Amedeo Laboccetta, lei si è imbattuto personalmente nella malagiustizia dei Pubblici Ministeri, quella di cui parla Luca Palamara nel libro intervista di Alessandro Sallusti. Una malagiustizia che ti vorrebbe condannato sic et stantibus, a prescindere dall’esito di un eventuale processo…
Io credo che tutti gli italiani siano vittime del Sistema descritto da Palamara. Perché tutti direttamente o indirettamente, hanno potuto toccare con mano l’ingiustizia che regna sovrana in questo Paese. Una situazione degenerata e inquietante, che andrebbe affrontata con la massima serietà e con una riforma strutturale della giustizia.
Perché è così difficile riformare questa benedetta giustizia? Perché la politica seguita a fare orecchie da mercante, come se tutto procedesse secundum legem e con il vento in poppa?
La politica ha perso di vista il coraggio. E’ subalterna e piena di complessi nei confronti dell’ordine giudiziario. La politica ha scelto l’esilio e per il momento non sembra intenzionata a rientrare. Basterebbe un minimo di volontà politica per avviare una riforma seria. Dopo il libro denuncia di Palamara e Salllusti ci sono tutte le conoscenze e tutte le condizioni per affrontare un tema ormai ineludibile.
Non mi ha ancora, però, risposto a quello che sottendeva la mia domanda. Perché sulla giustizia e sulla necessità di riformarla le forze politiche si dividono come Guelfi e Ghibellini. Una giustizia che non prevarichi e funzioni non dovrebbe corrispondere a un segno politico ma all’interesse generale?
La verità è che il Pd e i 5 Stelle pensano di lucrare utilizzando la magistratura come una sponda. Pensano che possa essere loro di ausilio nella conquista o nel mantenimento del potere. Un errore macroscopico. Non si rendono conto che il treno dei desideri all’incontrario va e rischia di investire anche loro. Ormai è la magistratura che usa i partiti e non viceversa. Non fa sconti a nessuno. Utilizza la politica per fare il suo gioco e molto spesso non è un gioco corretto, ma pesantemente opaco. Io spero che il Sistema di Sallusti e Palamara possa essere il primo passo di un percorso che porta alla costituzione di una Commissione d’inchiesta e a quel dibattito a trecentosessanta gradi che, da Tangentopoli in poi, si è sempre rinviato per un ossequio mal posto e una subalternità incostituzionale.
Neppure l’intervento di una personalità di grande caratura e ovviamente al di sopra delle parti, come Sabino Cassese, che si è unito al coro di chi auspica una commissione d’inchiesta sull’uso della giustizia, ha a quanto sembra smosso le acque… C’è ancora chi si ostina a sostenere che sarebbe un attentato all’indipendenza della magistratura. Perché non si riesce a spoliticizzare neppure una grande questione come questa?
Anche io speravo che l’intervento di Cassese riuscisse a smuovere la morta gora del pregiudizio. Non è accaduto nulla di questo. Credo che l’unica possibilità sia quella di irrompere con un torrente dal basso, dal popolo, dai cittadini. Ho lanciato una petizione popolare che in meno di una settimana ha già raccolto quasi tremila firme. Io confido molto in un pressing dei cittadini sul mondo politico. So per esperienza come vanno queste cose. Il politico, in assenza di una grande sollecitazione popolare, magari avvia l’iter per calendarizzare la commissione d’inchiesta, salvo poi abbandonarla su un binario morto. La politica, se non la incalzi, spesso si distrae e anche le più grandi questioni rischiano di finire in cavalleria.
Quindi?
Quindi non bisogna mollare la presa. Stiamo combattendo una battaglia che non appartiene, o almeno non dovrebbe appartenere alla destra o alla sinistra, ma a tutti. Come tutte le battaglie di civiltà. Io rimango fiducioso, nonostante le evidenti difficoltà. E’ una strada tutta in salita, ma per me è importante percorrerla, se, come io credo, lo scopo della vita è quello di lasciare un segno del proprio passaggio. Ciascuno naturalmente per la sua piccola e grande parte.
Che cosa l’ha fatto arrabbiare percorrendo questa strada tutta in salita?
Non mi sono arrabbiato, ma ho avvertito un dispiacere profondo per una politica che non ha contezza del proprio ruolo. La politica può e deve tornare a essere protagonista. E può riportare l’ordine giudiziario nell’ambito e nell’equilibrio dei poteri che la Costituzione ha con molta lungimiranza previsto. La politica deve tornare a osare, come faceva la tanto vituperata Prima Repubblica. Era un sistema che aveva i suoi limiti, ma che poteva contare su una classe dirigente in possesso di una qualità che oggi si è smarrita. Viviamo nel mondo della mediocrità. Speriamo di uscirne presto.
Ultima domanda. Se lei pensa a una vittima della giustizia deformata di cui parla Luca Palamara nel libro di Sallusti, quali nomi le vengono in mente?
Le vittime, che hanno pagato prezzi inaccettabili per uno Stato di diritto, sono tante. Troppe. Le farò due nomi che hanno in comune la rapidissima ascesa politica. Troppa popolarità, troppo potere nelle mani di un uomo solo, per poter essere tollerati da una magistratura autoreferenziale e assetata di protagonismo. Silvio Berlusconi è stato un bersaglio deliberatamente prescelto. Ora l’attenzione si è spostata verso Matteo Salvini, leader in pectore del primo partito d’Italia. Fatti più in là gli stanno dicendo. Esattamente come avevano gridato, con grandi spiegamento di forze e tutte le fanfare a disposizione, a Silvio Berlusconi.