di Vito Coviello, Socio AIDR e Responsabile Osservatorio Tecnologie Digitali nel settore dei Trasporti e della Logistica
Cosa sappiamo delle valute digitali o criptovalute?
È la domanda che mi sono posto leggendo l’intervista del 15 luglio u.s. a Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea: “… la BCE avvierà da ottobre 2021 una fase di indagine per realizzare l’euro digitale, con l’impegno di portare a termine questaindagine nei prossimi due anni…”.
Sappiamo ancora poco di valute digitali, anche se sono tantissimi gli articoli pubblicati sul tema: sappiamo che esistono, un po’ meno quante sono, in tanti ignorano come si generino queste valute e come si effettuino i pagamenti ma, anche, qual è il loro attuale livello di espansione nei mercati finanziari.
Le criptovalute o valute digitali sono generate con un sistema di codici.
Non mi soffermo nei dettagli del complicato algoritmo di generazione delle unità di moneta, mi limito a dire che le criptovalute si basano su di un sistema di generazione di unità di valuta virtuali prodotte e controllate servendosi di database DLT (Distribuite Ledger o registro distribuito, che in genere è una blockchain) e che essi funzionano come un registro pubblico e decentralizzato.
Un’altra caratteristica comune delle criptovalute è che sono state pensate per ridurne lentamente la produzione al fine di avere in circolazione un numero limitato di unità di valuta.
La limitazione del numero di unità di valuta in circolazione fa sì che le possiamo accomunare alle materie prime più preziose (oro, diamanti,) e come per queste ultime è possibile acquistarle, vederne accrescere o diminuire il valore, utilizzarle come strumento di pagamento alternativo per le transazioni on line.
Chi produce le criptomonete?
Le estraggono i “miners” o minatori grazie a potentissimi computer (server) e a complessi algoritmi di calcolo che dovranno risolvere, come meglio evidenziato di seguito.
Si discute molto sull’enorme dispendio energetico consumato dai questi potenti elaboratori che i minatori utilizzano: occorre una elevata capacità di calcolo per avere la probabilità di riuscire ad estrarre nuove monete virtuali da poter immettere nel mercato, risolvendo complicatissimi algoritmi.
Come avviene il processo di estrazione delle criptomonete?
Il processo di estrazione di criptovalute come Bitcoin è detto “criptomining”: i minatori dovranno eseguire enormi calcoli matematici per sperare di estrarre e produrre i Bitcoin: la difficoltà di estrazione aumenta sempre di più nel tempo.
I “minatori” potranno estrarre i Bitcoin quando avranno risolto i complessi calcoli ma potranno essere “pagati”, ovvero potranno veder riconosciuto il loro lavoro, solo quando avranno raggiunto l’obiettivo di risoluzione di un “blocco” di Bitcoin.
In tanti si sono organizzati in gruppi tramite il crowfunding (raccolta fondi effettuata per lo più via internet): i soci partecipano ai progetti di estrazione con l’obiettivo primario di cedere poi l’attività a grossi player.
L’estrazione avviene, come anticipato sopra, grazie ai super computer programmati per entrare nella rete della criptovaluta da estrarre (i più lavorano per estrarre Bitcoin e la rete è una blockchain): lavorano 24 ore al giorno con l’unico obiettivo di risolvere complicatissimi problemi computazionali.
I minatori lavorano in competizione con altri gruppi di minatori altrettanto organizzati: ogni volta che riescono a risolvere un problema, che di fatto consiste nel generare una precisa sequenza di lettere e numeri riconosciuta come corretta dall’algoritmo ideato da Satoshi Nakamoto, fanno nascere un nuovo Bitcoin. I minatori potranno quindi essere pagati ogni volta che riescono ad agganciare un “blocco” di Bitcoin che ad oggi è pari a 6.5.
La composizione del blocco è destinata a dimezzarsi progressivamente perché ad esempio nel caso specifico della criptovaluta Bitcoin l'algoritmo prevede che al termine del processo di estrazione, che secondo i calcoli e le proiezioni attuali si prevede che avverrà verso il 2130, i Bitcoin estraibili dalla rete non dovranno superare quota 21 milioni (si calcola che ad oggi siano stati estratti circa 18 milioni di Bitcoin).
Ogni quattro anni la formula di Nakamoto prevede che il blocco, e di conseguenza il premio, si dimezzi: alla nascita della valuta nel 2009 i minatori potevano estrarre blocchi di 50 monete virtuali, oggi il blocco si è ridotto a 6,5 e tenderà progressivamente a ridursi nel rispetto della regola imposta.
Quali sono i vantaggi per i minatori allora?
I miners sono incaricati di garantire la sicurezza della rete e di validare tutte le transazioni effettuate, il blocco estratto è il loro premio / guadagno. Non è un’attività facile, oggi i miners si stanno organizzando in gruppi per avere sempre più potenza di calcolo ma, anche, si stanno mettendo a loro disposizione computer con minore consumo energetico per risolvere in parte anche il problema dell’enorme dispendio energetico dei processi di elaborazione attivi H24.
