“Ci sono ore/ in cui la malinconia/ s’avvicina con passo felpato/ e allora il sole/ si smarrisce in tanto cielo// le foglie e i fiori/ diventano fragili cristalli/ e la brezza è un velo lieve/ che veste l’anima/ di un soffice silenzio./ Abbracciami” ‒ “Soffice silenzio”
Conosciuta per pubblicazioni come “Arabesques” (2012), “Opalescenze” (2013), “La cenere del tempo” (2014), “Emma, alle porte della solitudine” (2015), “In esilio da me” (2016), svariate antologie, enciclopedie e riviste nelle quali sono state presentate altre sue liriche, Giovanna Fracassi apre le porte del 2018 con una nuova silloge poetica: “Nella clessidra del cuore”, pubblicato dalla casa editrice Rupe Mutevole Edizioni.
A differenza delle precedenti pubblicazioni, notiamo in “Nella clessidra del cuore” una bipartizione tra prosa e versi. Infatti la pubblicazione, successiva alla dedica: “Alla mia famiglia// sabbia d’oro/ nella clessidra/ della mia vita”, si apre con quattordici racconti brevi.
Volendo ragionare sui titoli dei libri e sulle tematiche che l’autrice ha sviluppato nel corso degli anni, si potrebbe interpretare quest’ultima pubblicazione come una sorta di raggiungimento di equilibrio temporale all’interno del cuore, sede dei sentimenti.
Si scorge la pace dell’istante che sussurra al tempo di raccogliersi in granelli lenti. Considerando anche la presenza dei racconti, si individua “altro” oltre all’impulso del verso, alla netta cesura, come se l’autrice stesse tessendo una clessidra in posizione orizzontale.
La pace, in questo senso, la si nota nella stasi della necessità di prosa e nello sguardo di Adam, il proprietario del Veliero di cui parleremo nell’intervista.
A.M.: Ciao Giovanna, ricordo ancora la prima volta che ci siamo incontrate, è stato il 2013 e l’occasione fu la tua pubblicazione della silloge “Arabesques”. Ora a distanza di anni eccoci nuovamente per presentare la tua nuova fatica “Nella clessidra del cuore”. Mi piacerebbe iniziare questa nostra conversazione chiedendoti quanto senti cambiata la tua penna durante questi anni.
Giovanna Fracassi: Ciao Alessia. È vero sono passati parecchi anni dalla mia prima silloge e da quando abbiamo avuto modo di iniziare a conoscerci. Inoltre, durante tutto questo tempo, tu sei stata una fra le più attente lettrici dei miei vari testi. La prima silloge “Arabesques” ha rappresentato il mio ritorno alla scrittura, dopo molti anni di silenzio. Essa era caratterizzata da componimenti brevi e talvolta lapidari e nel complesso, rileggendomi ora, sicuramente più "semplici” forse più immediatamente comprensibili perché non ancora filtrati dallo studio e dalla ricerca che poi hanno caratterizzato le sillogi successive. Già “Opalescenze” appare più "meditata", vi sono poesie che anticipano i temi che poi rimarranno nel tempo come note predominanti con le quali elaborerò gli altri miei componimenti, ossia il rapporto tempo - spazio. Nella silloge “La cenere del tempo“ e ancora di più in “Emma alle porte della solitudine”, il tempo viene declinato in tutti gli aspetti che riguardano i periodi della vita e della ricerca di senso che ognuno di noi elabora. Parlare di tempo significa, per me, parlare anche di spazio, perché tutto ciò che è avvenuto, avviene o si proietta nel futuro, si concretizza in uno spazio che può essere il paesaggio, un ambiente, un oggetto, ma anche un ricordo. La mia quinta silloge “In esilio da me “, costituisce la più compiuta presa di coscienza di questo mio "viaggiare", questo mio esplorare i vari ambiti, a partire da quelli affascinanti della religione, della filosofia, per passare poi a quelli della psicologia, dell'arte e dell'alchimia per poi tornare, infine, al mio centro, forte degli apporti di questi studi, che non mi hanno ovviamente fornito alcuna risposta certa, ma che anzi mi hanno stimolato ad altri interrogativi, ad altre indagini arricchendomi infinitamente. Ora, nella “Clessidra del cuore”, vi è un distillato delle mie emozioni, delle mie riflessioni, dei miei ricordi in quello spazio - tempo che, come una clessidra, scandisce il passare della vita ma che ad ogni capovolgimento ritorna con nuovi colori, nuove vibrazioni, nuove speranze e nuovi sogni. Quasi in un moto incessante, continuo, fino alla morte.
