Viene dal lago di Lugano Daniela Rebuzzi, l’artista di Spoleto Arte presentata venerdì 24 aprile al Tgcom24. La sua particolare creatività entra di diritto in quella raccolta culturale lanciata dal direttore Paolo Liguori quasi due mesi fa: Arte in quarantena. Grazie a quest’iniziativa si può così supportare il mondo artistico pur durante questo periodo d’isolamento. Nelle case degli spettatori infatti arrivano giornalmente contenuti originali con consigli o possibilità di approfondimento del panorama artistico contemporaneo. In quest’universo si inserisce Daniela Rebuzzi, pittrice e scultrice ticinese che ha costruito la sua ricerca attorno al gesto e alla materia.
Nelle sue creazioni si scopre un’insolita ricchezza di spunti espressivi. Alla sperimentazione sopraggiunge una forte componente spirituale. Quest’ultima deriva dalla filosofia sciamanica, che Daniela ha fatto sua. E lo stesso si può dire nel caso della cromoterapia, i cui principi si riscontrano nei suoi lavori. Ma c’è un’altra caratteristica che ci colpisce quando li osserviamo. È vero che sono il risultato di un lungo percorso interiore, ma la suggestione che provocano sulla nostra fantasia può manifestarsi perché l’artista ha viaggiato fisicamente. Da questi viaggi ha assorbito e sondato personalmente quanto le diverse culture avevano da offrirle. Poi ha trasmesso quanto ricevuto alle sue creazioni che ci appaiono, così, effettivamente provenienti da culture distanti, eppure conosciute. Daniela, non per niente, conosce cinque lingue ed è stata agli antipodi del mondo: in Siberia, Messico, India e in molte altre terre…
Questi “grand tours contemporanei” le hanno permesso di esplorare l’universo dell’inconscio, della pische, o la sfera onirica. Traccia di questi studi si ritrova inevitabilmente nelle sue creazioni che ospitano, tra le tante cose, la parola. Chiave per accedere a ulteriori significati, la parola diventa un codice che ambisce a illustrare una via interpretativa, così come l’intera composizione, della stratificazione a cui siamo soggetti durante l’esistenza. Ecco quindi che nelle sue opere troviamo una risonanza, un legame che l’artista definisce “atavico” e che ci connette con la Natura in modo intimo, ancestrale. Daniela ci fa riemergere più consapevoli da quell’abisso mnemonico che ci portiamo dentro e che ci accomuna tutti in quanto parte di una tradizione culturale millenaria. Qui natura e tecnica comunicano in qualità di forze complementari, spingendo l’artista a ridefinire quell’identità che tanto va cercando in questo mondo attraverso l’arte. L’arte diventa perciò strumento sacro con cui proseguire un’indagine istintivamente vitale e, proprio per questo, quanto mai avvincente.
Dal 2013 la sua fama è cresciuta sempre più. Espone a mostre ed eventi internazionali che hanno luogo in Italia o in altri paesi, anche oltreoceano.