Oggi vi facciamo conoscere, attraverso la nostra intervista, l'attrice teatrale esordiente Claudia Madera in arte Chiara Monesti.
1) Claudia Madera attrice teatrale esordiente, puoi parlarci un po' di te, del tuo percorso di vita , come ti racconteresti al tuo pubblico?
“Come dire ormai nei miei 50 anni posso raccontarmi come una persona soddisfatta, felice di sé, che ha raggiunto molti dei suoi obiettivi, se mai lo fossero stati.
Comunque, sono nata in Calabria, sono venuta a Bologna con la scusa dell'università, ma devo dire che poi è diventata la mia città preferita e che amo tantissimo. Qui ho studiato ingegneria e ho conosciuto, tra i banchi dell'università, quello che adesso è mio marito e con lui abbiamo iniziato un percorso di vita, al quale mi sono dedicata, per tutta la prima parte della mia vita seguendo più la parte razionale di me, senza ascoltare veramente quello che desideravo. Ho iniziato ad ascoltarmi quando è nata nostra figlia, questo mi ha portata ad essere una persona sempre più realizzata e ho iniziato ad avere sempre di più la consapevolezza che mi mancasse qualcosa, che avevo un po' sempre represso e che fino a quel momento non avevo potuto perseguire ed era finalmente arrivato quel momento della mia vita in cui avevo la maturità, l'indipendenza, l'appoggio della famiglia per potermi dedicare anche a quello che veramente mi piaceva. E così ho iniziato ad avvicinarmi al teatro. Ci sono arrivata piano, perché prima ho iniziato facendo dei corsi di scrittura creativa, poi dei corsi di lettura ad alta voce, fino a capire che quello che volevo era fare teatro. E così ho iniziato, , a fare dei laboratori all’ITC Teatro a Bologna, che offre un percorso abbastanza intenso per chi si avvicina come me a questo mondo. Quell'anno avevo conosciuto anche Maria Genovese e con lei ho avuto opportunità di fare diverse iniziative teatrali e, al tempo stesso, attraverso una collega di allora, ho iniziato a frequentare anche la compagnia teatrale di Baricella. Il mio inizio è stato abbastanza intenso, diciamo, perché facevo il laboratorio, ero in una compagnia teatrale amatoriale e avevo altre conoscenze con cui facevamo altri tipi di iniziative, ad esempio delle letture. Quell'anno ho fatto anche un bellissimo laboratorio sull'Attore-Autore, con Gigi Gherzi, qui ho iniziato ad approfondire anche il lato legato alla scrittura teatrale. Obbiettivo di questo laboratorio, era quello di arrivare a scrivere un proprio pezzo che poi ogni attore recitava nella sua tenda in questo villaggio, una tendopoli allestita in Piazza Santo Stefano a Bologna, dando vita ad un vero e proprio spettacolo. Nei tre anni successivi ho continuato facendo diversi tipi di esperienze. Dopo qualche tempo, a causa di alcuni problemi familiari, non ho potuto continuare il percorso che avevo iniziato all'ITC, ma come si dice “chiusa una porta, se ne apre un'altra”. Ho avuto infatti la possibilità di seguire i laboratori di Tanino De Rosa. Anche con lui ho fatto tantissime esperienze molto belle, che fanno parte un po' del percorso che mi ha portato fino ad oggi e che mi hanno permesso di conoscere tanti aspetti del teatro. In particolare con lui ho fatto laboratori legati al “Teatro dei Luoghi” in particolare laboratorio, che si ripete ormai ogni anno, chiamato “Metropoli” dove si lavora in mezzo alla città, per le strade Bologna usando il “luogo” per costruire una storia. Anche in questo caso il personaggio viene costruito dal singolo attore, che costruisce una storia raccontata attraverso i luoghi. Con Tanino altra cosa molto interessante è stata anche l'esperienza del Teatro in Appartamento, lavorando con autori post-drammatici, abbiamo preparato delle scene che si potevano adattare negli appartamenti, ad una camera da letto piuttosto che ad una cucina, messi a disposizione dalla gente comune che ci apriva le porte delle loro case. Ovviamente questi modi di fare teatro sono esperienze molto intense, poiché sia il teatro dei luoghi, quindi in strada, sia nel teatro negli appartamenti ho lavorato molto con le persone intorno a me quindi in maniera più ravvicinata. Poi ho avuto un periodo in cui per lavoro mi sono dovuta trasferire a Milano e quindi lì è stato un po’ più difficile mantenere delle relazioni continuative per poter fare teatro e ne ho approfittato per lavorare di più sulla dizione e su me stessa. Quando sono tornata ho ripreso i miei contatti e ho ripreso a fare teatro, tra questi contatti c'è Fabrizia Lotta, attrice che gestisce lo spazio del “Te:Ze” di Bentivoglio e ogni anno fa una cosa bellissima che è l'Open Theater, dove qualsiasi attore può iscriversi e quella sera lei ti dà solo la sequenza di esibizione: quando arriva il tuo turno, vai in scena e fai quello che vuoi. Io ho partecipato quattro volte e ogni volta ho portato qualcosa di piccolo scritto da me. E l'anno scorso ho portato “Alter ego”, che durava dieci minuti. Alla fine della mia esibizione lei mi ha detto che se l'avessi fatto diventare di quarantacinque mi avrebbe messo in cartellone. Le sarò sempre grata. Questo era un lavoro nato anche dal confronto con mia figlia