Il 19 maggio è “Obesity Day“, la campagna di prevenzione per sconfiggere l’obesità. La dottoressa Elisa Mancini, del team scientifico Keyum®, spiega cos’è e come affrontare questa patologia così diffusa. “E’ importante elaborare una dieta personalizzata, ove necessario progettare strategie nutrizionali differenziate mediante l'uso di probiotici, di prebiotici e di nutrienti specifici, al fine di ripristinare un microbiota equilibrato e per migliorarne lo stato immunitario e nutrizionale”
Sabato 19 maggio è la giornata nazionale di prevenzione dell’obesità, un fenomeno in crescita esponenziale che investe uomini e donne di tutte le età. E’ stata interpellata la Dottoressa Elisa Mancini, biologa nutrizionista e coordinatrice del team scientifico Keyum®, un rivoluzionario software nutrizionale unico in Europa, per illustrare questa patologia e offrire dei consigli utili per prevenirla.
La prevalenza del sovrappeso varia dal 32% al 79% nell’uomo e dal 28% al 78% nella donna, rispetto agli anni ‘80 la prevalenza dell’obesità è aumentata di almeno tre volte – spiega Mancini – Il corpo umano ospita sulla cute e sulla superficie numerosi microbi, in proporzione di dieci a uno con le proprie cellule. In particolare, a livello dell’intestino, il complesso dei microrganismi denominato microbiota, rappresenta una comunità di circa 10-100 trilioni di cellule batteriche che nel corso dei millenni, nell’uomo sano si sono probabilmente co-evoluti con i padroni di casa, pur con un’ampia variabilità e diversità inter-individuale.
La bibliografia più recente afferma che il microbiota è simile ad un organo e svolge funzioni essenziali per la nostra sopravvivenza. La funzione principale della flora batterica intestinale è di limitare la crescita dei microrganismi potenzialmente patogeni prevenendo la loro invasione nell’intestino. L’ecosistema microbico inoltre, è coinvolto in un vasto range di attività fisiologiche: funzioni metaboliche quali la produzione di vitamine (K, B12, B5, la biotina, l’acido folico), sintesi di aminoacidi a partire dall’ammoniaca o dall’urea, regolazione del metabolismo centrale, funzionamento del sistema immunitario ed endocrino, fino ad arrivare al funzionamento stesso del sistema nervoso centrale.
Come queste migliaia di miliardi di microbi, influenzano lo stato di salute umana e quello di malattia è oggetto di numerose ricerche. Purtroppo, il riconoscimento del microbiota al fine di prevenire o trattare le malattie è reso difficile a causa della sua complessità, ma anche per la sua variabilità intra e inter-personale. Alcuni dei principali fattori in grado di modificare la composizione del microbiota intestinale sono i seguenti: la dieta, l’assetto genetico dell’ospite, le relazioni familiari, le tradizioni culturali, le aree geografiche, i fattori ambientali, lo stato gravidico, la modalità del parto, dallo stato di obesità, dalla presenza della sindrome metabolica, del diabete di tipo II, di malattie infiammatorie intestinali, dalle patologie cardiovascolari, la presenza di disturbi derivati dall’uso degli antibiotici.
La composizione della dieta, il tempo di transito, il pH e i substrati disponibili, che i batteri sono in grado di utilizzare, possono avere un forte impatto sull'ambiente intestinale. Di conseguenza, le variazioni dell'assunzione dei tre principali macronutrienti (proteine, lipidi e carboidrati complessi digeribili e non) influenzano significativamente la composizione della flora intestinale e interruzioni di questo equilibrio, DISBIOSI, sono state associate a una serie di processi fisiologici e patologici, come nel caso della malattia infiammatoria intestinale.
