La Cassazione (sent. n. 1510/2019) ha confermato la sentenza dei giudici di merito con la quale era stata condannata per abbandono di animali una donna trovata con 33 gatti in casa in condizioni pietose
Il Tribunale di Milano, con propria sentenza, condannava una donna giudicata responsabile del reato di abbandono di animali (di cui all’art. 727 cod. pen.) perché deteneva presso il proprio appartamento di abitazione 33 gatti in modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, in ragione delle condizioni di sovraffollamento degli animali e di pessime condizioni di igiene dei luoghi.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore di fiducia, rilevando in quale errore sarebbe incorso il giudice di primo grado che aveva “tratto dalle condizioni ambientali in cui erano tenuti gli animali, attraverso una sorta di automatismo argomentativo, la sussistenza di sofferenze a carico degli animali, senza accertare la sussistenza di un effettivo nocumento sofferto dagli stessi, anche nella forma del semplice patimento, né tanto meno la gravità delle sofferenze”.
Con il secondo motivo deduceva il vizio di motivazione e il travisamento della prova, posto che il Tribunale avrebbe valutato solo parzialmente le prove offerte in giudizio: ad esempio non avrebbe valutato la planimetria dell’appartamento, le allegazioni fotografiche ritraenti gli animali in epoca precedente l’accertamento, le fatture di acquisto del cibo differenziato anche per età degli animali che – a sua detta – comprovavano la cura e l’attenzione che ella ci metteva.
La decisione della Cassazione
Secondo i giudici della Suprema Corte, i motivi di ricorso sono inammissibili.
Nei motivi in esame – affermano – si espongono, in sostanza, censure puramente contestative le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità; ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006).
E’ stato inoltre condivisibilmente affermato (Sez.4, n. 18167 del 2017, non mass.) che la detenzione di animali integrante la fattispecie di cui all’art. 727 cod.pen, costituendo reato (sia pure contravvenzionale), rientra nell’ipotesi di cui all’art. 240 comma 2 n. 2 del codice penale (in base al quale, come è noto, deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato).
Ne consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con condanna della donna anche al pagamento delle spese del procedimento.
La redazione giuridica
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