Gli infortuni sul lavoro non conoscono purtroppo crisi. Siamo ancora qui, a dicembre 2024, come ogni fine anno, a ricordare quanto la strada per invertire la rotta sia ancora lunga e continui a restituirci la sua scoraggiante tendenza.
Nei primi 10 mesi di quest’anno, secondo il documento rilasciato dall’INAIL all’inizio di dicembre, i decessi regolarmente denunciati sono 890. Vorremmo, ancora una volta, riaffermare che qui non si tratta di guerra tra cifre, perché dietro ognuno di quei singoli numeri, c’è una persona. Certo è che, se guardiamo l’attuale tendenza media di incidenti mortali al giorno (2,9) , è quasi certo che la terribile cifra di 1.041 morti del 2023 verrà superata, questo malgrado il giro di vite proposto (attuato?) in alcuni settori chiave come l’edilizia, le procedure di prevenzione sempre più sofisticate e i numerosi appelli anche delle alte cariche istituzionali. Possiamo senz’altro dire che il 2024 è un vero e proprio anno nero per il lavoro, con incidenti mortali che hanno coinvolto anche più lavoratori contemporaneamente nel stesso luogo e nello stesso giorno di lavoro, come all’Enel di Calenzano in cui sono morti 5 lavoratori, e nell’investimento ferroviario, avvenuto poco tempo prima. Parliamo complessivamente di cifre inaccettabili anche nel rapporto di numero di morti rispetto a 100mila occupati. Nel 2024 parliamo di una media di 3,24 decessi ogni 100mila occupati ISTAT, scesa si del 4,1% rispetto al 2019 (anno che abbiamo analizzato in profondità nel biennio con il 2020 che ha visto il Covid entrare prepotentemente nelle statistiche, sfalsando in positivo e in negativo alcuni dati) ma aumentata dello 0,9% rispetto al 2023.
Questa fluttuazione statistica dovuta alla pandemia, si evidenzia nel numero di denunce di infortunio all’INAIL. Le denunce di infortunio presentate all’Inail nei primi nove mesi del 2024 sono state 433.002, in aumento dello 0,5% rispetto alle 430.829 dello stesso periodo del 2023, del 9,2% rispetto a gennaio-settembre 2021 e del 18,1% rispetto a gennaio-settembre 2020, e in diminuzione del 19,2% sul 2022 e del 7,6% sul 2019, anno che precede la crisi pandemica.
Anche se gli incidenti mortali sono quelli che destano legittimamente maggiore sdegno sono, appunto, gli infortuni nel loro complesso (mortali e non) a rappresentare la pietra dello scandalo dell’intero mondo del Lavoro. Gli infortuni hanno un impatto devastante, non soltanto in ambito lavorativo, ma anche in quello sociale, con riverberi pesantissimi sul sistema sanitario nazionale, su quello previdenziale e sulla vita del nucleo primario della società più direttamente coinvolto, quello familiare.
Chi stabilisce in profondità, ad esempio, quale si l’impatto che un infortunio ha sul lavoratore quando lo rende disabile permanente e impossibilitato a divenire soggetto di un normale reinserimento, con tutte le conseguenze immaginabili sul proprio benessere psicologico, su quello familiare, sul mondo del lavoro, sul sistema sanitario e su quello previdenziale? La complessità diviene spesso il motivo per concentrarsi sulle statistiche, dimenticando che questo fenomeno si comporta statisticamente proprio come un PIL, ma con il suo effetto moltiplicatore avente tutti i segni in negativo. Non si dice che non vi siano studi al riguardo, ma tutti noi ci concentriamo spesso sui numeri, perché si iscrivono in una sorta di memoria giornaliera. Non dobbiamo cominciare a considerare anche l’infortunio invalidante (e sono tanti quelli permanenti) come morte sociale di una persona?
Se la persona è regolarmente iscritta all’INAIL avrà certo diritto, una volta accertate i vari gradi di responsabilità, ad una compensazione retributiva anche permanente e la copertura di eventuali spese sanitarie che dovrà sostenere. Ma nel frattempo, nulla potrà sostituire la sua presenza in azienda (o per lo meno spesso) e ciò creerà instabilità all’interno del suo stesso nucleo lavorativo. Senza dimenticare che psicologicamente, lo stesso lavoratore si troverà ad affrontare problemi di notevole portata dovuti alla sua situazione sanitaria e all’incertezza sul futuro. La famiglia ne risentirà pesantemente. Dovrà farsi carico di un capofamiglia che sarà bisognoso di assistenza tutta la vita e ciò avrà un impatto sul benessere emotivo ed economica dell’intera famiglia. Un incidente avrà quindi delle serie conseguenze su tutti i nuclei di una società, da quelli più piccoli (l’individuo e la sua famiglia), a quelli più grandi (l’impresa e le istituzioni). Quanti di noi pensano a quali conseguenze possa avere sui figli un incidente capitato ad un membro della famiglia nel loro rapporto con la vita familiare, scolastica e futura?
E qui, parliamo solo di lavoratori regolarmente iscritti all’INAIL, non di tutti quelli che lavorano nel sommerso. Il dramma per loro si somma all’impossibilità/difficoltà si vedersi riconosciuti diritti basilari. Ricordiamo tutti, tra i fatti gravi di quest’anno, quello di Satnam Singh, il lavoratore agricolo indiano di 31 anni abbandonato dal titolare in strada in provincia di Latina e morto con un braccio amputato da un macchinario per il taglio del fieno. Ma le considerazioni sul sommerso e le irregolarità (all’apice di tutti gli scandali) le abbiamo fatte in un precedente articolo.
I settori più a rischi, rispetto agli anni scorsi, sono rimasti sostanzialmente invariati, con agricoltura e edilizia ai primi posti, seguiti da autotrasporto e industria. Importante è il riassunto di fonte Inail che riportiamo di seguito.
A livello nazionale i dati rilevati a settembre di ciascun anno evidenziano una diminuzione dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati dai 363.064 del 2023 ai 361.804 del 2024 (-0,3%), e un aumento di quelli in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, da 67.765 a 71.198 (+5,1%).
A settembre di quest’anno il numero delle denunce di infortuni sul lavoro ha segnato un -0,5% nella gestione Industria e servizi (dai 347.259 casi del 2023 ai 345.400 del 2024), un -0,9% in Agricoltura (da 19.544 a 19.374) e un +6,6% nel Conto Stato (da 64.026 a 68.228), che risente anche dell’aumento delle denunce dovuto all’estensione della tutela Inail nelle scuole dal settembre 2023.
Tra i settori con i maggiori incrementi dei casi avvenuti in occasione di lavoro si evidenziano l’Istruzione (+46,9%), la Sanità e assistenza sociale (+25,1%), la Riparazione, manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature (+18,8%), la Fornitura di acqua-reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento (+16,2%), il Noleggio e servizi di supporto alle imprese (+14,8%), le Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (+13,2%) e le Costruzioni (+11,6%). (FONTE INAIL)
Concludiamo dicendo che non esiste il rischio zero per nessuna attività umana, ma una buona parte degli infortuni sul lavoro si sarebbero potuti evitare adottando le corrette misure di prevenzione sul posto di lavoro ed effettuando tutte le attività di formazione e gli aggiornamenti previsti in accordo con il D.Lgs 81/2008. Formazione, attenzione nello svolgimento del proprio compito, controllo regolare delle attrezzature e messa in sicurezza, sono le uniche armi che abbiamo, non per annullare completamente il rischio ma per ridurlo sensibilmente.
Paolo Conte
Marketing e Comunicazione
Life 81 Srls