“Depreco egualmente il trionfalismo di Kant e in genere di quelle filosofie che, trovando necessario partire dall’io, inneggiano ad esso come se fosse una grande conquista e non invece la miserabile sorte che ci è toccata”. Così sottolinea Manlio Sgalambro. Il filosofo che ha letto Kant con le variazioni di una metafisica che occupa lo scenario e il campo dell’eghelismo. La prospettiva è quella della “volontà come rappresentazione” in un gioco infernale dove il possibile devia verso l’impossibile storico. Verso Schopenauur. Sgalambro riporta Kant sulla strada maestra della lezione dell’angoscia di Kierkegaard? Probabile anche se un tempo senza criticismo è un’epoca fallita. Le culture moderne tradiscono Kant perchè non sanno più fare i conti con il tempo. Anche la politica necessita di un tempo. Quella politica che pensa di fare a meno del tempo diventa selvaggia. La necessità di un confronto con Hobbes è peculiare. Il tempo è frazionamento della memoria e del ricordo attraverso la ragione, ovvero la ragione metafisica che parte da Konigsberg e giunge a Nietzsche. Manlio Manlio Sgalambro è un conduttore nicciano a tutto tondo (Sgalambro nato cento anni fa).
Infatti è proprio così. Lungo le vie della vecchia città di Konigsberg tutti volevano bene a quell’anziano uomo che nel corso delle sue lunghe passeggiate aveva un sorriso per tutte le persone che incontrava e che affascinava con la sua oratoria e la sua arguzia. A quell’anziano uomo che non regolava le lancette del suo orologio a quello della città ma il contrario, come sosteneva qualcuno bonariamente, in virtù di uno stile di vita estremamente regolato. Quel vecchio filosofo che tentò una impresa titanica, cercò di elaborare un nuovo modo di fare filosofia attraverso una vera rivoluzione copernicana nel modo di pensare l’uomo e l’universo.
Immanuel Kant nato, da una famiglia di origini modeste, a Konigsberg nel 1724 e morto nella stessa città in cui trascorse la sua vita nel 1804. (Kant nato 300 anni fa).
Sembra sia stata la madre, Anna, ad accorgersi delle doti intellettuali del figlio e tra il 1730 e il 1732 Kant frequentò la scuola dell’ospizio suburbano e compiuti otto anni, grazie all’aiuto finanziario di Franz Albert Schltz, direttore del Ginnasio Fridericianum, venne accolto nel collegio. Un collegio frutto dell’impegno pedagogico pietista nella Germania nordorientale.
I pietisti affondavano le loro radici nell’anabattismo e nel mennonismo dei secoli passati e spesso raggiungeva eccessi sorprendenti. In realtà, in seguito, Kant descriverà gli anni trascorsi al Fridericianum come una “schiavitù giovanile” e anche nei confronti dei suoi professori non aveva bei ricordi ma riusciva a menzionare unicamente il docente di latino in quanto gli riconosceva il merito di aver saputo affrontare i classici latini anche attraverso una interpretazione morale e letteraria non solo, quindi, meramente grammaticale. Kant trascorre otto anni al Fridericianum.
Nel 1737 viene colpito da una tragedia , ovvero la madre muore e come documentano i registri della parrocchia verrà sepolta la sera prima di Natale “povera” e in “silenzio” cioè priva di un accompagnamento religioso proprio ad indicare uno stato di pesante ristrettezza economica in cui versava la famiglia. Per non gravare sulla famiglia Kant si trasferì da un amico e si manteneva dando lezioni private.
Nel 1746 conclude gli studi presentando uno scritto intitolato Pensieri sulla vera estimazione delle forze vive. Si tratta di un saggio dedicato a un problema della fisica ma che in realtà riguarda anche la filosofia. Infatti la definizione del calcolo della forza in base alla massa e alla velocità opprime da anni i discepoli della Méthode cartesiani e a quanti si rifanno al pensiero leibniziano al quale Kant dà ragione in riferimento alla forze vive ma si rivolge anche ai cartesiani quando parla di forze morte.