A.M.: “Nella clessidra del cuore” troviamo due sezioni, la prima si articola in quattordici racconti brevi e segue una seconda di poesie. Ti conosco soprattutto come scrittrice di versi e mi ha incuriosito questa scelta.
Giovanna Fracassi: Scrivere in prosa è per me una sfida. I racconti presenti in questo libro sono stati scritta in questi ultimi anni. Direi che sto muovendo i miei primi passi in questo genere. Sono alla ricerca di un diverso modo di raccontarmi e di raccontare il mio mondo. Spesso un racconto è una poesia espansa o viceversa ne costituisce il canovaccio. Pertanto i due generi sono per me fortemente intrecciati. Mi è stato fatto notare che indugio alquanto nelle descrizioni: questo è voluto proprio perché amo ricreare atmosfere, paesaggi, stati d'animo più che narrare fatti.
A.M.: Nel racconto “Veliero” Adam, il personaggio a cui dai voce, è un uomo che ha abbandonato tutti i titoli accademici, appartamento e vita sociale per andar a vivere in un veliero con un unico compagno: il suo fedelissimo Spiffero. Di sicuro è indicativa la scelta del nome ed il discorso sugli uomini che s’immergevano nella poesia della forza degli Dei ‒ della Natura ‒ tale da “volgere lo sguardo tremante, impaurito”. Penso che in questo scritto ci sia un bisogno reale dell’essere umano di allontanamento dal superfluo che abitiamo in cerca di una felicità antica che, seppur esistente, è complessa da trovare. Mi ricorda l’ἄφελε πάντα (“abbandona tutto”) proposto da Plotino. È così anche per te? Nel tuo intimo senti il bisogno di seguire le orme di Adam?
Giovanna Fracassi: Adam è un uomo che esce dal nulla. Non sappiamo molto di lui se non che, ad un certo punto della sua esistenza, ha lasciato tutto ciò che apparteneva alla sua vita per mettersi " in viaggio", senza una meta, senza un'idea precisa di cosa voler fare. Un vagabondo aperto ad ogni possibile percorso. Certamente non tanto nel senso di fare nuove conoscenze o di scoprire nuovi mondi, quanto piuttosto nel senso di ritrovare il vero sé, travolto, trascinato, forse avvilito da una vita che ad un certo punto percepisce non più soddisfacente, non più rispondente ai propri bisogni. Credo che a tutti noi, indipendentemente dal nostro modo di vivere, dal fatto di sentirci più o meno realizzati o soddisfatti, accada di desiderare di allontanarsi, fosse solo per pochi giorni, fosse solo con la semplice sospensione di ogni abituale attività, per rimanere soli con se stessi, semplicemente. La mia non vuole essere una critica al ritmo della vita moderna, non mi unisco ai già tanti che denunciano da sempre come l'uomo, dall'avvento della macchina, sia costantemente stritolato da fatiche e tempi non corrispondenti al suo naturale sentire. Piuttosto il mio vuole essere un richiamo a quella potente sorgente interiore che ciascuno di noi possiede ma alla quale troppe volte non sa più come attingere.
A.M.: Invece nel racconto “Il Fiume” ci trascini nella psiche di colui che scrive, invaso da parole, ricordi, memorie di storie che non hanno mai avuto luce. La bramosia della ricerca di parole e frasi nuove, mai scritte prima, emozioni uniche da regalare all’osservatore, al lettore. Ed il finale sulla semplice pietra avvolti dalla corrente per ricongiungersi al mare. Dove si rifugia l’Io poetico di Giovanna?
Giovanna Fracassi: Nel racconto “Il fiume” ho espresso il mio faticoso e talvolta doloroso cercare nuove forme, nuove frasi, nuove parole per esprimere ciò che provo e sento senza ricadere nel già scritto da me stessa e da altri scrittori. In fondo si scrive da sempre intorno ai grandi temi dell'esistenza umana. Poeti, romanzieri, filosofi hanno in realtà sviscerato ogni aspetto, ogni anfratto dell'umano sentire. Difficile trovare una propria "voce" senza ricadere in note già elaborate, già espresse. Ecco che lo scoramento può indurre a tacere, a lasciarsi avvolgere dal silenzio del nulla, dall'acqua che travolge impetuosa, accerchia e trascina in un nuovo silenzio rappresentato dalla metafora del mare, da dove, forse, possono nascere nuove parole. Dove si rifugia il mio Io poetico? Ovunque e in nessun luogo perché, alla fine, un rifugio davvero non esiste ed il mio Io fluisce e si sostanzia di questo suo stesso movimento.
