“L’arte del filosofare viene alla luce anche grazie al comportamento mimetico di chi la esercita” (Manlio Sgalambro).
Come si cura l’anima? Una domanda nella metafisica della parola che scivola tra le ombre e la musica. Di musica la parola si nutre. Di musicalità il pensiero si fa forza e ancestrale disegno che l’isola del tempo nell’oscurità del sole. I cercatori del sole. Battiato e Manlio Sgalambro.
Quanto Mediterraneo c’è in Franco Battiato? limite o oltre il limite. Il davanzale dell’infinito recita nel tempo. Un tempo sommerso che si intreccia alle metafore che ci accompagnano tra il ricordare e il vivere. In questo spazio-tempo si ascolta Franco.
In Battiato e Sgalambro si vive quella linea tra gli orizzonti del vero e il filo che cattura il dubbio dentro il bisogno di infinita bellezza. Le culture, a volte, recepiscono quello che non c’è più a due passi da noi. Ecco. L’infinito. Bisogna fare i conti con il tempo immortale e con l’io indecifrabile ma che si circonda del finito.
Quando il canto non c’è più resta l’ombra del suono: “Il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Il cantico di Franco Battiato non ha smesso di essere. È Franco che ha smesso gli abiti terreni e il suo superare l’oltre è dentro un religioso viaggio tra il mistico e gli archetipi. Non mi (ci) ha portato soltanto musica, parole, cinema, orchestra, linguaggi innovativi e rivoluzionari. Ma è Sgalambro che indica un percorso quando afferma: “Il cantante deve convincere delle sue tesi. Contrariamente al filosofo, però, lui può farlo senza argomenti”.
Ha portato meditazioni pensiero contemplazione. Tre concetti che restano fondamentali per comprendere un paesaggio epocale che ha trasmesso Franco. Non si tratta di musica colta. Di mistero archetipo magia. Altri tre incisi nella ricerca della proposta tra misticismo e filosofia, tra letteratura e immagini, tra comunicazione e antropologia della religiosità. Il misticismo recuperato da Franco è la forte variante del tempo dello sradicamento.
Ma cosa è la musica dentro un tale contesto. Sgalambro ci testimonia: “Il cantante deve convincere delle sue tesi. Contrariamente al filosofo, però, lui può farlo senza argomenti”.
Gli anni Settanta del Novecento sono la debolezza del pensiero, eppure Franco è in questi anni che ha lacerato la leggerezza dell’essere e del sembrare con un canto non solo alto e pesante ma profondamente radicate. Da questi anni sino ai Novanta. Ovvero dalla sperimentazione alla ritrovata tradizione rinnovata. Ma sottolineava: “Quante squallide figure che attraversano il paese,/ com’è misera la vita negli abusi di potere”, eravamo a “Bandiera bianca”. Da “Povera Patria” alla sgalambriana “La cura”, tanto amata.
Dall’era del “Cinghiale bianco” a Beethoven e da qui all’estrema sensualità onirica del “Cantico dei Cantici” nei suoi fiori raccolti da Baudelaire e vissuti con lui da Manlio Sgalambro. Fino a quel viaggio colto come invito tra le terre arse e l’arsura dei mari. L’Oriente come rappresentazione del Pensiero: dalla Persia a Tunisi. In quella casa tra il bianco e il celeste nell’immenso mare che distanziava di breve la sua Sicilia.
L’ombra delle parole è diventata in Franco Battiato l’ombra della luce sino a raccogliere il passo dei cammelli o i grani nella cruna delle lune sul deserto. La parola come la pittura, la sua, d’Oriente impastata. La musica non come canzone ma come Orchestra. Una sinfonia di Infinito come la danza dei dervisci che non ha parole ma linguaggio. Il linguaggio è, è stato, sempre un esistere oltre l’esistenza stessa.
