Elisabetta Trenta, dove eravamo rimasti?
Al mese di novembre del 2019, quando si concluse il mio incarico di ministro della Difesa nel primo governo Conte. Non fui confermata in quello successivo, dove il Pd che aveva preso il posto della Lega. Avevo subito attacchi violenti e ingiusti. Non avevo ricevuto la solidarietà, che mi sarei aspettata dai vertici del Movimento. Lasciarono che a succedermi fosse Lorenzo Guerini, esponente di un partito che fino a pochi giorni prima era stato all’opposizione. Mi sono sentita esclusa, rimossa da me stessa. Era come se avessero fretta di cancellare un capitolo e riscrivere daccapo tutta la storia. In quel capitolo era racchiusa la più straordinaria esperienza politica e umana della mia vita.
L’hanno anche esclusa dal team per la difesa, quando nei mesi immediatamente successivi istituirono i cosiddetti facilitatori, che avrebbero dovuto supportare il capo politico, in base alle loro competenze. Un ministro della Difesa escluso dal team difesa. Si è sentita vinta e sola?
No, mai. Il Movimento è fatto di uomini. Di attivisti, parlamentari e dirigenti politici. Ho ricevuto attestazioni di stima e di affetto che mi hanno dato la forza per ricominciare. Ero tornata a essere un’attivista, uno dei tanti soldati semplici, da sempre corpo e anima di un movimento che giustamente si vantava di muoversi dal basso verso l’alto e non viceversa, come fanno tutti i partiti.
Che cosa le è rimasta dentro della sua esperienza governativa?
Mi è rimasto nel cuore il grande affetto dei tantissimi militari che avevano sperato che con me fosse aperta una stagione nuova. L’obiettivo era rimettere al centro dell’attenzione gli uomini delle forze armate, come insostituibile risorsa da salvaguardare. Vede, per me anche con i budget più cospicui non puoi raggiungere lo scopo, se non ci sente tutti insieme una comunità e ciascuno al posto giusto e importante. Mi scrivono ogni giorno e mi chiedono consigli, come se fossi ancora con loro. Mi è rimasta la soddisfazione di aver avviato tante riforme, piccole e grandi. Alcune, nonostante tutto, stanno andando avanti. Mi sono rimasti la consapevolezza e l’orgoglio di essere riuscita a rimanere sempre me stessa. Molti attivisti mi hanno ringraziato. Hanno capito che ero rimasta un attivista fedele ai principi e vicina a tutti, anche da ministro della Difesa.
Lei si è sentita come zittita. Quanto è durato il silenzio?
Fino a novembre dell’anno scorso, quando mi sono iscritta come semplice attivista agli Stati generali del Movimento. Sono stata prima eletta fra i trentatré delegati della Regione Lazio e poi tra i trenta ammessi a intervenire all’assemblea nazionale. Se ricordo bene, credo fra i trenta eletti che hanno tenuto un discorso, gli attivisti senza gradi fossero non più di due. Alla fine si è deciso di sostituire il capo politico, con un organo collegiale composto da cinque persone e da poco sono state fatte le votazioni in piattaforma per modificare in tal senso lo statuto. Siamo, ahimè, ancora nella fase di attesa. All’ennesimo stallo. Ho deciso, lo dico ora per la prima volta, di candidarmi per uno dei cinque posti dell’organo collegiale che dovrà coordinare il movimento e assumersi, di volta in volta, la responsabilità delle decisioni. Penso che la prima cosa da fare sia stabilire le regole e i confini di un’organizzazione stabile. Avremmo dovuto pensarci prima, nello stesso preciso momento in cui da forza di opposizione dura e pura, quali eravamo, siamo diventati quelli che hanno avuto il coraggio di cambiare per assumersi la responsabilità di governare questo Paese.
La mancata organizzazione ha causato dei danni?
Nell’ultimo anno c’è stata una moria inaccettabile di uomini e donne che erano nel Movimento e hanno deciso di uscirne. Una moria che stiamo pagando tutti e in tutti i sensi. Si è accusato Matteo Renzi di essersi messo di traverso al Conte bis, fino a provocarne la caduta. Forse se tutti noi fossimo rimasti tutti uniti sotto lo stesso tetto, la conclusione sarebbe stata diversa.
E ora?
Ora la frattura si è allargata. Ci sono stati espulsioni dai gruppi parlamentari che non sono ancora espulsioni dal Movimento. Mi piace immaginarle come schermaglie fra amici, fratelli e sorelle che si vogliono bene e hanno fatto una lite chiassosa, ma che non hanno nessuna voglia di andare da nessuna altra parte e sanno che la separazione sarebbe la fine per tutti. La condanna all’inconsistenza. Perché in politica, e forse anche nella vita, il trenta per cento diviso per tre non fa mai tre volte il dieci per cento.
