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ENRICO NADAI- IL PIAVE MORMORAVA E NON SOLO: MUSICA DURANTE LA GRANDE GUERRA
“Il Piave Mormorava” e non solo: musica durante la Grande Guerra
Il blog viverelamusica, fin dalla sua nascita, sostenendo e promuovendo eventi locali, si è contraddistinto per un rapporto intimo con il territorio Veneto e la sua storia.
Come Rive Vive, manifestazione promossa dall’associazione Vivi Le Rive, che esalta le belle colline di Farra di Soligo e la relativa produzione vinicola.
Oppure, pensiamo a “Il Piave Mormorava”: ideato dal Presidente della Scuola di Musica “Toti dal Monte” di Solighetto, Maestro Giancarlo Nadai, il concerto – spettacolo ci ha accompagnati lungo i 4 anni di celebrazioni connesse al Centenario della Prima Guerra Mondiale.
Questo format ha avuto un grande successo, per la capacità di ricreare, attraverso canzoni scelte, interpretate dal cantante professionista Enrico Nadai, un determinato periodo storico. Del canzoniere della Grande Guerra, “La leggenda del Piave”, di Giovanni Gaeta, occupa un posto privilegiato, poiché è una delle poche canzoni conosciute da tutti, veneti e non.
La sua particolarità risiede nel fatto che, rispetto ad altre produzioni, non nasce come rielaborazione di vecchi motivetti e non pesca dal profondo repertorio popolare.
È vero che Armando Diaz mandò a Gaeta un telegramma di congratulazioni, dicendogli che la sua canzone sapeva rincuorare le truppe più di un generale, ma non è mai stato un “canto da trincea”.
È più una produzione legata al dopoguerra e la quarta strofa è una aggiunta postuma, a pochi giorni dalla fine del conflitto.
Durante il fascismo, la leggenda del Piave che scaccia lo straniero, ha alimentato il mito glorioso dalla Grande Guerra. Attualmente, mi pare, il brano è stato riscoperto con un sentimento patriottico completamente diverso, meno improntato all’esaltazione delle eroiche gesta italiane e più interessato alla creazione di una orgogliosa memoria condivisa.
Ma, allora, cosa cantavano i soldati? C’è da sfatare un mito: è un po’ anacronistico – anche se romantico – pensare che nelle trincee arditissimi combattenti intonassero a squarciagola canzoni patriottiche. Pure è vero che quelli che vivevano l’immobilità della guerra di posizione, avevano predilezione per produzioni musicali di tipo “corale” , capaci di esaltare il senso di appartenenza al gruppo.
Pare che l’espressione “canta che ti passa” sia stata coniata proprio durante la Prima Guerra Mondiale.
Cantare aumentava anche la socialità fra uomini che venivano da regioni diverse. Dal punto di vista linguistico, il canto ha svolto un grande ruolo per la creazione di una “lingua media”, in una babele di differenti dialetti.
Molte di queste canzoni non hanno ritmi esaltanti o marziali, poiché, anche se con sentimento amaro, trattano le dolcezze delle piccole cose negate. Si parla della casa, della famiglia o della fidanzata. A volte si attingono a brani antecedenti, che non hanno rapporti con la guerra, come accade con “Quel Mazzolin di fiori”. Emilio Lusso, ne “Un anno sull’Altopiano”, racconta:
Il capo-coro intonava: “Quel mazzolin di fiori…”. Il coro della compagnia rispondeva: “che vien dalla montagna…”. E il canto animava i soldati, affaticati. Eravamo in marcia da tre giorni. L’immobilità della lunga vita sedentaria sul Carso ci aveva reso incapaci di grandi sforzi. La marcia era penosa per tutti. Ci confortava solo il pensiero che saremmo andati in montagna.
Viene spesso affrontato il tema dell’amore, anche in modalità irriverente, segno non tanto, o non solo, del cameratismo fra soldati, ma anche del prorompente spirito vitale che, nonostante le privazioni, rendeva ancora “vivi” e “umani” quegli uomini inglobati negli ingranaggi della spietata macchina bellica.
Corpi militari votati per loro natura all’azione – alpini, bersaglieri o fanti – attingevano a immagini diverse, dove non è raro trovare la retorica del sacrificio, come in “Canzone Alpina” e “La Canzone del Bersagliere”.
Relativamente pochi i brani che ci fanno comprendere, invece, le difficoltà, le sofferenze e i mali del vivere in guerra. Forse, il più conosciuto “ Tapum”, l’eco dei colpi di fucile che si produceva nelle valli. Oppure, altro classico, “Era una notte che pioveva” , in cui il nemico da affrontare non è l’estraneo invasore, ma la stanchezza, l’inospitalità della fredda montagna e la nostalgia. La novità del testo è tutta contenuta in quell’ ”immaginatevi che gran tormento”, in cui si chiama in causa l’ascoltatore, chiedendogli empatia. Il pubblico de “Il Piave Mormorava”, grazie alla sapiente esecuzione di Enrico Nadai, rimane sempre commosso. Anche “Ponte de Priula”, che descrive la ritirata italiana da Caporetto al Piave, è capace di emozionare, tanto che il cantante ne inciderà presto una sua versione.
Lo spazio che ho a disposizione è chiaramente insufficiente per trattare, con le dovute sfumature, la natura e lo scopo dei canti “sociali”. Tuttavia, spero che questi brevi accenni siano utili per comprendere l’importanza dei linguaggi musicali. Non solo come contenitori ideologici, ma anche come espressione di quel bisogno di comunicare le proprie esperienze, che diventa più urgente nei momenti di frattura.
Scrivo anche con la speranza che il “Il Piave Mormorava” possa continuare a trovare spazio, oltre i festeggiamenti istituzionali e le giornate ricordo.
SOFIA FACCHIN
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