Dopo rimandi nel nome del Covid, arriva la trasposizione tanto cara a quelle radici italiane che hanno fatto animare un ciocco di legno nelle vesti di un bambino alla ricerca di un padre, una madre in quel della fatina Turchina e a spasso sulle ali di quella fantasia che nell’arte trova nutrimento. Ne sa davvero qualcosa lo stesso regista che di corse contro il tempo sembra averne una grande esperienza, in quel Robert Zemeckis che ci ha fatto correre al volante di una futurista macchina del tempo nel suo Ritorno al Futuro. Tra orologi e dipartite di cuore da risanare, è riuscito a trapiantare la stessa fede nell’anima e nel cuore di un Geppetto nelle poliedriche forme riuscitissime di un Tom Hanks in vena di favolistiche amorevoli ansie paterne, immerso nelle terre italiane di fine ottocento, quando lo stesso Carlo Collodi ne consacrò la nascita in quelle pubblicazioni a puntate disegnate poi da Enrico Mazzanti e che hanno visto nascere un vero culto letterario alla ricerca di un messaggio morale vestito di cartapesta e mollica.
Il primo successo firmato dalla Disney arriva nel 1940, ovvero quando i cartoni animati sapevano davvero di bontà artigianale e mestiere. Come lo stesso Geppetto, mastro orologiaio e intagliatore di giocattoli alla ricerca di un amore perduto nel figlio deceduto, assistito dalla compagnia dei fedelissimi Figaro e Cleo, oggi ritrovati simili all’originale prodotto animato. Non importa più di tanto se la Fatina Turchina arride a una inedita donna di colore nelle procaci forme di Cynthia Erivo, laddove una più devota Gina Lollobrigida ci aveva fatto sognare nella favola firmata Luigi Comencini, quando quella versione così originale ha saputo ritoccare la stessa storia riportata in vita dallo stesso Roberto Benigni, prima in veste di burattino (il suo film diretto e interpretato) e poi da Geppetto, nell’elaborata trasposizione fedele al romanzo firmata da Matteo Garrone.
Zemeckis ha saputo ridare nuova verve a un film incompleto di per sé, impreziosito dalla sceneggiatura firmata a quattro mani con Chris Weitz e musicato dal fedelissimo Alan Silvestri, riportando in vita un classico accostabile a quel vortice di pixel e sentimento siglato Dickens nel suo Canto di Natale. La formula è sempre invariata e il risultato può felicemente arridere a un pubblico di fanciulli estasiati da tanto colore e magia orchestrati a dovere.
Il rammarico più grande risiede sempre nella discutibile scelta di una distribuzione affidata all’esclusivo canale privato a pagamento Disney+, laddove lo stesso flop al botteghino siglato Dumbo ha fatto tremare una casa di produzione così fervida e ricca di sorprese, tanto quanto lo stesso Guillermo del Toro nel suo Pinocchio in stop motion, alimentando una fulgida vita nella continua rinascita di un burattino che proseguirà a rincorrere i propri sogni alla ricerca di sé, quando la fantasia rimane sempre l’unica bugia che vorremmo sempre ascoltare.
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vannucci-dicinema.blogspot.com 2022 12 pinocchio-le-mille-vite-di-un-burattino.html