Nello stesso anno, il 1746, Kant viene colpito da un’altra tragedia, il padre muore e la sua salma scende nella tomba “povera” e in “silenzio” come quella della moglie. Perciò Kant per far fronte alle ormai disastrose condizioni economiche sceglie di diventare precettore privato presso le residenze degli aristocratici della campagna prussiana e sarà l’unica volta che lascerà la sua città. Nonostante il duro lavoro di precettore poco degno di ammirazione perché gli stessi venivano considerati né più né meno dei semplici domestici Kant riesce a mettere un po’ di soldi da parte e nel 1755 torna a Konigsberg e si accinge a pubblicare il suo primo lavoro importante: la Storia universale della natura e Teoria del cielo in cui Kant espone una teoria sull’origine del sistema solare.
Questo lavoro che si riallaccia nel contenuto delle idee tanto a Newton quanto a Copernico ha un destino sfortunato, l’editore fallisce e la tipografia viene sigillata. Tuttavia ormai Kant in tutta la Germania è ammirato e conosciuto con il nomignolo di “Illuminismo” in persona. Alcuni mesi dopo, in ottemperanza della legge prussiana che prevede almeno tre esami per poter esercitare il libero insegnamento Kant si abilita con una discussione sui “primi principi della nuova metafisica” ottenendo il titolo di Magister legis, cioè libero docente. Molto più importante per il professore è la possibilità di accedere al titolo di docente universitario che tarda però ad arrivare. A tal punto ancora Sgalambro potrebbe intercettare e intrecciare le variazione con le diversificazioni. Il suo mondo pessimo sarebbe una RI-concializione.
Negli anni che seguono Kant riesce ad assumere un ruolo di spicco nella vita cittadina e quando gli viene proposta la cattedra di arte poetica rifiuta sdegnosamente ma non si arrende e continua a presentare la domanda questa volta però alla facoltà di filosofia di Konigsberg e alla “Serenissima Potentissima Imperatrice e Sovrana di tutte le Russie”, Elisabetta, in quanto la città è stata occupata dai russi. L’occupazione dura quattro anni, dal 1758 al 1762,e invece di deprimere la città si rivela un volano tanto per l’economia quanto per la cultura.
Le pubblicazioni di Kant che vanno dal 1762 al 1764 consolidano la sua fama di studioso di metafisica e dopo la guerra dei sette anni il suo pensiero è discusso in tutta la Germania, tant’è che Federico II, di solito non disposto positivamente verso i filosofi tedeschi, indirizza al governatore della Prussia orientale un lettera in cui chiede l’avanzamento del professore Kant.
Kant, così, ottiene il posto di sottobibliotecario della biblioteca del castello in cui vi rimane per quattro anni. Nel 1770 ottiene la tanto sospirata e desiderata cattedra di filosofia e logica all’università di Konigsberg. Dopo un lungo decennio di silenzio, rimproverato da tutti, ma caratterizzato da una intensa attività mentale, Kant in una lettera indirizzata al suo ex allievo Markus Herz annuncia per Pasqua l’uscita della pubblicazione dal titolo Critica della ragion pura.
Il testo uscì nel 1781, ma ci lavorava dal 1770, all’interno del quale si afferma che la conoscenza umana è nel suo complesso un contesto di giudizi che possono essere analitici o sintetici, rispettivamente al soggetto viene attribuita una qualità implicita o una qualità nuova non desumibile dal concetto di esso. L’opera venne considerata da Schopenhauer come il libro più importante scritto in Europa e Goethe dichiarò che leggere un pagina degli scritti di Kant è “come entrare in una stanza piena di luce”. Nel 1788 esce la Critica della ragion pratica in cui il filosofo determina la natura della legge morale e il genere di adesione che i principi pratici comportano.
Nel 1790 dà alla luce un’altra opera dal titolo Critica del giudizio con la quale completa la sistemazione filosofica del criticismo. Tratta, in quest’ultimo testo, delle nozioni del bello e della finalità. Nel frattempo Kant guadagna sempre più stima e ammirazione soprattutto dopo la partecipazione nel 1784 ad una delle questioni della Berlinische Monatsschrift, Che cos’è l’illuminismo? Domanda alla quale Kant rispose così: “l’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso” ovvero, come sostiene Armando Massarenti, in Kant si ribadisce che “la libertà non è il semplice prodotto di una negazione del presente, ma il frutto tardo e difficile di una cruda contesa storica con chi detiene forza e autorità” (Armando Massarenti, in “Kant Vita, pensiero, opere scelte”, Il sole 24 ORE, 2006). Una definizione, quella di Kant, che ha fatto epoca e che portò al filosofo, due anni dopo, la carica di rettore dell’università di Konigsberg e venne eletto membro dell’Accademia delle scienze di Berlino. Anche se ormai vecchio, Kant continuava ad affascinare le giovani menti così come i suoi amici. La sua ultima lezione, tenutasi nel 1796, è documento di quanto il filosofo fosse amato ed apprezzato.