Studi condotti in proposito suggeriscono che i feti a termine sono sterili e che la colonizzazione batterica dell’intestino del neonato si verifica solo dopo il transito attraverso il canale del parto. Dopo la nascita per via naturale, la colonizzazione dell’intestino neonatale continua attraverso il contatto con i batteri del canale digestivo. Dunque la comunità microbica del nascituro è influenzata dal tipo di alimentazione materna e in rapporto alla modalità di allattamento, al seno oppure artificiale. Con la crescente prevalenza dell’obesità nella popolazione generale, cresce anche il numero di donne che iniziano la gravidanza in condizioni di sovrappeso ed obesità. Le madri obese hanno molte più probabilità di avere bambini obesi, infatti il tasso di obesità sta avanzando in modo allarmante anche e soprattutto tra i bambini.
Negli ultimi 20 anni, si è registrato un intensivo uso e consumo di dolcificanti, ottenuti da substrati di origine vegetale o sintetizzati da componenti chimici. Questi sono adoperati dall’industria alimentare per l’alto potere dolcificante e per il basso impatto calorico ma tuttavia hanno uno scarso apporto nutrizionale.
Recenti studi hanno dimostrato che un significativo consumo di dolcificanti sintetici ipocalorici (saccarina, sucralosio, aspartame, fruttosio ecc) contenuti in bevande analcoliche, in succhi di frutta industriali e negli snack dolci: avviene in particolare nei bambini, nei quali la preferenza al gusto dolce risulta forte ed innata sin dalla nascita. Il piacere di consumare tali bevande è correlabile all’immediato piacere al momento del consumo ma comporta un falso segnale di sazietà: elevato 1 minuto dopo il loro consumo e nettamente più basso solo dopo 14 minuti: molto spesso infatti i bambini accompagnano le bevande zuccherate con snack dolci o salati per cercare di compensare la sazietà.
Il consumo di tali prodotti determina un aumento dell’apporto calorico giornaliero (circa 150 Kcal), fornito principalmente da calorie “vuote” cioè prive di nutrienti fondamentali. L’abuso nel tempo risulta responsabile dell’aumento dell’introito calorico di circa 7-8 kg in più all’anno. In tali soggetti si registra inoltre, un aumento del grasso corporeo di accumulo (adiposità viscerale), un innalzamento sia dei livelli di glucosio nel sangue con la conseguente richiesta di alti livelli di insulina al fine di normalizzare i valori, sia dei livelli di pressione sanguigna. Parallelamente si registra un aumento dei livelli di trigliceridi, del colesterolo totale, la riduzione del colesterolo HDL, un aumento quindi dei casi di sovrappeso e di obesità e della sindrome metabolica.
Ricerche recenti, inoltre hanno dimostrato che, al crescente consumo - abuso di dolcificanti ipocalorici artificiali, contenuti negli alimenti trasformati, in particolare negli snack a basso contenuto calorico e nelle bevande a base di frutta e di quelle analcoliche zuccherate e gassate, sia responsabile d’innescare la condizione di DISBIOSI intestinale. In particolare, l'incremento esponenziale del consumo di fruttosio aumenta la sintesi lipidica, compromettendo la sensibilità all'insulina, aumentando l’adiposità viscerale, che predispone appunto all’epatopatia (steatosi epatica non alcolica) e al rischio cardiovascolare. L’eccessiva disponibilità di tale zucchero determina, inoltre un’alterazione dell’ecosistema intestinale con il conseguente aumento della permeabilità della mucosa, infiammazione e infine danno epatico.
Inoltre, la riduzione della funzione della barriera intestinale può fornire una più facile penetrazione ai microbi, avviando una cascata di risposte immunitarie e uno stato d’infiammazione cronica persistente. È noto, in effetti, che la combinazione di un’alterata regolazione del metabolismo e dell'infiammazione cronica di basso grado favoriscano l’insorgenza allo sviluppo dell'obesità e dei disturbi metabolici correlati.
E’ importante sottolineare che gli zuccheri normalmente presenti nelle fonti alimentari naturali, compreso il fruttosio (per es. frutta o miele) non risultano correlati al rischio metabolico, in quanto sono associati alla presenza di acqua, fibre, grassi e proteine come in molti cibi di origine vegetale.
L'American Heart Association (AHA) non fornisce specifiche indicazioni in merito al fruttosio, ma raccomanda non più di sei cucchiaini di zucchero al giorno per le donne e non più di nove cucchiaini per l’uomo. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)raccomanda che gli zuccheri semplici non debbono superare più del 10-15% dell’apporto calorico giornaliero, con la proposta di ridurre ulteriormente tale parametro al 5%.