parlando un po' dei tempi che stiamo vivendo e quanto sia importante la fantasia nella nostra vita, che spesso ci aiutano ad affrontare le cose. Da lì è nata questa idea che a Fabrizia è piaciuta molto e, senza di lei, probabilmente sarebbe rimasta lì, e invece Fabrizia mi ha dato uno stimolo che mi serviva per continuare. Ho raccontato tutto questo perché le esperienze fatte fino ad oggi mi sono servite tantissimo per produrre poi questo mio lavoro in cui sono sempre in scena, in maniera molto egocentrica ed egoistica. In questo lavoro, che si chiama “Inseparabili”, di cui sono appunto l'autrice, ho potuto essere me stessa e finalmente dire delle cose che sento dentro, che spesso dobbiamo sempre, in qualche modo, lasciar perdere. Io poi, venendo da una famiglia calabrese, con una madre che ci ha educati all'umiltà, al quieto vivere, sento che questa cosa inizia a starmi un po' stretta e vorrei poter dire veramente quello che penso e questa esperienza mi sta dando l'opportunità di condividere le mie idee, per poi rendermi conto che non sono sola al mondo, infatti alla fine di ogni spettacolo ci sono persone del pubblico che si avvicinano dirmi “ma sai che quella cosa è successa anche a me” o “anch'io sento queste cose”. Il mio intento è riuscire a toccare vari argomenti, in maniera sempre ironica, perché l'ironia è una delle mie caratteristiche predominanti, riuscire a parlare di cose che in qualche modo interessano tutti e sempre con un sorriso, forse un po' amaro, ma che ci faccia riflettere e alle volte sentire meno soli. In questo momento sto studiando improvvisazione, perché anche quella è una parte che mi piace molto esplorare, perché lì non c'è un testo, nasce tutto lì, in quel momento, nel qui e ora.”
2) Per te il teatro è una scelta lavorativa o una scelta di vita?
“Ah beh, senza dubbio scelta di vita, proprio perché fino a questo momento ho potuto farlo avendo l'altro lavoro che mi serve a mantenermi, certo toglie tanto tempo al teatro e questo ovviamente la cosa che mi fa soffrire di più, ma mi dà una sicurezza economica. Il teatro è una cosa che nella vita faccio perché veramente voglio farla, perché a teatro sono veramente io, libera da ogni ruolo, magari è strano dirlo, perché a teatro interpreti altri ruoli, però per poterlo fare devo attingere a me stessa, alle mie sensazioni, ai miei sentimenti, alle mie esperienze. Salire sul palco, vuol dire per me instaurare una relazione con un pubblico, cioè il teatro esiste perché c'è un pubblico. Quindi, quando salgo su un palco, la prima cosa che mi viene in mente è: adesso divertiti con queste persone. Quindi per me salire su un palco, anche se c'è sempre tanta paura e ansia (perché c'è sempre la me giudicante che mi dice “non sarò mai brava, ma che cosa combino?!” e che devo imparare a metterla a tacere), alla fine, una volta vinta questa resistenza, è l'esperienza più bella che possa esserci, soprattutto quando vedi gli sguardi che ti seguono, che stanno capendo quello che vuoi dire, sia che sia una cosa leggera per ridere sia che sia un messaggio importante.”
3) Se ti dico "palco" qual è la prima similitudine che ti viene in mente?
Palco per me è libertà, posso appunto uscire da tutti gli schemi. Paura e libertà, finché abbiamo paura vuol dire che siamo ancora vivi, responsabili, sappiamo che stiamo facendo qualcosa a cui teniamo però prevale la libertà.”
4) Parlaci dei tuoi progetti futuri?
“Progetti… magari dei sogni futuri... Perché, potendo esprimere un sogno, sarebbe sicuramente cavalcare le scene e far nascere Chiara Monesti artista e permetterle di poter esplorare tutte le possibilità che questo mondo le può dare, questo è sicuramente uno dei miei sogni.”
5) Perché hai scelto Chiara Monesti come nome d'arte?
“Chiara Monesti è il nome che si era inventata mia figlia quando aveva tre anni. Sì perché a tre anni ha iniziato la materna e, come può succedere, alcuni bambini, in questi momenti di cambiamenti, si cambiano il nome o si inventano degli amici immaginari. E mia figlia, che aveva tantissima fantasia, aveva un po' di amichetti immaginari in più. Un bel giorno mi ha detto “Mamma, io mi chiamo Chiara Monesti!” All'inizio abbiamo cercato da dove derivasse questo nome, ma niente e ci siamo preoccupati. Poi anche le maestre ci hanno detto che era una bambina serena, con tanta fantasia, non c'era nulla di cui preoccuparsi, infatti, dopo poco, se n'era già scordata. Poi, durante la pandemia, quando dovevamo stare tutti a casa, avevo iniziato a fare un podcast, o meglio avendo fatto un po' di esperienza nella registrazione di audiolibri non vedenti, e ho preso un po' di dimestichezza con strumenti di registrazione, ho voluto sperimentare questa cosa del podcasting che mi affascina tantissimo, ma non volevo usare il mio nome Claudia Madera perché, per motivi di lavoro, preferivo tenere le due cose separate. In quel periodo avevo un capo, di cui parlo nel mio spettacolo, che mi controllava molto e volevo tenerlo fuori dalla mia vita e, dovendomi trovare un'altra identità, abbiamo ritirato fuori Chiara Monesti.”
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