Ciao, Mirella! Da dove nasce la tua passione per la scrittura e come è evoluta nel corso degli anni?
Ciao. E chi lo sa? Ricordo che sin da bambina, la scrittura era semplicemente la cosa che mi riusciva meglio. A scuola, da subito, gli insegnanti notarono che sapevo davvero esprimermi bene con la penna in mano. Ho sempre saputo di possedere, in un certo senso, questa dote. C’è un piccolo aneddoto a riguardo. Io scrivo con la mano sinistra. Sono, orgogliosamente, mancina. Se fossi nata giusto una manciata di anni prima, o anche soltanto in un contesto un po’ meno evoluto, probabilmente mi avrebbero “corretta” come capitava un tempo in questi casi. Cionondimeno, non fu semplicissimo. Oggi, sin dalla scuola materna, esistono non soltanto le forbici, ma addirittura le matite con le impugnature adeguate; allora, vivere la scuola in un mondo di destri significava che in molti aspetti della produzione manuale te la dovevi un po’ cavare da sola. La mia grafia non era perfetta, non ero brava nel disegno e da me non ci si aspettava che lo fossi. E allora io, forse per questo mio carattere caparbio, con la mia manina sinistra ho cominciato a scrivere e quello che scrivevo era bello, tanto che nessun insegnante si preoccupava più della grafia non eccellente.
Quali sono le tue principali fonti di ispirazione letteraria e come influenzano il tuo stile?
La lettura è fondamentale. Credo che nessuno dovrebbe tentare la via della scrittura se non ha consumato qualche diottria sui libri. Per la stessa ragione, è importante non fossilizzarsi né su un genere, né su un autore. Ho letto moltissimo Stephen King, da ragazza. Lo considero un vero scrittore. Uno che sa mettere le parole nella posizione giusta per farti provare esattamente quello che ha in mente. Poi ho attraversato il periodo dei classici. Ovviamente da bambina avevo già letto Piccole Donne, Alice nel Paese delle Meraviglie e moltissimi altri classici per ragazzi. Quindi sapevo che mi piacevano le storie “attempate” ed emozionanti. Per cui passai a letture come Cime Tempestose di Emily Bronte e da lì alla letteratura gotica. Dracula di Bram Stoker, per esempio. Ovviamente ho letto e leggo Agatha Christie. Anni fa, decisi che volevo nel mio bagaglio letterario qualcuno dei capisaldi della narrativa mondiale. Non fu semplicissimo, all’inizio, qualcuno lo mollai, ma Il maestro e Margherita di Bulgakov è un romanzo davvero bellissimo e vale la fatica di arrivare in fondo. Ho letto davvero di tutto. Fantasy, romantici, thriller.
Mentre prendeva forma la mia passione per la storia, ho letto Wilbur Smith, Ken Follet. un romanzo che amo moltissimo è Il nome della Rosa, di Eco. E leggo con grande piacere il mio concittadino Marcello Simoni e i suoi accuratissimi gialli storici.
Si trae insegnamento da tutte le letture. Per esempio, l’autrice irlandese Lucinda Riley, la regina del “romance”, i suoi romanzi possono sembrare letture “leggere”. Ma le vicende appassionanti di cui narra sono sempre un viaggio tra storia e leggenda, con un pizzico di mistero.
Il tuo percorso verso la pubblicazione è iniziato con un concorso. Puoi raccontarci di quella esperienza e di come ha cambiato la tua prospettiva sulla scrittura?
È buffo perché io non avevo mai partecipato a un concorso letterario. Non mi era mai neppure venuto in mente. La scrittura era un passatempo privato e l’idea di trarne un’attività professionale riposava in angolo da sempre. Era come in attesa. Avevo dato priorità ad altre cose, nella mia vita. Gli studi, il lavoro, la famiglia soprattutto. Ho sempre pensato che la scrittura e soprattutto la pubblicazione richiedessero molto di più di un’eventuale dose, piccola o grande che fosse, di talento. Capacità tecnica, preparazione, determinazione, impegno e tempo. Ho dovuto attendere che le priorità cambiassero, che nella mia vita ci fosse spazio per intraprendere questa strada. Poi, il caso (o il destino) ha fatto il resto. Certo, non credevo, nell’iscrivermi a quel concorso, che le cose sarebbero andate in questo modo. Ho inviato il mio racconto in settembre e non ci ho più pensato. Il 31 ottobre uscivano i risultati. Ho letto e riletto quella breve nota, con il verbale di giuria. Mi sembrava incredibile che il mio racconto “La Dama” fosse al primo posto. I nomi degli autori non erano riportati. Pensai anche che probabilmente, anzi, sicuramente, si trattava del racconto di qualcun altro, che aveva chiamato il suo lavoro nello stesso modo. Proprio allora, ho capito che era il momento per aprire quel cassetto, dove il mio romanzo, ancora in fase di stesura, languiva. Sono stata molto fortunata, ovviamente. La casa editrice Argentodorato non solo ha creduto in me, ma mi ha fornito tutti gli strumenti per crescere e realizzare al meglio la mia opera.
