La materia è da anni al centro del dibattito politico e l’obiettivo attuale è smantellare la Riforma Fornero e puntare ad un miglioramento del trattamento pensionistico per le fasce più deboli di lavoratori.
Riforma Pensioni: i primi interventi
Con la promulgazione della Legge di Bilancio 2023 sono stati confermati alcuni trattamenti pensionistici, come Opzione Donna (seppur con modifiche) e l’APE Sociale, ossia l’indennità statale erogata dall’Inps a favore di lavoratori in stato di difficoltà, che presentano richiesta di pensionamento al compimento dei 63 anni.
Al contempo sono state introdotte, seppur in forma sperimentale, alcune modifiche in materia di pensioni minime, con innalzamento, già a partire da gennaio 2023, delle percentuali per le pensioni fino a 4 volte il minimo, fino a 600 euro per gli over 75, e riduzione delle stesse per gli assegni più alti.
Ma sul tavolo del Governo sono attivi altri importanti interventi, anche se il confronto con Sindacati e Inps potrebbe far slittare la riforma generale del sistema pensionistico prevista per quest’anno al 2024.
Pensione Quota 41
Altro obiettivo del Governo, oltre che favorire le classi sociali e lavorative più svantaggiate, è quello di assicurare una maggiore flessibilità in uscita puntando ad una modifica generale dei requisiti necessari per accedere alla pensione. Allo stato attuale, infatti, l’accesso alla pensione è possibile:
- a 67 anni con almeno 20 di contributi versati;
- in forma anticipata, con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne a prescindere dall’età anagrafica.
Se su questo fronte non sono previsti al momento particolari interventi. Si discute invece sulla proposta avanzata dai sindacati di introdurre una Quota 41, una tipologia pensionistica che consenta a tutti di andare in pensione alla maturazione dei 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica e dalla categoria lavorativa. L’esecutivo, però, starebbe valutando un piano di “compromesso”, aprendo a questa possibilità solo per determinate categorie oppure permettere il pensionamento a 64 anni, ma con penalizzazione dell’assegno, prevedendo però deroghe per soggetti e categorie più deboli.
Pensione Quota 103
Dopo le formule sperimentali di Quota 100 e Quota 102, due trattamenti pensionamenti che consentivano l’uscita anticipata rispettivamente a 62 anni nel primo caso e a 64 nel secondo a parità di anni contributivi (38 anni), a partire dallo scorso gennaio si può uscire anticipatamente con una nuova formula: Quota 103, valida per 12 mesi e richiedibile da chi maturerà i requisiti necessari entro dicembre 2023.
A proposito di requisiti, l’accesso a Quota 103 è possibile chi:
- ha compiuto 62 anni di età;
- ha maturato 41 anni di contributi.
Optare per questa forma di prepensionamento comporta ovviamente delle conseguenze.
In questo caso anche, infatti, vige il divieto di cumulo di reddito da pensione e lavorativo, ossia il divieto di cumulare al reddito pensionistico quello derivante da un’attività lavorativa intrapresa dal pensionato dopo essere andato in pensione. Divieto che vige fino al raggiungimento dei 67 anni di età, eccezione fatta per le prestazioni occasionali, che sono invece cumulabili fino ad un massimo di 5000 euro.
Altra conseguenza riguarda la diminuzione dell’importo dell’assegno pensionistico, che non potrà superare un valore pari a 5 volte la pensione minima, fino al compimento dei 67 anni. Ciò significa che il limite massimo sarà pari a circa 36.643 euro l’anno, ossia circa 2.818 euro lordi al mese, tredicesima compresa.
Pensione con anticipo quota contributiva
Un’altra proposta di riforma è quella avanzata dall’Inps, in base alla quale si accederebbe alla pensione a 63 anni e con almeno 20 di contributi percependo un assegno parziale, relativo alla sola parte contributiva, con versamento di quella retributiva al raggiungimento dei 67 anni di età.
Limiti alla riforma pensionistica
Il Ministro del Lavoro è al lavoro con tutte le parti coinvolte per sciogliere l’aspetto più nodoso della riforma delle pensioni: i costi.
Se da un lato gli obiettivi sono quelli di permettere ai lavoratori di uscire anticipatamente dal lavoro, senza che questo si ripercuota sulla pensione spettante, e favorire al contempo il ricambio generazionale, gli ultimi rapporti degli Osservatori, quali OCSE e NADEF hanno rilevato che in Italia la spesa pensionistica è troppo elevata, rappresentando un forte ostacolo ad altre forme di investimento.
Le varie proposte al vaglio dell’esecutivo non si discostano molto da questa tendenza, col rischio di fare implodere il sistema, come avvenuto in passato.
Certo è che il Governo deve tenere conto di numerosi fattori, dall’innalzamento dell’età media alla problematica demografica del tessuto sociale italiano e, in primis, di un mercato del lavoro fragile, che penalizza le nuove generazioni.
Per queste anche si stanno studiando soluzioni nuove, dagli interventi in materia di riscatto della laurea all’istituzione di un fondo pensioni.
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Fonte notizia
posizioniaperte.com riforma-pensioni