Ormai è noto che il microbiota intestinale ha un ruolo rilevante per la salute, ricopre un preciso e importante ruolo nelle malattie sia gastrointestinali, che extradigestive. Ripristinare la sua presenza fisiologica costituisce, quindi, un obiettivo clinico fondamentale nel trattamento di numerose malattie. La sua modulazione rappresenta, di fatto, un’antica proprietà innata nella razza umana. Ne consegue, quindi, l’importanza del riconoscimento dei fattori che ne influenzano la stabilità e la complessità sia nello stato di salute sia in quello di malattia. In effetti, le caratteristiche principali, quali la sua stabilità, la resilienza e la complessità, sono influenzate nel tempo a partire dall'infanzia fino all'età adulta e avanzata.
Negli anziani, la diversità e la composizione del microbiota sono state collegate a vari parametri di salute e malattia, con particolare riguardo ai disordini immunoallergici e metabolici. In particolare è stata indentificata una rete di segnalazione tra il microbiota, l’immunità e il metabolismo dell'ospite (come già detto anche i disturbi legati all'obesità sono stati collegati alle alterazioni della flora batterica).
La crescita esponenziale dell’epidemia “obesità” è spiegata in larga misura dalla contemporanea presenza di inattività fisica e dieta inadeguata. Circa due terzi degli adulti non praticano attività fisica e presentano abitudini alimentari caratterizzate da alimenti e bevande ad elevata densità energetica e scarso potere saziante e con marginale consumo di frutta e verdura. L’incremento ponderale determina maggiori sforzi cardiovascolari e respiratori, così come mal di schiena, artrite e può talvolta spingere ad una riduzione dell'attività fisica.
Nel momento in cui si tenta di progettare una dieta individuale e mirata alla salute è importante elaborare una dieta personalizzata, ove necessario progettare strategie nutrizionali differenziate mediante l'uso di probiotici, di prebiotici e di nutrienti specifici, al fine di ripristinare un microbiota equilibrato e per migliorarne lo stato immunitario e nutrizionale.
Possiamo concludere che, una dieta adeguata e salutare, associata ad un esercizio fisico costante e regolare si sono dimostrati efficaci nell’influenzare il normale metabolismo.
Ufficio Stampa: press@velvetmedia.it
KEYUM® IN PILLOLE Il metodo Keyum® è stato inventato da Paolo Braghin, il quale ha messo a punto con l’aiuto di una commissione medico-scientifica un software, unico in Europa, che definisce la dieta su misura mantenendo nel menù i piatti preferiti grazie ad una scomposizione bromatologica di settemila cibi e quindicimila ricette in continuo aggiornamento. Le sede centrale è a Boara Polesine, in provincia di Rovigo, ma ci sono uffici operativi anche a Bologna e a Valli di Chioggia. La società è nata nel 2013, ad oggi vi lavorano nelle varie sedi una decina di persone. Nel corso degli anni, ha elaborato migliaia di diete per oltre diecimila persone, nel tre quarti dei casi per il mondo femminile. Tra chi segue il metodo, alcuni sportivi famosi nel territorio veneto: citiamo i triatleti Nicola Battocchio, Omar Bertazzo e Michele Aglio; i ciclisti Marcello Pavarin, Liam Bertazzo e Filippo Fortin; ma anche il rugbista Nicola Quaglio e gli atleti di Judo-Karate-Taekwondo Gabriele e Gianni Guglielmo. Dal punto di vista medico-sanitario, grazie alla revisione della piattaforma, effettuata in collaborazione con docenti dell’università Alma Mater di Bologna, il software è in grado di elaborare programmi nutrizionali anche in presenza 24 allergie ed intolleranze e 18 stati patologici, funziona ad esempio per attenuare e ridurre drasticamente i sintomi del reflusso gastrico, del gonfiore addominale, della stipsi e di alcune forme di mal di testa.
Fonte notizia
keyum.net