“[…] qual è il rapporto dell’immagine con il visibile, la realtà, il pensiero, il desiderio, la rappresentazione? E come vi si accostano il cinema e la pittura?”
“Il cinema rende sensibile ed intelligibile la presenza della pittura nei suoi film, ma come la espone? Secondo quale logica formale, figurativa o plastica? E a quale fine?”
Pubblicato nel 2007 dalla casa editrice francese Armand Colin, “Cinema e pittura” arriva il 30 giugno 2018 in Italia con la casa editrice Negretto Editore per la collana editoriale Studi cinematografici, diretta dal prof. Alberto Scandola, docente di Storia e Critica del Cinema presso l’Università di Verona.
L’autore, Luc Vancheri, è docente di Studi Cinematografici nel dipartimento di Cinema e Studi Audiovisual presso l’Università Lumière di Lione.
La traduzione di “Cinema e Pittura: condivisioni, presenze, contaminazioni” è firmata da Chiara Prezzavento; la traduzione della bibliografia e revisione che privilegia le opere che hanno nutrito il libro disegnando un quadro generale estetico e storico è a cura di Caterina Rossi (docente di Storia del Cinema e dello Spettacolo presso la Libera Accademia di Belle Arti di Brescia).
Il saggio, con progetto grafico di Ornella Ambrosio, si presenta in copertina con un fotogramma del film del grande regista francese Jean-Luc Godard “Passion” (1982) che presagisce la posizione avanguardistica del suo contenuto.
Suddiviso in quattro capitoli, “Cinema e Pittura” è composto di tre parti fondamentali dedicate alla questione dell’estetica, della poetica e di analisi ‒ plasmate dal confronto fra l’immagine e l’arte ‒ che aprono lo sguardo verso la letteratura, lo studio teorico e l’analisi filmica.
Lo stesso autore, nell’introduzione, principia il problema di ricreare la realtà in forma astratta prendendo ad oggetto il film del 1966 di Michelangelo Antonioni “Blow Up”, e chiude rafforzando l’importante concetto di analisi e corrispondenze: “Seguire le linee dell’invenzione poetica e al tempo stesso, e con la stessa attenzione, quelle della formalizzazione teorica, le loro sovrapposizioni e le loro divaricazioni, le loro velocità variabili e le loro modulazioni reciproche, le loro origini e insieme i loro effetti: ecco il progetto e il metodo di questo libro.”
Invenzione poetica e conservazione della realtà concorrono di pari passo per un podio: il potere dello sguardo del pubblico. Dunque, l’opera d’arte è scissa tra la possibilità di attingere al materiale immaginifico ed a quello imitativo del reale per catturare e sbalordire lo sguardo del singolo spettatore.
“Vedere e creare, avvicinare la realtà e formarne l’immagine sono problemi pittorici così come cinematografici.”
L’occhio critico di Luc Vancheri si muove essenzialmente dall’800 al ‘900 in una comparazione che prende ad oggetto l’immagine in toto sia essa consumata in poesia, pittura, fotografia, cinema e filosofia. In “Cinema e Pittura” si passa in modo armonico da citazioni de “L’Art Romantique” di Charles Baudelaire sul concetto di modernità (“il transitorio, il fuggevole, il contingente, metà dell’arte, la cui altra metà è l’eterno e l’immutabile”) alla pittura olandese con il saggio “Les Maîtres d’autrefois” di Eugène Fromentin (“Una cosa colpisce quando si studia il fondo morale dell’arte olandese: l’assenza totale di quel che oggi chiamiamo “un soggetto”. Dal giorno in cui la pittura cessò di prendere in prestito dall’Italia il suo stile e la sua poetica, il gusto per la storia, la mitologia, le leggende cristiane, fino al momento di decadenza, in cui essa vi ritornò – a cominciare da Bloemaert e da Poelemburg fino a Lairesse, Filippo Van Dyck e più tardi Troost – passò quasi un secolo durante il quale la grande scuola olandese parve pensare soltanto a dipinger bene. Si contentò di guardarsi intorno e fece a meno dell’immaginazione”).
E se nei primi tre capitoli troviamo un discorso che riflette sulla scelta del titolo del saggio, sulla presenza della congiunzione tra le due arti, sui passaggi che portano alla genealogia di un’immagine, sulla ragione che ha portato il movimento delle immagini, sulla disputa teologica sulla fotografia, sull’istituzionalizzazione di una nuova pratica sociale dell’immagine, sullo sconvolgimento della pittura con la nascita del cinema, sui laboratori avanguardistici nati in Europa che sperimentano le possibilità della nuova arte; il quarto capitolo di “Cinema e Pittura” si articola in vere e proprie monografie di film scelti ad hoc e che espongono la presenza della pittura in un rapporto prospettico e formativo nel cinema. Avremo in ordine di comparsa la difesa dei moderni con “Titanic” di James Cameron, l’elogio dei classici con “Passion” di Jean-Luc Godard, lo schermo della pittura con “L’umanità” di Bruno Dumont, la cattura del desiderio con “Il ritratto di Dorian Gray” di Albert Lewin, l’andare oltre la somiglianza con “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock, il sapersi dipingere ed il sapersi pittore con “La cagna” di Jean Renoir, la musca depicta con “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini, l’uomo che entra nelle immagini con “Sogni” di Akira Kurosawa ed il documentare la pittura con “Edvard Munch” di Peter Watkins.
“Dando alla metafisica il senso stesso della sua storia e quasi l’immagine del suo ribaltamento, il nichilismo di Nietzsche ha lasciato aperta all’artista (l’artista-filosofo chiamato ad essere il medico della civiltà) la possibilità di essere nel pensiero così come nell’opera, anche se Heidegger si sente ancora troppo debole per assumere «che davvero un dire poetico possa essere anche l’opera di un pensiero». Poiché Nietzsche considera l’arte «il grande stimolante della vita» (Af. 851, 1888) e il valore supremo, di questo privilegio costante dell’artista rispetto alla vita permane l’affermazione di un regime del soggetto e dell’arte che non può ridursi alle sole regole e maniere, e quasi lo sviluppo di un’affermazione vitale dell’opera, vale a dire che essa è effettivamente connessa agli stati fisici, agli stati creatori dell’artista.”
Written by Alessia Mocci
Responsabile dell’Ufficio Stampa di Negretto Editore
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