La sensibile scrittrice Stefania Romito mi ha dato la possibilità, grazie al suo romanzo, Eleonora Duse il primo Amore, di conoscere la giovane Eleonora nella sua dimensione privata, nel suo travaglio interiore, nel legame tormentato, ma fecondo, con Arrigo Boito.
Ella, grazie all’arricchimento culturale, letterario, artistico che ricevette da Arrigo, geniale letterato ed esponente della corrente artistica denominata “Scapigliatura”, finalmente dischiudeva tutte le sue potenzialità umane, spirituali e artistiche.
Mentre gli altri eventi sentimentali della Duse sono noti quasi in ogni particolare, un’atmosfera di mistero avvolge questo legame che il romanzo di Stefania Romito contribuisce a districare in modo delicato e avvincente.
Nei flash-back che si alternano alla narrazione della stessa Eleonora, dall’hotel americano di Pittsburgh dove trascorse gli ultimi giorni della sua esistenza, minata dalla grave malattia ai polmoni, la Duse ricostruisce le fasi della sua conoscenza e della sua intima amicizia con Arrigo Boito. Dopo tre anni dal primo fugace incontro, avvenuto il 14 maggio1884 nel ristorante milanese Cova, Arrigo riuscì a conquistare, con il suo fascino di anticonformista, il cuore della riottosa Eleonora fino a stabilire con lei un intenso sodalizio spirituale e professionale dal 1887 al 1898.
Boito tradusse in italiano i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Giulietta e Romeo, Macbeth, che Eleonora rappresentò in Italia e all’estero, riscuotendo accoglienze entusiastiche. Ricordiamo, tra gli altri, il clamoroso successo di Antonio e Cleopatra il 24 novembre del 1888 a Milano.
La narrazione della Romito, dall’intensa ispirazione romantica, ci fa rivivere l’adorazione di Arrigo per Eleonora come artista e donna dotata dantescamente di “Intelletto d’Amore”. L’esistenza, che dapprima era apparsa all’intellettuale scapigliato angosciosa e fosca, s’illumina dello splendore dell’anima eccelsa dell’attrice che ricambia con ardente trasporto il sentimento di colui che, al contempo, poté chiamare “Amore” e “Maestro”. Nonostante l’intensità del sentimento, i due innamorati riescono ad incontrarsi in modo saltuario a causa degli impegni artistici di entrambi, ma anche a causa di una misteriosa presenza femminile nella vita di Boito: l’affascinante e fragile Fanny.
In una delle delicate liriche che impreziosiscono il romanzo, tanto da poter essere definito prosimetro, ossia un componimento in cui si alternano prosa e poesia (come la Vita Nova di Dante), Lenor descrive incomparabilmente il suo stato d’animo:
Intervalli di spazi
vacanze d’estasi
Vive in perpetua sospensione
oscillando tra il tutto e il niente
tra felicità e dolore
tra Paradiso e Inferno
Tua Lenor
La potenza espressiva del romanzo di Stefania Romito, cui ha saputo armoniosamente alternare al piano narrativo quello psicologico, ossia le pagine in cui Eleonora mette a nudo i più intimi tormenti e gioie del suo animo, ha il suo “ubi consistam” nella raffinata sensualità e nella disarmante grazia di Eleonora. Due anime eccelse Lenor e Arrigo, si incontrano e il divengono sempre più consapevoli delle loro affinità e differenze, tanto da rendersi conto di non poter unire per sempre i loro destini .
Come nei Bildungsroman di Goethe, l’amore dei protagonisti fa fiorire la loro personalità in modo armonioso e vibrante, ma non distrugge i preziosi frutti dell’affetto e del rispetto reciproci, come avviene, al contrario, nella passione incontenibile e violenta della Duse per D’Annunzio, che imprimerà ferite profonde e insanabili nell’animo dell’attrice.
A mio avviso, fu amore vero nell’accezione più completa ed autentica del termine, il sentimento di abbandono fiducioso e di complicità che legò Eleonora ad Arrigo.
La stesura del romanzo, che si fonda principalmente sulla ricca corrispondenza tra la Duse e Boito, ma anche sui documenti epistolari, rinvenuti da Stefania Romito presso la Fondazione Cini di Venezia, contiene sia episodi strettamente biografici, che eventi romanzati della loro storia d’amore, che la scrittrice armonizza sapientemente in una duplice partitura: quella intimistico-memoriale e quella narrativa.
L’incipit del romanzo prende l’abbrivio da un suggestivo flashback in cui Eleonora, ormai morente in una stanza d’albergo di Pittsburgh, dichiara di voler narrare le sue riflessioni più intime, i pensieri più segreti, celati persino a se stessa. Ora che la fine è vicina, Eleonora si abbandona all’insopprimibile esigenza di raccontare l’autentica verità sui suoi amori, quelli veri che hanno dominato il suo cuore piegandolo alla loro volontà: Il Maestro e il Vate.
Nell’ultimo capitolo Eleonora rivela la consolazione di poter sopravvivere alla fine terrena, mediante la memoria: «Il ricordo è l’unica salvezza in un rimembrare parti di un vissuto che rinascono con sorprendente vigore in una mente ormai allo stremo. L’ultimo soffio di una vita che risuscita oltre la vita stessa, in un trionfo della morte che è germoglio di speranza ed amore».
Nei vari passaggi del romanzo, in primis in quelli autobiografici, la scrittura della Romito è vibrante di sensibilità ed empatia: ella sa scandagliare nell’anima del personaggio rendendoci partecipi della ricchezza spirituale di una persona che visse in modo autentico e con intensità emotiva non solo la sua tormentata vicenda esistenziale, ma anche le problematiche legate al ruolo della donna nella società contemporanea.
Per questo straordinario intreccio di realtà, memoria e sogno, il romanzo di Stefania non rientra nei parametri né della letteratura realistica, né di quella sperimentale. La sublime capacità della Romito, nel portare alla luce la tensione ascetica di una creatura che, con profonda umiltà, nel suo ultimo percorso esistenziale, scopre la potenza trasfiguratrice e rigenerante dell’Amore che si dona completamente all’altro, spalanca il sipario sul misterioso incontro di Lenor con l’Assoluto.
*poetessa, docente di Filosofia