Quali sono i benefici dell’utilizzo delle criptovalute?
I benefici sono molteplici.
Si può trasferire una criptovaluta on line ad un’altra persona senza la necessità di un intermediario e senza costi aggiuntivi, mentre per le monete tradizionali occorre la presenza di una banca o di altro istituto di pagamento che si trattengono una fee per ogni operazione.
Le criptomonete possono essere acquistate anche come forma di investimento: come per altri beni preziosi il valore può crescere ma, attenzione, potrebbe anche diminuire. Le criptomonete sono valide in tutto il mondo da chi le accetta come metodo di pagamento, non sono legate ad un territorio specifico.
Le criptomonete sono uguali in tutto il mondo, per cui se per esempio pago in Bitcoin, in tutto il pianeta viene riconosciuto ed accettato allo stesso modo perché le criptomonete sono per loro stessa natura una moneta internazionale e non sono vincolate ad uno specifico territorio geografico o politico.
Le criptomonete hanno un elevato standard riguardo alla privacy: è necessario condividere un minore numero di dati personali rispetto alle transazioni effettuate con le monete tradizionali. I dati presenti nei registri pubblici non sono direttamente legati all’identità di chi effettua le operazioni e ciò assicura una maggiore riservatezza nei pagamenti.
Come avviene un pagamento in criptovalute?
Le transazioni avvengono per il tramite di tecnologie peer-to-peer dove i nodi (dispositivi hardware del sistema in grado di comunicare con gli altri dispositivi che fanno parte della rete) sono equivalenti o 'paritari' (peer), potendo fungere al contempo da client e server verso gli altri nodi terminali (host) della rete. Su tali computer vengono eseguiti dei programmi che svolgono la funzione di portamonete.
Si utilizza uno schema proof-of-work a salvaguardia della contraffazione digitale e le transazioni e il rilascio delle medesime avvengono in rete collettivamente, senza una gestione centralizzata.
Con il termine Proof-of-Work (PoW) si fa riferimento all’algoritmo di consenso che è alla base della rete Blockchain (o altra rete con analoghe caratteristiche). l’algoritmo viene utilizzato per confermare le transazioni e produrre i nuovi blocchi della catena.
Il controllo decentralizzato di ciascuna criptovaluta avviene attraverso una tecnologia di contabilità generalizzata che si basa sulla tecnologia di registri di informazioni digitalizzati e decentralizzati, nota come Distribute Ledger o DLT: in genere è una Blockchain che funge da database delle transazioni finanziarie pubbliche.
Dalle Criptovalute alle Stablecoin
Tra le critptovalute la prima a nascere è stata Bitcoin creata nel 2009 dal celebre “Satoshi Nakamoto”, pseudonimo dietro al quale si nasconde un gruppo di informatici. Per La criptovaluta Bitcoin non si prevede che si possano superare il numero di 21 milioni di unità, limite imposto per assicurare una stabilità al valore della moneta.
Altra criptovaluta è l’Ethereum, la cui produzione non prevede che possa superare i 18 milioni di unità. In realtà sono molte altre ancora le criptovalute in circolazione, sono centinaia oggi le criptovalute emesse: c’è addirittura chi ne conta più di 3.000 ma considerando anche le cosiddette stablecoin, termine con il quale si fa riferimento a quelle criptovalute il cui valore è ancorato a quello di una moneta che ha un corso legale (p.e. dollaro o euro).
Le cripto valute non hanno un corso legale in quasi tutto il pianeta e, quindi, l’accettazione del pagamento è su base volontaria. Bitcoin è stata la prima criptovaluta al mondo, la seconda è Ethereum. Si stima che entrambe capitalizzino circa il 60% del mercato delle criptovalute e che le criptovalute capitalizzino quasi un trilione di euro.
I numeri sopra citati e la crescita delle criptovalute hanno attirato ben presto le attenzioni di un numero sempre più crescente di Paesi e anche di molte aziende.
Alcuni Paesi hanno avviato una sperimentazione sotto il loro diretto controllo dell’utilizzo di una propria moneta virtuale nell’ambito dei propri confini.
Cito tra questi l’Uruguay con l’e-peso ma in Uruguay è stata anche presentata da pochi giorni una proposta di legge per riconoscere e accettare le altre criptomonete, i Bitcoin in primis.
In Venezuela Nicolas Maduro ha annunciato che il 2021 sarà l’anno della criptovaluta nazionale Petro.
Anche molti altri Paesi stanno utilizzando o si avviano ad utilizzare le criptovalute, considerata l’assenza dei costi di transazione: le Bahamas hanno seguito lo stesso percorso con il Sand Dollar, mentre Nayib Bukele, presidente di El Salvador, ha nazionalizzato il bitcoin: Nayib Bukele lo ha reso facoltativo nel suo Paese e ne ha consigliato l’uso.