Negli ultimi anni dà alle stampe Il conflitto delle facoltà e l’Antropologia da un punto di vista pragmatico (1798). Il crollo fisico e mentale è però ormai imminente. Si ammala di polmonite ma, per dimostrare che la sua mente è ancora lucida, nel momento della visita del medico, si racconta che, per rivolgere un atto di gratitudine, si alzò nonostante la salute fragile, con lo stupore del dottore e bisbigliò “il senso di umanità non mi ha ancora abbandonato”.
Immanuel Kant muore il 12 febbraio del 1804, all’età di ottanta anni, dopo aver sussurrato “ Es ist Gut” cioè “Va bene così”.
Tra le tante opere di Kant, fra quelle citate, ho omesso, volutamente, di far riferimento al testo dal titolo Per la pace perpetua (1795), in quanto il lavoro che mi sono proposta di sviluppare si basa proprio sull’analisi di tale opera e quindi sulle tematiche da Kant analizzate sulle quali soffermerò la mia attenzione.
Kant affronta il problema della pace perpetua nella filosofia del diritto. Propone una soluzione che è prettamente giuridica. Tali tematiche non vengono analizzate unicamente in questo scritto ma Kant dedica altri testi a tale problema.
Ricordiamo infatti Principi metafisici della dottrina del diritto (1797), il saggio in cui Kant espone il primo abbozzo di filosofia della storia, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784), in cui viene affrontato il problema dei rapporti tra teoria e pratica, Sul detto comune “Ciò può esser giusto in teoria, ma non vale per la prassi” ( 1793).
Lo scritto Per la pace perpetua fu concepito in seguito alla notizia della pace di Basilea firmata tra la Repubblica Francese e la Prussia il 5 aprile 1795 ma indipendentemente dalle circostanze storiche trova la sua ragione in una concezione generale della storia, della società e del diritto.
Il progetto dell’opera kantiana non era un progetto a se stante ma aveva dei precedenti che lo stesso Kant riconobbe nell’opera dal titolo Projet pour rendre la paix perpetuelle en Europe (1713-1717) dell’abate di Saint-Pierre, fondato sul principio di un’alleanza perpetua tra gli Stati sovrani che si impegnano a sottomettere le loro controversie al giudizio di tutti gli altri Stati riuniti in assemblea permanente, e gli scritti di Rousseau composti tra il 1756 e il 1758 che vertevano su un’analisi critica dello stesso progetto. La discussione sul tema è affrontata da Kant nell’insolita forma del trattato internazionale.
Il filosofo costruisce il suo pensare sui concetti propri del giusnaturalismo che pone le basi sul concetto di stato di natura che è uno stato non giuridico o come lo chiama Kant di diritto provvisorio ma è uno stato di guerra permanente da cui l’umanità deve uscire. Come per Hobbes e gli altri giusnaturalisti anche per Kant il passaggio dallo stato di natura allo stato civile avviene attraverso un contratto originario (ricordiamo che Hobbes parlava in realtà di un patto sociale e distingueva il pactum unionis dal pactum subiectionis). Kant condivide due massime di Hobbes, la prima è che lo stato di natura è uno stato di guerra di tutti contro tutti (si ricorda il principio homo homini lupus), la seconda è che lo stato di natura in quanto stato di guerra è uno stato da cui l’uomo deve uscire.
Hobbes.
La differenza tra Kant e Hobbes sta nel fatto che per il primo l’uomo potrà uscire dallo stato di natura attraverso una norma morale (imperativo categorico), mentre per il secondo l’uomo uscirà dallo stato di natura attraverso una regola di prudenza (imperativo ipotetico). Quindi il progetto di Kant sta nella facoltà di far uscire gli uomini dallo stato permanente di guerra, e quindi dallo stato di natura, per poter creare uno stato di pace universale.