Il tempo è percezione della impercettibilità sembra dirci Sgalambro: “Non v’è dunque che una sola età. Oppure, come possiamo anche dire, tutte le altre età sono faccende da psicologia. Solo la vecchiaia è in sé. Soltanto essa non chiede meno di una metafisica per essere trattata adeguatamente”.
Ogni elemento ha bisogno di essere cercato, come nella unicità di “E ti vengo a cercare” che si proietta nella lentezza di un tempo impareggiabile che non può essere dimenticato se non si ammette di essere un tempo perduto come nella reinterpretazione del testo di Adamo “Perduto amor…”. Infatti Battiato: “Vorrei tornare indietro,/ per rivedere il passato, /per comprendere meglio, /quello che abbiamo perduto“.
Il tempo ha la necessità del necessario. Ovvero il dimenticato e il perduto non sono concetti astratti ma semplicemente divergenti rispetto alla modernità della leggerezza. “Niente è come sembra”, non una circostanza. Ma un fatto nel destino e nella conoscenza: “Nulla è come sembra. Nulla è come appare perché niente è reale”.
Battiato non ha mai avuto schemi e non conosceva regole perché nel misticismo esoterico dell’arte le regole non si pongono come problema. “Lascia tutto e seguiti” perché bisogna cercare l’infinito. Il sacro era il suo senso ontologico e metafisico dentro il superamento dell’al di là del bene e del male stesso.
Andare oltre l’ombra. Un cammino che soltanto i pellegrini in erranza di verità sanno compiere. Franco era in questo dettaglio. Era questo dettaglio. Non un chansonier ma un mistico che separava la parola dal silenzio, il silenzio dalla preghiera, il canto dal linguaggio.
Un pellegrino che ha abitato il suo pellegrinaggio. Sino a penetrare la bellezza. Perché? Perché so che: “Le nuvole non possono annientare il sole”. In molti miei libri, tra letteratura e filosofia nel percorso di un mosaicizzato misticismo, ho sottolineato l’importanza del linguaggio di Battiato cercando di solcare l’eterno dei linguaggi che sono immagini e restano immaginario.
L’ho attraversato, l’ho abitato, l’ho vissuto e non smette di parlarmi raccontandolo. Perché andare oltre “il bardo” è scendere in un “gorgo” e risalire sempre in un tempo che supera la stazione del morire verso la luce indefinita e indefinibile. Dunque, tre anni fa ci lasciava Franco Battiato (18 maggio 2021). Un viaggiare tra il mistero e il mito, il sacro e gli archetipi.
Tutti elementi che in un confronto tra Sgalambro e Battiato diventano pensiero e fenomenologia del pensiero tanto che “La teoria della canzone aspira ad essere un capitoletto dell’estetica della musica” e non si può non considerare il fatto che “Nella canzone sembra che sua concentrata tutta la poesia possibile del nostro tempo” (Sgalambro). In fondo ancora con Manlio “La canzone è un frammento post socratico”.
Il tempo della musica è un tempo interiore. Maieutico. Come in Beethoven. O nel tragico Wagner. O nel notturno Chopin. Quando Nietzsche si confessa contro Wagner non fa altro che determinare il tragico senso della morte. Come nelle suonate di Battiato. Come nell’inciso di Sgalambro che dice: “… sono il Cavalier Poeta tra la morte e Dio”.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria e vive tra Roma e la Puglia. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario, già direttore archeologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di Letteratura dei Mediterranei, vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. Ha pubblicato oltre 120 libri, tra poesia saggistica e narrativa. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Quest’anno con decreto del Ministero della Cultura Mic , è stato nominato Presidente della Commissione per il conferimento del titolo di “Capitale italiana del Libro 2024“. Recente è inoltre l’incarico assegnato sempre dal Mic di Componente della Giunta il Comitato nazionale per il centenario della morte di Eleonora Duse (21 aprile 1914 – 21 aprile 2024) e direttore scientifico nazionale del Progetto Undulna Duse 100.