Non poteva non “toccare” a uno dei simboli più importanti di quella cultura automobilistica italiana invidiata da tutto il mondo. Nell’uomo che ha creato un marchio e un impero capaci di innalzare lo stile e il design di un Paese costruito sulle ceneri di un dopoguerra che ha tracciato le vite di chi ha combattuto tra la stessa vita e la morte. Proprio come lo stesso Enzo Ferrari, riscattando la propria sorte uscendone illeso, tra quegli “incurabili” che lo hanno visto vincitore di quella pleurite che non lo ha debilitato nello spirito di chi ha conosciuto il dolore della perdita, negli affetti più importanti, dal padre e lo stesso fratello Alfredo,
«Era l'inverno 1918-1919, rigidissimo, lo ricordo con grande pena. Mi ritrovai per strada, i vestiti mi si gelavano addosso. Attraversando il Parco del Valentino, dopo aver spazzato la neve con la mano, mi lasciai cadere su una panchina. Ero solo, mio padre e mio fratello non c'erano più. Lo sconforto mi vinse e piansi.»
Una vita costruita dalla determinazione di un uomo, di un pilota, di un costruttore che ha impreziosito la vita di tutti coloro che hanno viaggiato insieme a lui, correndo su quelle macchine che hanno guidato i grandi nomi dell’automobilismo su pista, da Ascari a Lauda, da Scheckter a Villeneuve,
«Quando nel 1951 González su Ferrari, per la prima volta nella storia dei nostri confronti diretti, si lasciò alle spalle la "159" e l'intera squadra dell'Alfa, io piansi di gioia, ma mescolai alle lacrime di entusiasmo anche lacrime di dolore, perché quel giorno pensai: "Io ho ucciso mia madre".»
Il regista Michael Mann oggi ha raccolto il testimone di chi ha voluto raccontare la sua vita, in quei documentari “nostrani” che possono ripercorrere le aspirazioni di un vincitore, passando dall’esperienza di un regista che ha già raccontato un grande cinema con stile, da Insider a L’ultimo dei Mohicani, Alì, Miami Vice e Nemico Pubblico, forse spingendosi oltre nella scelta di quegli attori che potevano impersonare il nome del suo mito, da quella scelta ricaduta inizialmente su Hugh Jackman, per arrivare a un Adam Driver forse debilitante in quella fisicità così distante dall’Enzo Ferrari che tutti hanno sempre conosciuto e identificato. Nel 2003 il regista Carlo Carlei ha diretto uno scaltro Sergio Castellito in una miniserie televisiva che ha corso con i colori di una produzione meno spettacolare di quel girato proposto da Ron Howard in Rush, offrendo una delle pagine più strettamente legate alla celebrazione di una Formula 1 che ha visto protagonista la sfida di Niki Lauda e James Hunt, in quell’incidente che ha superbamente ricostruito un regista capace di dare valore alla storia celebrata dai suoi stessi protagonisti. La stessa storia che ha vissuto Enzo Ferrari sulla propria pelle e che ha saputo trasmettere nei valori di chi ha sempre messo le automobili al disopra di tutto. Anche della sua stessa vita, rischiando di perdere tutto. Ma i grandi nomi sanno di arrivare sempre più in alto, senza paura. Sempre.
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vannucci-dicinema.blogspot.com 2022 10 la-leggenda-del-cavallino-rampante.html