Dissacratorio. Storico. Capolavoro. Mettere le mani sopra una storia antica e rivisitata come la stessa tradizione ha saputo insegnare, può sembrare impresa difficile nella propria ripetitività degli eventi, soprattutto quando le leggende hanno sempre avuto il primato di essere feticci popolari, custoditi e dispensati con doverosa credibilità di stile. Sicuramente Ridley Scott ha potuto fare, della propria capacità di cineasta, buon uso, riadattando le atmosfere di una storia anglosassone che è sempre stata un tutt’uno con una cultura che appartiene all’emisfero emotivo di tutti. Robin Hood, fuorilegge, nobile e dalla parte del popolo oppresso dalle tasse imposte dal reietto principe Giovanni. Questa è sempre stata la versione “decantata” dalla storia del “borgo” chiamato cinema. Lo abbiamo visto romantico amante in ristretta calzamaglia e divertita volpe nell’immaginario disneyano, ma solo oggi possiamo rivalutare i pregi e i difetti di ogni versione che ha sempre raccontato la stessa storia di umili briganti con nobili intenti. Kevin Costner è stato il primo a debellare l’icona strettamente legata al mito, con l’intrusione di un moresco Morgan Freeman al servizio di un ribelle inglese, sconcertando un pubblico ancora legato ad un immaginario più fiabesco che medioevale. Eppure la storia si svolge tra il XII˚ e il XIII˚ secolo, e la crudezza di tempi tanto oscuri non può non intimorire, quindi il regista Scott ha saputo aggiungere il proprio tocco, distaccando l’uomo dalla leggenda, in quel Sir Robin Longstride, soldato e arciere a servizio di Re Riccardo (o Loxley?), che muore per mano di un cuoco, in una pausa di frecce scoccate e arieti spronati dal buon Little John e lo stesso Robin, che guida un grappolo di compagni di battaglia: un inedito e sprovveduto Jimmy, un cantastorie Alan e (per fortuna!) il ritrovato Will Scarlet. Tutto sembra preambolo ad una storia completamente reinventata ma uguale all’originale (di cosa?), ricercando credibilità a personaggi che sono stati rielaborati per l’occasione, con il sapore autentico della verità nascosta da una storia anacronistica fatta di realtà e non di leggende. Scopriamo il vero Robert Loxley morente, che obbliga un servile Robin a consegnare la propria spada al padre Walter (Max von Sydow), come ultimo gesto e promessa d’onore. Così si uniscono due mondi apparentemente distinti ma legati dallo stesso passato (lo stesso Walter conosceva il padre di Robin, decapitato sotto gli occhi di un bambino che subisce il primo trauma dei ricordi), riscoprendo una Marian (sempre virginale Cate Blanchette), moglie e quindi vedova di Robert, che accetta di conoscere Robin e di accoglierlo come il marito reale. Tutto può sembrare ancora accettabile, come la stessa incoronazione del principe Giovanni (ottimo Oscar Isaac) per mano della madre, volubile e crudele nell’imporre delle nuove imposte, sollevando il vecchio consigliere di Re Riccardo (un posatissimo e indimenticabile William Hurt che regge tutto l’equilibrio della storia), per cedere il posto al Maresciallo, vero artefice dei saccheggi (e pure della morte di Robert Loxley) ai danni del popolo e fautore di una alleanza con i franchi, all’insaputa dello stesso Giovanni. Diventa così obsoleta la stessa figura dello sceriffo di Nottingham, inizialmente il protagonista della storia che doveva interpretare Russell Crowe, affidando a Christian Bale il ruolo di Robin Hood, sconvolgendo nuovamente ogni buonsenso di logica, come lo stesso regista ha ammesso, prediligendo, tra tutte le versioni cinematografiche girate, la versione di Mel Brooks. Le buone intenzioni del Re Giovanni, promettendo libertà al popolo inglese guidando le proprie armate e i nobili contro l’attacco dei Franchi, sfumano quando viene allo scoperto la vera identità di Robin/Robert, decretando la propria sovranità ai danni del popolo, ferito nella buona fede, e bandendo come fuorilegge l’uomo che diventa fautore della propria leggenda.
Complimenti e... lunga vita a “Sir” Ridley Scott!
Fonte notizia
vannucci-dicinema.blogspot.com 2022 09 sir-ridley-scott-e-lultima-leggenda-di.html