Ci parli de Gli Orazi e i Curiazi. Un'opera che, a suo parere, merita effettivamente una riscoperta e la riproposta a un pubblico contemporaneo?
Il parere personale di un musicista che si occupa di Cimarosa da vent'anni è piuttosto ininfluente poiché, è facile capire, viziato da un giudizio di tipo emotivo se non addirittura affettivo. Premesso questo, sì, naturalmente, Gli Orazi e i Curiazi è un'opera straordinaria, di non facile esecuzione, ma sicuramente di fattura straordinaria. E' un Cimarosa, quello di questa tragedia per musica in tre atti, a cui siamo poco abituati – ammesso che ci sia qualcuno abituato alla sua produzione. Il musicista abbandona, come in tutte le sue opere serie, il suo personalissimo linguaggio adottato per le innumerevoli produzioni comiche, a vantaggio di un linguaggio profondamente diverso, sicuramente in linea con lo stile “serio” dell'epoca, ma anche arricchito di una vena personalissima che conferisce al lavoro, in alcuni casi, la caratteristica di un quasi “miracolo”.
Un'opera che, come le coeve, si struttura in un'infinita serie di recitativi e arie o c'è qualcosa di più?
C'è molto di più. Innanzitutto, nel 1796, anno in cui l'opera debuttò alla Fenice di Venezia, le opere serie non si sviluppavano già più tramite una sequenza infinita, come dice lei, di arie e recitativi. Cimarosa, poi, forte della sua esperienza in terra russa presso la corte di Caterina II, aveva notevolmente arricchito il proprio linguaggio musicale, la propria intuizione drammaturgica e la tavolozza dei colori e degli impasti orchestrali. Se, in linea di massima, il primo atto e la prima metà del secondo, pur contenendo pagine di sublime bellezza, possono essere più o meno allineati allo stile e alle figure retorico/musicali in auge anche nelle produzioni coeve, a partire dalla seconda parte del secondo atto e per tutto il terzo – brevissimo – il musicista mette in pratica una serie di soluzioni musicali inedite e teatralmente efficacissime: la famosa scena del sotterraneo, concepita come finale del secondo atto, evidenzia colori timbrici e soluzioni drammaturgico/musicale inattese, modulazioni tonali imponenti e fraseggio ti stampo pre-ottocentesco. Le biografie del musicista, raccontano di un fiasco clamoroso avvenuto alla prima veneziana... Si tratta di una leggenda sfatata dai documenti ritrovati per l'allestimento dell'edizione critica della partitura che è servita per questa registrazione. Le “Gazzette” venete, in particolare la Gazzetta Urbana Veneta registra, al contrario, un successo clamoroso dell'opera fin dalla sera del proprio debutto. Tant'è che nel giro di pochi mesi si contarono più di 140 repliche del lavoro nei teatri di tutta Europa. Gli Orazi e i Curiazi divenne in breve tempo considerata, insieme a Il matrimonio segreto, il capolavoro di Cimarosa e la fama di quest'opera fu tale che il suo libretto e la sua musica servirono come base non solo per alcune parodie (il compositore Francesco Gnecco scrisse un'opera buffa intitolata La prova dell'opera seria Gli Orazi e i Curiazi), ma ebbero anche l’onore di un'edizione a stampa della partitura (cosa rarissima all'epoca) da parte dell'editore parigino Imbault nel 1802.
Qualche legame di quest'opera con le future opere serie di Rossini?
Naturalmente. Anticipo che non tutta la musica composta da Cimarosa per Gli Orazi e i Curiazi è completamente nuova: un paio di cori (riadattati e riorchestrati) vennero tratti dalla partitura de La Cleopatra che debuttò una decina d'anni prima a San Pietroburgo. La marcia del primo atto, non solo fu tratta da Cimarosa da un'altra opera precedentemente composta, Achille all'assedio di Troja, ma servirá anche da base per la musica del famosissimo e anomalo coro composto per la Rivoluzione partenopea del 1799 – e sul quale mai è stata fatta completa luce. Non solo Gioachino Rossini, per venire alla sua domanda, ma decine di compositori che si collocano cronologicamente tra la morte di Cimarosa (1801) e il debutto ufficiale di Rossini (1810), si ispirarono alla forza creativa e alle soluzioni musicali adottate ne Gli Orazi e i Curiazi che divenne, ben presto, un modello assoluto per tutti coloro che volevano cimentarsi in un'opera d'argomento tragico. facendone un uso personalissimo e originale, alcune soluzioni adottate da Cimarosa. Rossini stesso, ancora nel suo straordinario Tancredi (composto anch'esso su commissione del teatro La Fenice nel 1813) riprese, facendone un uso personalissimo e originale, diverse soluzione adottate da Cimarosa quasi vent'anni prima.