Kant ben presto comprende che tale progetto ha in realtà dei limiti e quindi per il superamento dello stato di guerra che sopravvive nei rapporti tra stati, e non più nei rapporti tra individui per effetto del patto di unione, è necessaria una unione di stati e soprattutto un’unione fra stati più civili che saranno di esempio agli altri attraverso una lega o una federazione permanente. Facendo sempre riferimento alla dottrina giusnaturalista la costituzione dello Stato richiederebbe o due patti (pactum societas con il quale gli individui rinunciano ai conflitti per dare inizio ad una collaborazione, e il pactum subiectionis con il quale si sottopongono ad un potere comune che sottometta la comunità) o un patto di unione come quello ipotizzato da Hobbes che riunisce le caratteristiche dei due patti sopra menzionati.
In realtà il progetto che Kant ha in mente è diverso. Mira alla realizzazione di un patto in cui gli Stati, pur accordandosi nel porre termine a tutte le guerre, non sottopongono la garanzia della efficacia di tale patto a un potere superiore. Quindi è di facile comprensione il motivo secondo cui questa idea non può essere accettata almeno per due motivi.
Il primo perché senza il controllo di un potere superiore ognuno degli Stati uniti in federazione può a piacimento uscire dal patto e perciò si resta nell’ambito del diritto provvisorio, non amato dallo stesso Kant.
Il secondo motivo è fondato sulla preoccupazione che uno Stato universale possa rivelarsi pericoloso per la libertà dando origine al dispotismo. L’idea di Stato dispotico era completamente contraria alla concezione di Stato che aveva Kant. Egli contrapponeva come forma buona di stato la Repubblica intesa come forma di governo in cui veniva attuato il principio della separazione dei poteri, in particolare la separazione del potere esecutivo dal potere legislativo.
Il progetto che Kant elaborò, nell’opera in questione, non è concepito come un’utopia, in quanto sostiene che la pace interna da cui sono nati gli stati e la pace esterna verso cui il diritto tende devono essere intesi come un dovere morale.
Le idee di Kant restano quanto mai attuali e perciò discutibili affinché vengano poste le basi per una discussione aperta nei confronti dei vari stati a noi vicini proprio perché si possa, non dico arrivare alla risoluzione del problema, ma almeno alla possibilità di poter discutere il problema della eliminazione della guerra attraverso sinergie tra stati che vengono considerati, oggi, civili.
Entrando nel vivo della questione è necessario sottolineare che Kant affronta la discussione attraverso la forma del trattato internazionale in quanto del trattato vuole avere le virtù attive e la veste funzionale. L’opera è così suddivisa : Sezione prima : “Contenente gli articoli preliminari per la pace perpetua tra gli Stati”; Sezione seconda : Contenente gli articoli definitivi per la pace perpetua tra gli stati”; Primo supplemento : “Garanzia della pace perpetua”; Secondo supplemento : “Articolo segreto per la pace perpetua”; Appendice : I “Sulla discordanza tra morale e politica in ordine alla pace perpetua” e II “Dell’accordo della politica con la morale secondo il concetto trascendente del diritto pubblico”.
Gli articoli preliminari sono sei e rappresentano “le condizioni necessarie a che vengano eliminate le principali ragioni di guerra tra gli Stati…” (Noberto Bobbio, Diritto e stato nel pensiero di Immanuel Kant, Torino, 1957, pp.272-273). Il primo articolo e gli ultimi due sono leges strictae, valgono senza tener conto delle circostanze e sono di applicazione immediata, gli altri sono leges latae tengono conto, cioè, delle circostanze e permettono che se ne differisca l’esecuzione.
In tutto questo rientra la considerazione di un mondo altro dentro la nozione di tempo. Un tempo espressivo, un tempo storico, un tempo metafisico. Da qui a Nietzsche il passo è obbligatorio e attraversa Hegel, Schopenauur e la filosofia post romantica sino a rivelarsi e svelarsi con Heidegger.
Ma cos’è la verità? Kant si pone questo problema. Ma anche Sgalambro sprofonda dentro questa dimensione. Dimensioni di decadenza? Mha! Sgalambro ha l’ironia che mancava a Kant: “Piccole decadenze. Dopo Kant e l’idealismo, Charlot e il cinema”. Il pensiero marcisce. Già, “marcisce anche il pensiero”, secondo Sgalambro: “Anche le ceneri di Kant turano/falle e i crani si riempiono/di fetida aria bolle”.
Micol Bruni
Già Cultrice di Storia del Diritto. Uniba.