Retrospettiva dei film western che hanno raccontato un genere cinematografico
Di Brad Pitt si può dire di tutto, fuorché un "ragazzone"
(cinquantottenne,
classe '64) per nulla coerente alla propria immagine di attore, nei
ruoli che interpreta, fedelmente legato alla sua natura di solido
ragazzo dell'Oklahoma, paese natale che lo ha consacrato nel più
ecologista film di "Rob" Redford, quel In mezzo scorre
il fiume, diretto nel '92, in coppia con Craig Sheffer, il più
autobiografico dell'attore, visto che lo stesso Pitt si è laureato
all'Università del Missouri, in giornalismo.
Per
un attore che ha esordito, nel suo curriculum di prestigio
(antecedente e non, visto che il suo debutto cinematografico è stato
un quasi anonimo Cutting Class, diretto nel 1989 da Rospo
Pallenberg), interpretando quella canaglia scavezzacollo voluta da
Ridley Scott nel suo (ammettiamolo) scialbo Thelma e Louise,
impegnato a sedurre e derubare una ingenua Geena Davis in piena crisi
coniugale, vestire oggi i panni del bandito più cult del west
americano diventa il completamento di una carriera che lo vede come
un autentico divo-camaleonte, primo in assoluto per carisma e
originale protagonismo.
Come
lo stesso Redford, padre "cinematografico" putativo
dell'attore, vestire i panni dell'antieroe poteva non essere scelta
meno scontata, visto che le canaglie, nel mondo di Hollywood, sanno
sempre garantirsi i favori di tutti. Butch Cassidy è stato impalmato
in coppia con un Paul Newman quasi nel finire dell'epoca d'oro del
genere western (era il sessantanove), riproponendo regista, coppia e
stile nel successivo La Stangata, sempre di George Roy Hill,
del settantatrè. Le atmosfere ovattate nel bianco e nero di Fred
Zinnemann nel suo celebre Mezzogiorno di fuoco (1952), hanno,
quindi, devoluto stile e forma nel più diretto Wyatt Earp,
immortalato a più riprese nell'omonimo film diretto da Lawrence
Kasdan e il recentissimo Tombstone di Cosmatos, tra i
virtuosismi interpretativi di Costner e Russell. Eroi ambigui che
fanno del dolore virtù, sofferti nel loro radicato essere uomini di
frontiera, poche parole e colt nel cinturone ciondolante, "Robin
Hood" rivisitati d'importazione, chiusi in quel crogiolo di
aspra polvere che è sempre stato il mito del selvaggio west.
Personalità
intrecciate di risvolti contraddittori, dove il tradimento rimane
l'assoluzione per colui che infligge l'estremo rito finale, come
nella tradizione di un Billy the Kid e il suo più diretto
Pat Garrett, ripreso nelle nevrotiche complessità di un Bob Dylan
d'autore nel film omonimo di Sam Peckinpah e nel recentissimo Young
guns di Cristopher Cain, con un quasi isterico Estevez rivestire
le complessità caratteriali di una canaglia forse più
claudicante-adolescenziale del suo stesso mito.
Oggi,
Andrew Dominik, con la produzione firmata dallo stesso Pitt e un
garante Ridley Scott, ha regalato non un film, ma il film di Jesse
James, capolavoro assoluto di un rinnovato neorealismo che ha voluto
immortalare non solo un genere, ma una capacità narrativa salda ai
temi fedeli al culto romanzato, a quel sottile equilibrio tra realtà
e finzione, egregiamente espressa nello stesso prologo, nell'immagine
stanca di un "Tom" Howard calato nei suoi ricordi, lo
stesso feeling impresso nel vampiro di Neil Jordan, pregi e difetti
di una vita passata combattendo i propri demoni interiori, per
scavare nell'animo di un fuorilegge stimato e temuto, che ripercorre, nei suoi trentaquattro anni, le paure e i pregi di una personalità
forte e a tratti ambigua. Quella personalità che insegue il
giovanissimo Robert Ford (Casey Afflek, già reduce dall' Oscar di
Damon nel suo Good Will hunting, in coppia col fratello Ben),
il cardine umanamente vulnerabile di chi vive inseguendo un sogno, un
mito che diventa protagonismo (il dialogo straordinario di Casey con
Sam Shepard, che riveste il ruolo del fratello Frank James), dove la
codardia diventa la negazione di un destino segnato da un fato
costruito dalla stessa determinazione ("non l'ho ucciso io, è
stato un incidente"). Un film che diventa corale nei caratteri
duri e umani di chi ha circondato la sua stessa vita, dal cugino di
Jesse, Wood Hite (Jeremy Renner), che muore per mano dello stesso
Robert, in quella caotica lite nel monito del "non desiderare la
donna d'altri". Tutto è autentico come la polvere da sparo e
gli abiti sdruciti, i visi smunti e consumati dai troppi segreti
celati nel freddo e dalla paura, caratteri che assorbono quasi una
narrativa rigorosamente dickensiana nel risvolto giovanile di chi
cresce nell'ombra di un successo pericoloso, che ha potuto attingere
nello stesso Peter Weir, nell'introversa potenzialità di Anderson
canzonato in camera dai suoi stessi compagni nell'Attimo fuggente,
come lo stesso Robert che custodisce con cura e devozione i libri
e i romanzi di Jesse, mentre vive, parallelamente, le gesta in prima
persona. La rapina al treno è un gioiello di crudo realismo, dove i
volti incappucciati e bendati fanno tremare come i colpi delle colt,
pesanti e aspre come gli stessi grilletti ritratti dalle dita nervose
di uomini capaci realmente di uccidere. La fiducia e il tradimento
sono, quindi, pericolosi sentimenti come la stessa capacità di
saperli dominare, con la stessa freddezza con cui Jesse, di fronte a
Rob, taglia le teste ai suoi serpenti con una lama di coltello.
Dominik dirige impeccabilmente ogni sequenza, scandita dalle
atmosfere musicate da Nick Cave e Warren Ellis, dense e ritratte come
gli sguardi attraverso i vetri, di occhi arrossati dal dolore di una
narrazione appesantita e offuscata da una realtà fatta anche di
lacrime.
Jesse
James muore, quindi, per rivivere nelle ottocento rappresentazioni
portate in scena dallo stesso Robert Ford e il fratello Charley (Sam
Rockwell), ironico nella ripetitività con cui il dolore diventa
mito, per essere poi un conto da pareggiare con la stessa morte di un
codardo che è solo, in sostanza, la nostra paura di non riuscire a
vivere una vita nell' autentica grandezza che solo i "Grandi
Uomini" sanno costruire. Un film capolavoro, il cinema che tutti
aspettavamo: L'assassinio di Jesse James per mano del codardo
Robert Ford.
Fonte notizia
vannucci-dicinema.blogspot.com 2022 09 brad-pitt-bandito-di-cuori-ilmito-della.html