Parliamo del tuo romanzo "Il passo della gatta". Cosa ti ha spinto ad ambientare la storia a Ferrara e quali temi affronta?
Scrivi di quel che conosci. Non so chi l’ha detto, ma so che è vero. Ferrara è la mia città, la mia dimensione. La amo e la conosco bene. È una città che ha sempre fornito ispirazioni letterarie e cinematografiche, per le sue atmosfere, per la sua bellezza, per la sua storia e per la sua dimensione umana e tutto sommato contemporanea. La mia scrittura poteva partire soltanto da qui. Gli ingredienti del romanzo sono proprio questi: è un giallo, con un pizzico di mistero, qualche nota romantica, due giovani protagoniste e uno sguardo nel passato.
Come hai vissuto la transizione da lettrice appassionata ad autrice pubblicata?
L’unico cambiamento sta nel fatto che ora frequento, con immensa gioia, più ambienti “letterari”. Fiere, eventi, presentazioni, sono splendide occasioni per parlare di scrittura e conoscere autori e questo, per chi ama i libri come me, è davvero splendido. Continuo a comprare troppi libri. Ovviamente ora so molte più cose sulla filiera editoriale, quindi guardo all’oggetto libro con una specie di consapevolezza in più. Ma per il resto, sono sempre un’amante dei libri, una lettrice appassionata e poi, incidentalmente, un’autrice pubblicata.
Il tuo libro è stato selezionato per Casa Sanremo Writers 2024. Cosa significa per te questa opportunità?
Per me è già un traguardo importantissimo. Essere selezionata, avere la possibilità di far conoscere la mia opera a un grande pubblico, ma soprattutto vivere un’esperienza di questo livello sono davvero “doni” che il mio romanzo, la mia gatta, mi ha portato. E un dono si accetta con gratitudine, cercando di utilizzarlo al meglio.
Come vedi il panorama della letteratura contemporanea e qual è il tuo contributo unico come scrittrice?
Si dice spesso che nel nostro Paese tutti scrivono ma pochi leggono. Non credo sia vero. Certo, i numeri affermano questo, ma la lettura e la scrittura non sono aspetti distinti. Immagino che, al netto di eccezioni poco virtuose, chi scrive, qualche libro l’avrà letto. Quindi va benissimo che in tanti scrivano, più l’orizzonte è vasto e più ci sono possibilità di confronto, di crescita e di influenza reciproca. Ecco, io credo che ogni autore e ogni autrice che hanno a cuore le sorti della letteratura oggi, possano contribuire condividendo il loro lavoro, non chiudendosi come se le loro storie si reggessero da sé, come se non avessero bisogno di influenze, di stimoli. Come autrice, il mio contributo è da una parte continuare a studiare, a leggere, per arrivare a scrivere storie interessanti e originali; dall’altra mi impegno perché queste storie siano leggibili e la mia scrittura scorrevole. La lettura deve essere un piacere, non una fatica.
Quali consigli daresti a chi sogna di intraprendere il cammino della scrittura e della pubblicazione?
La scrittura è frutto di un duro lavoro, non è un atto di improvvisazione. Nessuno scritto è perfetto e tutto è migliorabile. Già questa lezione, per chi pensa di mandare il suo manoscritto a una casa editrice, è importante. Poi, pubblicare significa prendersi delle responsabilità, verso il testo, verso di sé e verso chi ti pubblica. Devi continuare a credere nel tuo libro, portarlo in giro, non abbandonarlo.