componeva poesie filosofiche in ebraico mentre studiava i testi di Al-Farabi. Come scrive María Rosa Menocal in "The Ornament of the World": "La Spagna musulmana medievale non era una società perfetta, ma era una società in cui gli ebrei potevano essere visir, poeti, filosofi, e dove le tre culture si contaminavano reciprocamente in modo straordinario."
Hasday ibn Shaprut (915-970), medico ebreo e diplomatico del califfo Abd ar-Rahman III, traduceva testi medici dall'arabo all'ebraico mentre intratteneva corrispondenze con le comunità ebraiche di tutto il mondo conosciuto. Il suo contemporaneo Sa'adia Gaon (882-942) in Bagdad traduceva la Torah in arabo e scriveva il primo trattato sistematico di filosofia ebraica, l'"Emunot ve-Deot", fortemente influenzato dal pensiero musulmano.
Maimonide, che i musulmani chiamavano "Musa ibn Maimon", scrisse la sua opera principale, "La Guida dei Perplessi", in arabo. In essa citava liberamente Al-Farabi e Avicenna, creando una sintesi straordinaria tra pensiero greco, ebraico e islamico. Come nota Herbert Davidson nella sua biografia di Maimonide: "Era talmente immerso nella cultura araba che persino quando scriveva in ebraico, pensava in arabo."
IV. Le controversie teologiche
Una delle principali fonti di tensione teologica riguarda la successione profetica. Il Corano afferma: "Muhammad non è padre di nessuno dei vostri uomini, egli è l'Inviato di Allah e il sigillo dei profeti" (Sura 33:40).
Il grande teologo musulmano Al-Tabari (839-923) nel suo "Tafsir" commenta: "Con Muhammad si chiude il ciclo della profezia iniziato con Adamo." Ma il rabbino Ovadia Yosef (1920-2013) rispondeva: "La profezia in Israele non è mai cessata, solo si è nascosta in attesa del tempo messianico."
Al-Ghazali scriveva: "Gerusalemme è la terza città santa dell'Islam, dopo Mecca e Medina." Ma per gli ebrei, come ricorda il Talmud (Ta'anit 5a): "La Presenza Divina non ha mai lasciato il Muro Occidentale."
Il mistico sufi Abu Hamid al-Ghazali (1058-1111) propose una visione conciliatrice nel suo "Ihya": "Ogni luogo santo è come una porta verso il divino, e Dio ha voluto che ci fossero molte porte per accogliere la diversità dei suoi servi."
V. L'era moderna: nuove sfide e opportunità
Martin Buber (1878-1965), nel suo "Io e Tu", ha proposto un modello di dialogo interreligioso basato sull'incontro autentico: "Ogni vita vera è incontro." Il teologo musulmano Seyyed Hossein Nasr (1933-) gli fa eco nel suo "Knowledge and the Sacred": "La verità trascende le forme mentre le abbraccia tutte."
Il rabbino Abraham Joshua Heschel (1907-1972) e il pensatore musulmano Fazlur Rahman (1919-1988) hanno entrambi sostenuto la necessità di un "pluralismo religioso critico". Come scrive Heschel in "God in Search of Man": "Nessuna religione è un'isola. Siamo tutti interconnessi. L'insensibilità verso una religione mette a rischio tutte le fedi."
VI. La dimensione mistica: oltre le divisioni
I mistici di entrambe le tradizioni hanno sempre cercato di trascendere le divisioni dottrinali. Il chassidismo, attraverso figure come Rabbi Nachman di Breslov (1772-1810), ha enfatizzato l'importanza della gioia e della musica nel servizio divino, un tema caro anche ai dervisci sufi.
Il grande mistico sufi Rumi (1207-1273) scriveva: "Al di là delle idee di giusto e sbagliato c'è un campo. Ti incontrerò là."
Mentre il Baal Shem Tov insegnava: "In ogni essere umano c'è una scintilla divina. Chi la vede, vede Dio."
VII. Le sfide contemporanee
Oggi, mentre scriviamo queste righe, il dialogo tra Islam ed Ebraismo continua tra mille difficoltà. Come nota il filosofo contemporaneo Moshe Idel: "La sfida non è tanto trovare punti in comune, che abbondano, quanto superare le paure e i pregiudizi sedimentati nei secoli."
Edward Said (1935-2003) nel suo "Orientalismo" ci ha messo in guardia contro le semplificazioni: "La vera comprensione richiede uno sforzo costante di decostruzione dei nostri pregiudizi."
Conclusione: verso il futuro
Come diceva sempre il mio vecchio professore di Storia delle Religioni all'università di Padova: "Le religioni sono come i fiumi: nascono pure alla sorgente, ma poi raccolgono tutto ciò che trovano lungo il percorso, nel bene e nel male."
Il rapporto tra Islam ed Ebraismo è come un antico manoscritto palinsesto: sotto il testo visibile delle tensioni attuali si nascondono strati e strati di storia condivisa, di scambi fecondi, di reciproche influenze. Sta a noi, oggi, decidere quale strato vogliamo portare in superficie.
Come scrive il poeta Yehuda Amichai:
"Dal luogo dove abbiamo ragione
non cresceranno mai fiori in primavera.
Il luogo dove abbiamo ragione
è calpestato e duro come un cortile.
Ma dubbi e amori scavano
il mondo come una talpa, come un aratro."
E con questa speranza, cari lettori, vi lascio alla vostra riflessione.
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