IL RICHIAMO
di Nuzzo Monello
Il richiamo dei segni, dei frammenti fittili, sono per l’archeologo infrasuoni culturali diffusamente sedimentati e modulati sui piani dei rinnovamenti e cambiamenti sociali.
Sono buio, non conoscenze, fino a quando le luci del giorno e/o le luci artificiali non fissano gli oggetti e le opere dell’ingegno umano in un percorso museale, suggestivo di evocazioni di esclusive bellezze della vita quotidiana recuperata alla dignità della loro storia, di ciascuna storia che, per quanto può essere rappresentata piccola o in frammento, altrettanto affascina al tal punto da farcele sentire come piena espressione dell’intelletto umano prima e di proprio bagaglio dopo. Il richiamo è l’oggetto, la sua storia, il suo cammino da valore contestualizzato a sedimento consolidato: è quasi alla soglia dell’immortalità. Dimensione ove il tempo sebbene ne esprima ogni valore culturale si rarefà al principio frattale del divenire dell’uomo e delle sue storie. I racconti, le tradizioni, i pensieri si materializzano e ristrutturano nella decifrazione delle culture che li espressero.
È l’incanto dell’ignoto che si fa luogo del cammino, del superamento, del volgere delle situazioni in concrete realtà dell’essere. Il Museo dunque non può che ospitare, e se ciò non avviene all’uomo spetta il richiamo all’ingegno e la prospettiva del ritorno.
A Noto, a Avola e ancora in troppi ecumeni è avvenuto, da troppi anni che, quei luoghi museali sono rimasti inespressi, ed ora si fa forte il mio richiamo alle volontà di ripristino. Nell’attesa pluriennale che completano i lavori, e soltanto per il tempo inoperoso, nell’attesa dei primi interventi concreti, come avviene al momento dei primi raschiamenti del piano di studio del sito, le mie opere scultoree, nate allo stesso modo delle antiche modellazioni ad arto umano, possono trovare alchenicamente collocazione nello stesso posto pervaso dall’anima mundi ed innalzare il richiamo ad elevazione culturale. L’argilla, materia primordiale, ancor prima della metallurgia, si è resa viva e malleabile agli intenti, dispiegando all’uomo la via dei contrari, del vuoto e del pieno, del sotto e del sopra, del permeabile e impermeabile, dell’uso comune e della rappresentazione del sacro, dell’alto e del basso, del grande e del piccolo, dell’unico e degli insiemi. L’argilla perciò diviene espressione dell’uomo, materia privilegiata viva e per la vita. In essa, nella sua storia di sedimenti microscopici e igroscopici, e per essa, per la sua modellabilità nascono i miti e i piani dei racconti, dei sogni che inseguono l’estetica del manufatto e il bello della rappresentazione. Nasconde i contrari alchemici dell’acqua e del fuoco, la prima liquefà e il secondo cristallizza, al contrario della metallurgia, ove è il fuoco a liquefare e l’acqua a temprare. Le frequenze sonore emesse dalle cristallizzazioni della terracotta, nel silenzio dei luoghi, ben si accordano con le frequenze sonore emesse dalle variazioni cromatiche che dai volumi promanano. Le une e le altre unite richiamano l’Armonia, quell’armonia che soltanto le vicissitudini umane raccolte e composite, datate e collocate, catalogate e classificate, pianificate e raccontate riescono a far rivivere e vitalizzare i meandri culturali del cuore, dell’anima e dello spirito. Sicché le sculture - Colori e Luci nelle ombre -, che definiamo moderne, ma che fanno parte a ben vedere, del tempo dei racconti umani, del richiamo perenne tra uomo e opera si sostanziano in sinfonia tra suoni e colori, quale guida, interpreti, nel silenzio del luogo museale, delle ombre tra suoni i volumi. Inascoltabili ai nostri sensi se non dopo al richiamo della flebile candela della conoscenza, acuiti i sensi nello sforzo percettivo si manifestano acuti all’orecchio e smaglianti alla vista.
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