Sull’innovativa piattaforma del Tgcom24 siede il carismatico artista Marcello Vandelli di Spoleto Arte. Il format è quello di Arte in quarantena, lanciato dal direttore Liguori per sopperire all’impossibilità momentanea di visitare mostre e musei fisicamente. A entrare oggi nelle case degli italiani è la volta dell’accattivante espressività creativa di questo pittore.
Nato a San Felice sul Panaro (Mo) nel 1958, l’autore si lascia positivamente influenzare dalla Pop Art italiana. La sua pittura risulta “modernissima, estremamente mobile e duttile, poco prevedibile” per il noto critico Vittorio Sgarbi. Assomiglia “a volte al Licini più angelico o allo Schifano più liquido”. Lo stile cattura immediatamente il nostro interesse per la forte scelta cromatica. I colori rivelano infatti il carattere audace del Vandelli, sempre attento ad assorbire quanto avviene attorno a lui e a connotarlo in decise tonalità. È proprio questa particolare interiorizzazione delle esperienze ad affascinare. Il Vandelli è autobiografico, raffigura ciò che vede e lo colpisce. Ma lo riveste di una simbologia onirica facilmente deducibile, quasi attingesse a una matrice di sogni universale. In questo modo il suo linguaggio sfiora le vette dell’informale, proteggendo l’identità dei suoi soggetti.
Il fatto che i personaggi siano anonimi, non abbiano un volto, sembrerebbe rifarsi al detto “si dice il peccato, ma non il peccatore”. In realtà Vandelli ha ben assimilato il concetto che le azioni e i fatti finiscono per reiterarsi nel tempo. Ne interrompe tuttavia la ciclicità fermando spesso su tavole di grandi dimensioni un istante decisivo, l’epifania della realtà, l’atto di “denuncia” nei confronti dell’umanità. Sgarbi spiega il motivo di questa scelta: tra l’artista e l’opera c’è un vero corpo a corpo, per questo servono grandi dimensioni. È una lotta per cui il pittore vuole investire l’osservatore con la propria creatività. Andando oltre l’ideale dunque, perché nei lavori di Vandelli c’è pittura. E c’è anche un’assenza.
Vittorio Sgarbi la interpreta così: «Io, che ho per la pittura di ritratto una particolare predilezione perché è lì che senti, nel volto, l’anima dell’artista, mi chiedo che cosa abbia tenuto Vandelli così lontano dal volersi specchiare in un volto o specchiare il suo volto in quello di una persona ritratta.
È un’umanità senza volto, è un’umanità dove sono tutti uguali, fatta di persone distinte, ma che lui riserva solo per la sua dimensione interiore, le tiene per sé, non le mostra agli altri.
È questa la cosa che mi ha colpito di più, diciamo l’idea di vedere spazi, di vedere sagome, di vedere forme umane… C’è un rapporto tra la figura e lo spazio, ma quella figura potrebbe essere chiunque di noi. L’uomo nella sua identità democratica, cioè quella per cui non c’è un popolo di gente che non è nessuno e invece alcuni che sono tutto».