La vicenda
Blogger lombardo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano per il reato di diffamazione aggravata (di cui all’art. 595, comma 3 c.p.) in relazione alla pubblicazione di espressioni diffamatorie e commenti offensivi, postati sul suo blog da lui o da terzi e non opportunamente filtrate.
La pena era stata quantificata in euro 500,00 di multa e 2.000,00 a titolo di risarcimento dei danni morali patiti dalle parti civili.
Il ricorso per Cassazione
Col primo motivo la difesa dell’imputato lamentava l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici dell’appello per non aver dichiarato la sua totale estraneità ai fatti.
Ebbene, è noto come il blog sia un diario virtuale, pubblicato su internet e periodicamente aggiornato dall’autore del sito, ove vengono pubblicati interlocuzioni dei lettori, dirette ad esporre commenti e riflessioni generalmente correlati agli interventi del blogger; solo in alcuni casi tali commenti sono filtrati, più spesso vengono immessi direttamente dai lettori senza l’intervento da parte del blogger.
Ebbene la Corte territoriale – a detta dell’imputato – non aveva considerato le sue dichiarazioni difensive in ordine all’erronea circostanza del filtro da lui non operato ai commenti dei lettori.
Il blog secondo la Cassazione
I giudici Ermellini definiscono il blog come un particolare tipo di sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in forma anti-cronologica (dal più recente al più lontano), in genere gestito da uno o più blogger, che pubblicano, più o meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post, concetto assimilabile o avvicinabile a un articolo di giornale.
I tratti strutturali comuni ai blog riguardano principalmente il fatto che si tratta di “diari di rete”: i testi sono forniti di data e sono presenti sulla pagina web in ordine anti cronologico e la maggior parte delle volte sono introdotti da un titolo.
Il singolo intervento (articolo, pensiero, contenuto multimediale, ecc..) inserito dal blogger viene definito post e l’applicazione utilizzata permette di creare nuovi post identificandoli con un titolo, la data di pubblicazione e alcune parole chiave (tag).
Qualora l’autore del blog lo permetta, ovvero abbia configurato in questa maniera il blog, il post possono seguire i commenti dei lettori del blog.
Fatte queste premesse, i giudici della Suprema Corte non possono che condividere e confermare il giudizio già espresso nella sentenza impugnata.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca di un profilo social o web integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile di persone e tuttavia non può dirsi neppure posta in essere col mezzo della stampa, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico (Sez. V, n. 4873/2016).
Dunque, condanna confermata per il blogger.
Sabrina Caporale
Fonte notizia
www.responsabilecivile.it commenti-offensivi-sul-web-blogger-condannato-per-diffamazione