A.M.: Non solo in questi due racconti che abbiamo esaminato, ma anche nelle precedenti pubblicazioni, uno degli elementi portanti della tua produzione è l’acqua. Talvolta l’ho interpretata come personificazione del tuo Io in specchio.
Giovanna Fracassi: Traggo ispirazione da tutti gli elementi della natura. Nella mia narrazione poetica seguo ormai un movimento circolare. Molte delle mie poesie nascono proprio da un elemento che colgo attorno a me: l'ondeggiare delle cime degli alberi al vento impetuoso all'avvicinarsi di un temporale, l'alone misterioso che avvolge la luna piena in un cielo stellato o il moto sinuoso delle onde del mare che accarezzano la spiaggia deserta e da qui sviluppo la mia lirica in un excursus interiore che, per metafore, ritorna poi all'elemento naturale non più esterno a me ma, a questo punto, perfettamente integrato e direi funzionale all'espressione del mio sentire. L'acqua per me rappresenta molte cose: un elemento inquietante, imprevedibile e misterioso quella del mare, viceversa rassicurante e accogliente quella del lago, o ancora l'espressione dell'eterno fluire del tempo, quindi della vita, che più non torna, quella del fiume, della purezza trasparente dove specchiare la propria anima, quella della sorgente. L'acqua è fonte di vita e di purificazione, vi si immerge e anche l'anima pare mondarsi da ogni affanno e divenire più leggera, quasi che l'acqua aiutasse a portare con minor fatica il peso delle pene che talvolta travagliano l'esistenza. Penso poi ai tesori sommersi nei mari così come altri tesori sono celati e custoditi nel nostro inconscio, questo immenso mare che ci portiamo dentro. Così come il mare spesso riporta alla luce frammenti della storia passata, allo stesso modo consente a noi, che lo osserviamo affascinati, di ripescare i nostri ricordi.
A.M.: “Cresce e dilaga/ questo esserci/ ora/ ed è già morto/ l’istante. […] Io sono ciò che non sono/ ma ciò che potrei essere/ nel vortice veloce/ del divenire// e non sono già più.” La lirica “Essere” racchiude in toto il tuo pensiero sul tempo, sull’essere all’interno dei suoi tre momenti: passato, presente e futuro. Mi piacerebbe contrapporre questa quiete che sento nei tuoi versi con lo sgomento buadelairiano che incontriamo in “L’orologio”: “[…] Ricordati che il tempo è giocatore avido:/ guadagna senza barare, ad ogni colpo! È legge./ Il giorno declina, la notte cresce; ricordati!/ L’abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota.// […]”
Giovanna Fracassi: Baudelaire sentiva ed esprimeva l'onnipotenza del tempo nei confronti dell'uomo e il suo ridurlo ad un trascurabile granello in un divenire a lui indifferente. Certamente anch'io sento la finitezza insita nella brevità dell'esistenza e nell'ineluttabilità del passare dei giorni e delle stagioni della vita. Tuttavia credo che non si debba soccombere alla disperazione che tale consapevolezza porta con sé. Non sentire l'angoscia del conto alla rovescia, che inizia fin dalla nascita per condurci inevitabilmente verso la nostra scomparsa, non è possibile. È però possibile accettare di non sapere né quanto ancora vivremo, né cosa sarà il “dopo” se ci sarà un “oltre”. Per accettare di non sapere e di non poter mai sapere, è necessario ancorarsi all'istante del qui ed ora che racchiude in realtà quel passato che nulla e nessuno ormai può portarci via perché costituivo del nostro Io e della possibilità di quell'essere in fieri che sostanzia la nostra speranza. Speranza che in fondo non si spegne mai del tutto perché insita nell'istinto di vivere. E qui si affaccia un altro tema a me caro, quello dell'Errante, colui che viaggia alla ricerca di se stesso e del mistero della vita. Quindi un ricercare sia interiore che nel mondo esperienziale. A questo quindi si ricollegano i temi del tempo e dello spazio. Le due direttrici fondamentali che già nella mia prima silloge, come ho prima ricordato, iniziavano ad emergere. L'uomo è errante nel suo tempo e nel suo spazio privati, grazie ai suoi ricordi e alle sue speranze, ma è errante anche nella storia di cui fa parte. Ugualmente ognuno di noi vive in uno spazio che ne condiziona la formazione e l'esistenza. Si tratta di uno spazio reale, contemporaneo ma anche di quello dei ricordi medesimi, nonché delle proiezioni future. Vi