“Vite d’insieme” è come un: «Noi». Sussurrato all’orecchio, di notte, che vuole essere un monito al fine di fermarsi, anche solo per un istante. Ascoltare, cosa c’è intorno. E appuntarlo: rileggere in quelle brevi righe composte dalle vite altrui, noi stessi, legati gli uni agli altri attraverso la poesia. Emanuele Prisciandaro, giovane autore di Biella ma che vive a Torino da nove anni, parla così della sua opera pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «Con l’espressione “Vite d’insieme” - spiega il poeta, classe 1996, che nella vita si occupa di progettazione grafica e comunicazione - intendo ricreare uno spazio di condivisione, il mio bar di quartiere ad esempio: qui sono di passaggio svariate vite, ogni giorno. Ognuno ha la propria, cupa o raggiante che sia non ha importanza. Il titolo del mio libro vuole sottoporre al lettore l’idea di un grande cerchio di persone: io racconto una storia e chi mi sta intorno le dà un tono diverso, la completa con quel pizzico in più che serve per servire un gran piatto, guarnito dalle storie degli altri, amalgamate alla mia».
La raccolta poetica è un inno alla condivisione, all’importanza di mettere la propria vita in relazione a quella degli altri, conoscendo, però, prima sé stessi. «Per evitare di snaturare l’identità personale è necessario, quindi, stringere un patto allo specchio: il mio consiste nel guardarmici dentro, accettando tutto quello che ha da offrire. Mancherà sempre qualcosa, è inevitabile per ognuno di noi. Eppure, mi piace pensare di poter colmare questa mancanza attingendo dall’empatia, la base della natura sociale dell’uomo. Una raccolta di figurine, alla fine dei conti, si completa solamente scambiandosi le figurine». Il tempo è il concetto cardine dell’intera raccolta poetica. Il tempo inteso come indice, che ha il compito di raccogliere e dare ordine ai capitoli aleatori della vita: dalla goliardia dei vent’anni alla routine quotidiana, dall’amore ai rapporti stretti, ma anche persi. «Vite d’insieme - scrive, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, attore, regista e poeta, figlio del Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo - mette in primo piano il rapporto con gli altri. In una società individualista, in cui, sovente, non si considera importante la collaborazione, ma solo il risultato personale, è interessante riscoprire che cosa significa ascoltare, sentirsi parte di un tutto, senza però annullarsi, potenziando il singolo contributo».
La produzione poetica del giovane Emanuele si fonda su reali esperienze dettate dal presente. «Non ho alcuna facoltà di scrivere qualcosa che non mi appartiene, che non ho ancora potuto assaporare. Certo, la fantasia gioca un ruolo fondamentale all’interno del processo creativo ma, da sola, è un concetto svuotato del suo stesso significato, qualcosa lontano da ciò che sono in “realtà”». Nell’era dei social è cambiato radicalmente il concetto di “condivisione”, per l’uso che ne viene fatto. «Non cerchiamo veramente l’altro - spiega il poeta - bensì l’idea che l’altro ha di noi stessi, distorta e camuffata dall’innumerevole quantità di luoghi comuni ai quali, quotidianamente, siamo sottoposti. La morale è che, oggi, non vogliamo più condividere noi stessi, così come siamo, semplicemente perché non ci farebbe guadagnare abbastanza interazioni e notorietà. Paradossalmente, i social sono stati ideati per rafforzare i legami con gli altri, amplificarli: è sorprendente, ma nel contempo inquietante, la capacità dell’uomo di manipolare e ribaltare l’innato candore di cui è provvisto in puro squallore». “Poesia condivisa” rappresenta il cuore pulsante di “Vite d’insieme”, in cui si esprime al meglio l’idea della raccolta di liriche. “25 parole hanno contribuito a scriverla, ovvero 25 persone differenti. Legate da una poesia condivisa”.
Il libro è dedicato a Gabriele Galloni, poeta morto a soli 25 anni. «Un episodio “maieutico” - racconta Emanuele - è sicuramente l’incontro a Lanuvio (Roma) con il poeta e amico Antonio Veneziani e Irma Bacci, la mamma di Gabriele. Da quel preciso istante, ho sentito il bisogno di tradurre in versi l’amore di una madre, Irma, concepito ancor prima della sua stessa origine. E l’amore di un figlio, Gabriele, per la poesia».
I versi sono pensieri tradotti in poesia, in cui l’autore utilizza molto le rime alternate e i punti di sospensione, come congiunzione, ma anche per concedere a ciascuna parola il tempo di esprimere appieno il potere del suo significato. L’intento è quello di suscitare immagini evocative, attraverso una scrittura immediata, d’impatto, ma allo stesso tempo profonda e riflessiva. «Vorrei che il lettore s’immaginasse altrove - afferma Emanuele Prisciandaro -, seduto all’ombra di un maestoso albero secolare, a contemplare il tempo che scorre su ogni singolo anello. Vorrei che si sentisse parte della storia, decifrata nei resti lasciati dal tempo e mai più custoditi, perché sono i pensieri dati per scontato a mancare, quelle piccole debolezze che, una volta, ci appartenevano. Voglio trasmettere ciò che il lettore fa finta di non vedere, quello che considera “niente”. La poesia è in grado di trasformare quel niente in qualcosa che c’è, un po’ come il microscopio che rivela l’invisibile».
Federica Grisolia