“’Le proprie inclinazioni’ risultano socialmente oppresse dal senso utilitaristico dominante, a partire dall’istruzione. ’Le cose monotone’ ben presto saranno delegate alle macchine (che ormai svolgono gran parte dei lavori ripetitivi un tempo affidati agli esseri umani). Non si tratterà più di cercare lavoro, ma di creare lavoro. Forse allora l’unica risposta sarà: creatività.” – Giulio Marchetti
Il talento creativo, quella capacità produttiva della ragione in comunione con l’inconscio. Il concetto riportato in apertura mette luce sul pensiero di Giulio Marchetti su due problematiche sociali di grande importanza: il lavoro e la felicità.
Ancora una volta è il poeta che, staccatosi da quel “senso utilitaristico dominante”, getta uno sguardo nella realtà del presente e la descrive netta, densa.
La raccolta “Specchi ciechi” è stata pubblicata nel 2020 dalla casa editrice Puntoacapo, vede la prefazione di Maria Grazia Calandone, la postfazione di Vincenzo Guarracino ed una nota di Riccardo Sinigallia.
L’autore, Giulio Marchetti, nasce nel 1982 a Roma, ha esordito con “Il sogno della vita” nel 2008. Con Puntoacapo pubblica nel 2010 “Energia del vuoto” con prefazione di Paolo Ruffilli, nel 2012 “La notte oscura”, nel 2014 “Antologia del sublime”. Con la casa editrice Ladolfi pubblica nel 2015 la raccolta “Ghiaccio nero”. Diverse sue poesie sono edite in antologie collettive.
A.M.: Salve Giulio, la ringrazio per aver accettato questa intervista che verterà sull’esplorazione della sua ultima raccolta poetica “Specchi ciechi”. Per sciogliere il ghiaccio o, forse, propriamente per far un salto indietro, mi piacerebbe sapere la differenza che avverte fra il poetare del 2008, con il suo esordio “Il sogno della vita”, e quest’ultima opera.
Giulio Marchetti: Ringrazio voi per l’ospitalità e rivolgo un saluto ai vostri lettori. Il mio primo libro, “Il sogno della vita”, era tecnicamente più ingenuo e più grezzo. La mia nuova raccolta, “Specchi ciechi”, mi auguro sia più matura. Ma la cifra stilistica è la stessa (o quantomeno è riconoscibile).
A.M.: Dalla folgorazione per la poesia avvenuta con la lettura delle raccolte “Scorribande lineari” e “Frammento e fragile” di Francesco Gazzè ad autori quali Montale, Mallarmé, Zinetti, il poeta cerca ispirazione dai libri che prende in mano, oppure necessita di compagni di viaggio?
Giulio Marchetti: Di certo i libri sono cibo che una volta ingerito va metabolizzato e poi espulso. Nel mio caso dicono si tratti di un’espulsione poetica. I compagni di viaggio sono parte del processo poetico. Ma non ci sono compagni di viaggio all’esterno.
A.M.: Possiamo ritenere le poesie presenti su “Specchi ciechi” dei frammenti di un discorso che resta sottinteso al lettore, propriamente di frammenti che arrivano istantanei e che non necessitano di esplicitazione?
Giulio Marchetti: Non riesco a mantenere una densità accettabile per più di qualche verso, così come non riesco a mantenere la stessa densità per più di qualche poesia. Per tale ragione i miei testi somigliano a frammenti e le mie raccolte sono tendenzialmente sottili. Preferisco la densità. E mi fermo quando la sento gocciolare tra le dita mentre scrivo.
A.M.: La poesia “Clessidra” si chiude con “Esiste/ un vento favorevole/ nell’oceano della perdita?” Una domanda pregna di enfatico sentimento che si interroga sulla perdita connessa al tempo che, inesorabile, trascorre. Che cosa rappresenta la perdita? Mancanza? Smarrimento? Privazione?
Giulio Marchetti: Si tratta in effetti del classico interrogativo sul tempo che l’uomo da sempre si pone. La risposta potrebbe essere estremamente corta o estremamente lunga. Estremamente corta, limitandoci a Samuel Beckett in “Aspettando Godot”: “partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte”; estremante lunga, continuando a citare i maggiori pensatori del genere umano: Galilei, Newton, Kant, Einstein (e ancor prima le trasformazioni di Lorentz), Hegel, Bergson, Husserl e Martin Heidegger, con la sua monumentale opera “Essere e tempo”. In ambito più strettamente artistico penso a “Le tre età dell’uomo” di Tiziano, a Roman Opalka (dipinse ossessivamente i numeri partendo dall’uno verso l’infinito) e ai calendari di Alighiero Boetti.
