“Ecco le Chiese fai da te, una risata li seppellirà” di Davide Romano, giornalista
C’è chi si scomoda a discorrere sul rapporto tra fede e ragione, tra peccato e redenzione, e poi c’è chi, col fare da garzone della spiritualità, decide di fondare la propria chiesa quando viene gentilmente — o meno — accompagnato alla porta di quella cattolica, ortodossa o protestante che sia. Una scena degna del miglior Totò: il pastore, anzi l'ex-pastore o quasi-pastore, che si reinventa imprenditore della fede. Ma la chiesa la “crea lui”, con tanto di dottrina personalizzata, non sia mai che l’umiltà del vangelo possa fare troppa ombra.
L’ironia di Montanelli ci verrebbe a pennello: "Qui, signori, non si tratta di religione. Si tratta di bottega". E che bottega. Questi venditori di salvezza fai-da-te, espulsi dalle comunità ecclesiastiche ufficiali per motivi non propriamente "angelici", si riorganizzano come un rigattiere che, dopo esser stato chiuso dalla polizia per merce contraffatta, riapre sotto falso nome. Ora la domanda è: il mercato c’è? Ahimè sì, e non è piccolo.
In principio fu la menzogna
Il problema, caro lettore, è che costoro sanno vendersi bene (alcuni un po’ meno, a giudicare dai numeri). Come diceva il teologo Dietrich Bonhoeffer, “Il peccato più grande è sempre stato il tradimento della verità”. Eppure, in questo nuovo credo fai-da-te, di verità ce n’è ben poca. Certo, il vangelo resta citato qua e là, giusto per non far scadere la sceneggiata in farsa del tutto. Ma è proprio l’uso selettivo e strumentale delle Scritture che rende questo fenomeno una mascherata tragica.
Non c’è nessun Sant’Agostino che si battezza e redime, né Tommaso d'Aquino che si interroga sull’essenza della fede. No, qui ci sono solo abili venditori di illusioni. Il filosofo Søren Kierkegaard li avrebbe chiamati “cavalieri della disperazione”, uomini senza la profondità della fede, ma che sanno far leva sulla paura e sul bisogno di certezze facili. E così nascono i “vescovi” e addirittura i “primati” autoproclamati. Figure grottesche che, senza nessun mandato apostolico, si decorano con titoli altisonanti e croci pettorali, pastorali e zucchetti, come se fosse una maschera di carnevale. E chi osa sfidarli? Gli apostoli di questi circhi religiosi, armati di microfoni e pulpiti improvvisati, o più comodamente della platea beona di Internet e dei social, gridano alla persecuzione appena qualcuno li contraddice. La verità non è solo ignorata, è travisata, calpestata.
La religione del low-cost
E così si fondano chiese, con titoli pomposi: “Chiesa Universale della Redenzione dell’Anima”, “Chiesa Evangelica Unita” o “Ministero della Luce Divina”. Roba che al confronto la “Chiesa del Sacro Cuore” sembra l’ufficio postale di quartiere. Ma come funziona il meccanismo? Semplice. Prima si fa credere di avere ricevuto una rivelazione personale, o una conoscenza assoluta e senza macchia della Verità, della Bibbia, poi si costruisce una dottrina che serve a giustificare il potere del leader (che di solito si autoproclama vescovo o addirittura primate) e infine si radunano i fedeli, pescando tra i più ingenui o disperati. Insomma, un’accolita di allocchi.
E qui emerge il lato economico della faccenda. Questi pastori in esilio non lavorano gratis, ovviamente. In genere, poi a bene vedere, non hanno neppure un vero mestiere secolare. Anzi, la loro chiesa è sempre alla ricerca di donazioni, decime, oblazioni e via discorrendo. E mentre predicano la povertà cristiana, l’assoluta fedeltà al purissimo Evangelo, vivono una vita che, se non è di lusso, vorrebbe diventarlo. Ricordiamo l’acuto G. K. Chesterton, che diceva: “La Bibbia insegna che dobbiamo amare sia Dio sia il nostro prossimo, ma oggi sembra che molti leader religiosi abbiano solo imparato ad amare se stessi".
La chiesa che si crede Dio
Non basta la scomunica, il richiamo all’ordine o la confutazione teologica. Perché questi “vescovi” autoproclamati non temono nemmeno il ridicolo. Anzi, ne fanno un’arma di propaganda. Come diceva il teologo Hans Urs von Balthasar, “Ogni eresia nasce da una verità mal compresa o male applicata”. Qui la verità è non solo fraintesa, ma anche distorta per giustificare l’esistenza di questi teatrini religiosi.
Così, il "primate" di turno si autoproclama salvatore di anime, con tanto di croce pettorale e zucchetto viola, senza dimentica il pastorale e tutto il corredo, mentre la teologia diventa una scusa per legittimare la propria autorità e, infatti, guai a contraddirlo o a mettere in discussione la sua autorità perché allora la sua “sacra ira” si scatena contro il malcapitato che diviene oggetto di vere e proprie contumelie e falsità diffamatorie. Oltre naturalmente a venire espulso, sovente per indegnità (non è più degno, infatti, di stare al cospetto dell’augusto primate).
E il risultato? Una chiesa che non è più chiesa, un pastore che non è più pastore, ma un attore che recita una parte scritta da lui stesso, per un pubblico troppo disperato o ingenuo per accorgersene. Ma che importa, finché il biglietto d’ingresso lo pagano… anche solo quello di nutrire il suo ipertrofico ego. E noi? Seppelliamoli pure con una risata. Che affoghino nel ridicolo!
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