Chi sono i veri invisibili oggi? Quelli che non possono essere visti perché sono fuori dal campo visivo dei modelli umani imperanti, quei “modi giusti di stare al mondo” che anche una società come la nostra, così apparentemente tollerante verso ogni diversità, propone.
E zia Marta, la protagonista del romanzo è una mite, nel senso evangelico del termine, e come tale è invisibile, perché la mitezza evangelica non rientra nelle categorie esistenziali odierne, non evoca modelli umani vincenti. Lei è ancorata a un saldo punto d’appoggio, l’amore di Dio, da cui si sente avvolta e sostenuta, e che le permette di vivere la sua condizione di vedova poverissima con un figlio down, senza vittimismo, ma anzi con la grande dignità di chi entra nella realtà con gli occhi limpidi e l’accetta senza travestirla.
Gli altri personaggi invece si percepiscono come prodotti sociali che consumano nell’insignificanza la loro ordinaria quotidianità, privi di vita interiore, nel tentativo di sfuggire allo squallore di una realtà privata di ogni forma di trascendenza.
Le vicende si svolgono in un paese indeterminato dell’hinterland milanese, ma l’antecedente che le ha generate è un nodo oscuro di barbara e arrogante sopraffazione, avvenuto molti anni prima in un paese del Salento.
La scrittura registra i vissuti dei personaggi rappresentandone al vivo i percorsi mentali attraverso i quali emergono sommessamente, quasi oltre la consapevolezza degli stessi personaggi, i grandi temi della condizione umana: la morte e la domanda sulla sopravvivenza, l’inganno, i rapporti di potere nelle relazioni, la follia innominabile.
Giuseppina Danese è insegnante e formatrice, ama scrivere anche se mantiene — a suo dire — un rapporto conflittuale con la scrittura letteraria se è lontana dalla ricerca della verità sulla condizione umana.