A.M.: Nella poesia “Ego”, oltre all’aver nel quinto verso il titolo della raccolta, troviamo in chiusura “Rigurgiti dell’ego,/ mi siedo./ E vi amo,/ e vi osservo.” Perché per l’essere umano è complesso fermarsi ad osservare le maschere con le quali si trascina stancamente nel mondo?
Giulio Marchetti: Perché l’essere umano crede di essere una mente dentro un corpo. Inizia allora a raccontarsi delle storie, è la voce nella testa che le racconta, ma l’uomo crede di essere la sua mente, quindi le crede. Non è mai nel qui e ora, non tocca mai Qualcosa al di là delle maschere. I pensieri, tuttavia, come le sensazioni, le emozioni e gli altri “rigurgiti dell’ego”, possono essere osservati. A quel punto la mente percepisce o è percepita? E chi è colui che osserva?
A.M.: In quattro poesie si cita la noia (“Naufragio”, “Cosmica”, “Scivolare” e “Il dolore”), i suoi confini, la connessione all’esistenza, il suo vertice, e l’aumentare in connessione al tempo. L’etimo della parola riporta alla derivazione dal latino odium, con propriamente il significato di “essere in odio”, forse per questo motivo quando ci assale la noia siamo tormentati, infatti sempre nel mondo latino odium veniva usato per il fastidio. Ma, esattamente, perché la noia assalta l’essere umano? Perché ci si occupa di cose monotone e contrarie alle proprie inclinazioni?
Giulio Marchetti: Già Lucrezio nel terzo libro del “De Rerum Natura” offriva una definizione paradigmatica della noia. “Spesso lascia il suo grande palazzo chi si annoia a restare a casa; ma subito vi torna perché non si trova affatto meglio fuori”. L’inquietudine e il senso di estraniazione tipici della noia trasudano da questo breve passo. Ci vuole un balzo secolare, ma si giunge inevitabilmente a Baudelaire. Lo spleen è una condizione interiore tanto angosciosa quanto suggestiva a livello artistico, nella pienezza dei suoi effetti devastanti, quasi allucinatori. “Le proprie inclinazioni” di cui oggi argutamente mi chiedi, risultano socialmente oppresse dal senso utilitaristico dominante, a partire dall’istruzione. “Le cose monotone” ben presto saranno delegate alle macchine (che ormai svolgono gran parte dei lavori ripetitivi un tempo affidati agli esseri umani). Non si tratterà più di cercare lavoro, ma di creare lavoro. Forse allora l’unica risposta sarà: creatività.
A.M.: Si uniranno le stelle in un mosaico di luce o resteranno perse nel buio?
Giulio Marchetti: Si uniranno. Sono già unite. La divisione è illusoria. Fa parte di un gioco cosmico. Ma per tornare all’Uno consapevoli, occorre sperimentare la dualità.
A.M.: Sono in programma delle presentazioni della raccolta Specchi ciechi?
Giulio Marchetti: Sono certamente in programma nelle intenzioni, non ancora nelle date.
Inoltre è in preparazione una mia mostra a metà tra la poesia e l’arte concettuale.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Giulio Marchetti: "Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia." – Carl Gustav Jung
A.M.: Giulio, augurandomi che il lettore accorto sappia cogliere il suo consiglio espresso con: “la mente percepisce o è percepita? E chi è colui che osserva?”, saluto con le parole del filosofo Plotino (Enneadi, III, 7): “All’inizio, quando ancora non aveva creato il ‘prima’ e non sentiva la necessità del ‘poi’, il tempo giaceva in unione con se stesso nell’Essere, non come tempo, ma deposto in quell’Essere in piena tranquillità. Ma una natura con la sua irrequieta creatività, volendo disporre di se stessa ed essere padrona di sé, decise di mettersi in cerca di qualcosa di ulteriore rispetto a quello che al momento c’era e si mise in moto: ed ecco che anche il tempo si mise in moto.”
Written by Alessia Mocci
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Fonte notizia
oubliettemagazine.com 2020 02 24 intervista-di-alessia-mocci-a-giulio-marchetti-vi-presentiamo-la-raccolta-