È un viaggio senza fine la nuova raccolta di poesie targata Aletti editore, dal titolo “Naufraghi dell’infinito”, in cui l’autrice, Elena Nen, all’anagrafe Elena Nicoleta Neghina, s’interroga sul senso della vita, sull’amore o sulla sofferenza, e le risposte sono un infinito punto di vista. Insieme, le parole, naufragio e infinito, rispecchiano la condizione umana nella sua fragilità e nella sua forza. «La scelta del titolo nasce da un’esperienza personale, da quel senso di diversità che a volte avvertiamo nei confronti del mondo che ci circonda. La sensazione di essere naufraghi in una realtà che non ci appartiene, perché spesso siamo alla deriva nell’ indifferenza, è un’emozione che ha segnato la mia vita e la mia scrittura. Il naufragio - spiega l’autrice, nata in Romania ma che vive a Milano - è il simbolo che meglio rappresenta la perdita, la disperazione e l’impotenza che ci spingono all’isolamento in una voragine di domande esistenziale».
La poesia diventa, così, una bussola magica in questo viaggio esistenziale, che non ha una meta precisa ma è una continua esplorazione di se stessi, un rifugio sicuro, una lente con cui osservare il mondo con occhi nuovi e cogliere la bellezza anche nei dettagli meno visibili e nelle situazioni più difficili. «Scrivere è un modo per dare forma al caos interiore che c’è in me e per connettermi alla profondità della vita».
La silloge è una raccolta di poesie che oscillano tra lirismo ed ermetismo, approfondendo espressioni intime ed introspettive, con un linguaggio ricco di simbolismi e figure retoriche, tra cui sinestesie e, soprattutto, metafore. La forma è libera, senza vincoli metrici o ritmici, per favorire un’interpretazione più personale e riflessiva da parte del lettore. I versi si addentrano negli abissi dell’essere, per svelare le complessità che si celano sotto la superficie. È un viaggio introspettivo in cui l’autrice si interroga sulla veridicità di ciò che appare. «La metafora, utilizzata nel titolo della raccolta - scrive, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, attore, regista teatrale e poeta, figlio del Premio Nobel Salvatore Quasimodo -, enuncia una condizione comune a tutti gli uomini che si sentono in balia di un destino nemico. Non si riesce a spiegare il senso della vita; le avversità sono in agguato ed è facile soccombere».
Molteplici i temi che hanno ispirato l’autrice: dall’amore e dalla perdita, nella loro intensità e profondità, alla ricerca della propria identità. Con la natura e il fluire inesorabile del tempo, fedeli compagni del suo viaggio poetico. Ma, soprattutto, il dolore per la perdita della madre, seguita dalla perdita del padre e dei suoi amati pelosetti, in cui trovava sempre conforto. «Con la loro scomparsa mi sono ritrovata, passo per passo, a sprofondare nell’ignoto, una prospettiva che mi terrorizzava. Così la scrittura è diventata la mia ancora di salvezza».
E anche il finale della silloge racchiude in sé una profonda riflessione sull’esistenza. La poesia, dal titolo “E fu” indica sia un’accettazione rassegnata della realtà, sia un barlume di speranza per il futuro. «Ognuno di noi, almeno una volta, si è sentito come un naufrago in questo immenso oceano. Eppure, è proprio nell’accettare questa fragilità che troviamo la forza di risalire dagli abissi, più forti e determinati di prima. Per guardare dentro ci vuole coraggio, ma solo così si può riabbracciare la vita nella sua autenticità. In questo viaggio - conclude Elena Nen - non siamo mai soli».