sono anche altri aspetti: lo spazio psicologico, lo spazio emotivo in cui il tempo della propria vicenda umana si manifesta e del quale in parte si sostanzia. In fondo l'uomo è percepibile a se stesso e agli altri per mezzo di queste dimensioni e di tutte le loro declinazioni. Per me il non poter andare “oltre” tutto questo costituisce un limite invalicabile, ma proprio perciò, oltremodo stimolante. Cosa c'é, e se c' è innanzitutto qualcosa “oltre”, è un mistero che affascina da sempre gli uomini e il fatto ineludibile di non poter mai raggiungere alcuna certezza, alcuna verità che sia poi appena condivisibile, è ciò che rende affascinante il nostro personale errare. Troviamo compagni in questo nostro viaggio? Certamente, alcuni per brevi istanti, altri per lungo tempo, per scelta o per necessità. Alleviano i nostri travagli e ci sostengono, come noi facciamo con loro. Possiamo condividere momenti di felicità e di scoperta e tramite l'altro cerchiamo di conoscerci anche più profondamente. Questo è un altro grande tema della mia poetica: l'essere in perpetua contrapposizione con il nostro Altro da noi, quella parte di noi che costituisce il primo e più importante termine di confronto -scontro della nostra vita. Quell' Altro da noi che però fa parte di noi stessi. I due nostri volti quello bianco e quello nero, la nostra parte chiara e quella oscura con la quale dobbiamo sempre fare i conti, più o meno consapevolmente. Qui nascono le nostre più profonde emozioni; quando questi continenti arrivano a cozzare l'uno contro l'altro si ergono le nostre vette e si spalancano i nostri crateri. Possiamo allora volare come l'aquila ed innalzarci verso l'estasi o bruciare nel magma delle nostre passioni.
A.M.: “Suona il piano/ dal cuore/ ardente.// Una stanza nel sole/ una camera nella penombra/ un camino odoroso.// […]”. Vorrei usare la lirica “Suona il piano” per parlare di musica e musicalità del verso. Per un poeta quanto è importante sentire il suono delle parole oltre al loro significato? Qual è il tuo metro di misura e con quali altri autori ti rapporti?
Giovanna Fracassi: La poesia è musica: musica del cuore perché è con le note dei sentimenti e delle emozioni che noi componiamo la canzone che è la nostra vita. Chi scrive non fa altro, in fondo, che scegliere di rendere manifesto tutto ciò. Compongo parole come le note compongono la musica che fa sempre da sottofondo al mio scrivere. Raramente scrivo senza musica perché essa mi consente di raggiungere quella disposizione d'animo più favorevole alla riflessione, mi aiuta a portare alla luce tutto ciò che è sedimentato dentro di me e che è la sintesi di tanti elementi: studio, letture, esperienze di vita, incontri, sentimenti, sofferenze e gioie passate e presenti. Amo leggere Leopardi, Neruda, Salinas e molti altri poeti. Sono per me maestri ineguagliabili.
A.M.: Riprendendo il discorso sulla tua produzione: qual è la pubblicazione a cui sei più legata e che ti ha dato più soddisfazioni?
Giovanna Fracassi: Questa è una domanda difficile: ogni mia silloge rappresenta una parte di me e del mio percorso di vita e di scrittrice. “La cenere del tempo” ha segnato l'inizio di una fase più matura del mio pensiero e anche del mio stile, che poi è proseguita con le successive raccolte. Probabilmente è anche il libro che ha maggiormente suscitato l'interesse dei miei lettori. A questo proposito invito tutti coloro che fossero interessati ad avere con me un contatto diretto, per discutere di qualsiasi argomento riguardante le mie sillogi, a non esitare a scrivermi.
A.M.: Salutaci con una citazione…
Giovanna Fracassi: “Una poesia è qualcosa di assolutamente univoco. È un'esplosione, un grido, un urlo, un sospiro, un gesto, una reazione dell'anima... Essa parla dapprima solo al poeta stesso: è il suo respiro profondo, il suo grido, il suo sogno, il suo concitato difendersi.” – Hermann Hesse
A.M.: Giovanna, da anni, è un vero piacere discutere con te di poesia, ed è interessante che tu abbia concluso in prosa per parlare di poesia. Farò lo stesso, citando le parole di Khalil Gibran: “Il primo poeta deve aver sofferto intensamente quando gli abitatori delle caverne si mettevano a ridere delle sue folli parole.”
Written by Alessia Mocci
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