Riapparecchiare la tavola, riunire le forze sparse e poi
Poi bisogna riscrivere le regole e i confini di un’organizzazione che non lasci più niente al caso e a qualsivoglia tentazione di supremazia verticistica. Mettendo, o meglio rimettendo, al centro i pensieri, le speranze e i desideri di uomini e donne reali con un corpo e un’anima, il cuore pulsante del Movimento, che non potrà mai essere sostituito dai clic di una piattaforma meccanica, tropo spesso vissuta come eterodiretta o quantomeno etero-condizionata. Un movimento che era e resterà unico solo fino a quando il circuito delle aspettative, delle scelte, dei sogni, perché dei sogni si deve conservare memoria anche quando si è al governo, continuerà a muoversi dal basso verso l’alto e non al contrario. Come avviene nei partiti tutti.
Basterà?
Sì, se capiremo che c’è più che mai bisogno di noi. Vede, quando accusiamo i nostri portavoce e i nostri parlamentari di essersi fatti anche loro sistema, di quale sistema stiamo parlando? Il sistema, per come lo abbiamo inteso sino ad ora, è morto. Il nostro compito è di pensare al “sistema”, e questa volta uso la parola in senso positivo, che verrà. Siamo di fronte a trasformazioni epocali, che solo dieci anni fa erano inimmaginabili. E chi meglio di noi, i visionari, i rivoluzionari, che hanno avuto il coraggio di assumersi la responsabilità di incidere e decidere, può non solo accompagnare e rincorrere il futuro che sarà, ma anticiparlo e indirizzarlo nella direzione che sceglieremo noi. Certo, noi vuol dire uomini e donne capaci di confrontarsi anche aspramente, ma senza mai chiudersi la porta in faccia. Le porte vanno aperte, non chiuse. Perché nulla tornerà più come era prima. A prescindere dalle conseguenze della pandemia. Navigheremo a vista in un mare sempre più aperto. Dovremo guardare sempre in avanti e mantenere la barra del timone dritta. Senza tentennamenti. Una nave organizzata in tutti i suoi comparti, da poppa a prua. Forse l’esperienza alla Difesa mi ha lasciato proprio questo segno. Quando mi sono trovata in Iraq in una missione militare, ho capito dal vivo, sin dal primo giorno, quanto conti l’organizzazione, la coesione e il riconoscimento del comando, per arrivare ai risultati. Proprio io, che invece venivo da una società molto orizzontale, organizzata per cerchi concentrici e tante aree di responsabilità condivise, durante quella missione compresi che un comandante è capace, se sa ascoltare e cogliere tutte le informazioni che gli arrivano dal basso. Da allora mi sono convinta che anche un caporale può contribuire alle decisioni strategiche più importanti.
Chi potrà salire sulla nave?
Una nave organizzata conosce i suoi obiettivi. Ci confronteremo e capiremo chi più li avvicina. Senza preclusioni, ma con una conditio sine qua non.
E quale sarebbe questa imprescindibile e invalicabile condizione?
La nostra identità. Quella deve tornare a essere in nessun caso negoziabile. Qualunque cosa faremo e saremo, dovrà avere la nostra impronta riconoscibile. L’organizzazione è l’unica risorsa che ci può preservare da ogni sconfinamento e da ogni diversa deriva.
Un’organizzazione al servizio del nuovo capo politico Giuseppe Conte?
Giuseppe Conte è stato il mio Presidente del Consiglio ed è una persona di grande capacità e spessore umano. Per organizzarsi, però, bisogna seguire una linea retta e non perdersi nei meandri di un continuo zig zag. Abbiamo appena deciso che a guidare il Movimento dovrà essere un organo composto da cinque persone. Tornare indietro solo per rimettere un uomo solo al comando della corsa sarebbe vissuto da molti come una scelta calata dall’alto, ad personam, che contraddice le regole che ci siamo appena dati. E una decisione democraticamente assunta. Non ci possiamo permettere di perdere anche solo un’altra pedina. Dobbiamo restare uniti. Ricompattarci. Organizzarci nel modo più trasparente possibile. Valorizzando il merito e le competenze. Dobbiamo proiettar verso il futuro come un Movimento ritrovato, che ha dentro di sé una marcia in più. E l’orgoglio e la felicità di essere una comunità del cuore, della coerenza, della passione disinteressata. Tutti per uno e uno per tutti. Io ci sono. Io Elisabetta Trenta, ex ministro della Difesa, ora fieramente un soldato semplice, senza gradi né blasoni.
Intervista di Antonello Sette per SprayNews