Business: Chi sta utilizzando ora le criptovalute e quale è il livello di diffusione di utilizzo?
Sono aumentati di molto negli ultimi anni gli imprenditori e, più in generale, i vari settori di Business che stanno utilizzando le criptovalute: tra i nuovi milionari, Forbes ne cita alcuni quali Cameron Winklevoss e suo fratello Tyler che hanno investito ingenti risarcimenti derivanti da una causa vinta in Bitcoin. C’è poi il gigante dei pagamenti Square ( 161 milioni di dollari investiti in Bitcoin, e tanti altri.
Paypal, invece, ha consentito ai suoi oltre 300 milioni di utenti di acquistare Bitcoin e di spenderli nei 26 milioni di esercizi commerciali che supporta.
L’elenco è abbastanza lungo ed è destinato a crescere.
Perché allora c’è stato tanto scetticismo iniziale tra le Banche nei riguardi delle criptovalute e, adesso, molte Banche Centrali stanno pensando di lanciare una loro moneta virtuale o CDBC (Central Bank Digital Currency)?
Le banche commerciali come sappiamo, regolano le transazioni tra privati e imprese e trasferiscono i saldi tra i diversi conti e le altre banche. Se le transazioni poi non sono nell’ambito della stessa banca, esse sono condotte per il tramite di una terza parte dove le banche interessate o i delegati hanno i fondi su un medesimo registro (Banca Centrale o altra banca commerciale).
È questo un sistema che funziona da tantissimi anni e si può ben comprendere il motivo di tanto scetticismo nei riguardi delle innovazioni tecnologiche che potrebbero cambiare il paradigma: le criptovalute potenzialmente potrebbero svilupparsi sempre più bypassando le influenze sia governative sia le supervisioni Bancarie.
La maggior parte delle banche vede le criptovalute come un rischio per il cliente ma, soprattutto, come una potenziale minaccia per il loro modello di business. Si stima che una consistente parte dei ricavi bancari derivi dai pagamenti e da altre commissioni (38-40%) al lordo delle commissioni delle società di servizi finanziari.
La potenziale espansione delle criptovalute nel sistema dei pagamenti ha costretto, pertanto, molte delle principali banche centrali ad avviare l’esame di fattibilità per l’introduzione di una valuta digitale complementare o come possibile sostituto del denaro fisico.
La CDBC è infatti una valuta digitale ma emessa da una Banca Nazionale ed ha un corso legale: come per le valuta corrente, la Banca Centrale ne controlla l’emissione al fine di regolare le fluttuazioni e garantire la stabilità economica. La CDBC è, quindi, la risposta che le Banche Centrali, e tra questa anche la BCE, stanno esplorando per contrastare la crescita delle criptovalute.
Nella verifica di fattibilità le Banche Centrali ipotizzano di avere due differenti forme di CDBC:
- una Cbdc al dettaglio che diverrebbe la versione della moneta digitale per il pubblico e sostituirebbe le banconote;
- l’altra all’ingrosso la cui accessibilità sarebbe limitata alle banche Centrale e che andrebbe a sostituire le transazioni interbancarie.
Per le CBDC all’ingrosso si sta valutando di regolare le transazioni interbancarie con un token digitale. Alla base ci sarebbe un libro mastro distribuito, un consenso sui cambiamenti di proprietà delle risorse da parte dei nodi creando di fatto un sistema decentralizzato.
Le autorità stanno anche valutando se i cittadini quando utilizzeranno le monete digitali CDBC, dovranno utilizzare degli ID digitali oppure un token. La scelta del token sarebbe più in linea con le logiche delle critptovalute tradizionali perché porta a mantenere le transazioni più anonime.
È molto probabile, però, che la scelta cadrà sul sistema di identificazione digitale: questa soluzione consentirebbe di attivare dei controlli quali, ad esempio, impedire di utilizzare valute digitali diverse dal Paese di appartenenza.
La Banca Centrale europea e la decisione di lanciare l’euro digitale
la Banca centrale europea ha avviato formalmente lo studio di fattibilità sull’euro digitale. A partire da ottobre 2021 ed entro i successivi 24 mesi, lo studio dovrà portare ad individuare infrastrutture, piattaforma, cybersecurity, normativa, modello di business e ogni altra valutazione necessaria per utilizzare l’euro digitale.
La BCE pur essendo partita con un po’ di ritardo rispetto alle altre Banche Centrali, ha dato avvio ad una nuova e importante fase verso la crescente digitalizzazione delle nostre economie.
All’inizio avremo un euro digitale complementare all’Euro tradizionale con una previsione, tutta da verificare nel concreto al termine dello studio di fattibilità, di sostituzione dell’euro tradizionale nei successivi cinque anni.