Sicurezza sul lavoro 2023, dati poco incoraggianti.
La sicurezza sul lavoro 2023. Forse qualcuno di voi ricorderà un articolo che abbiamo pubblicato nel 2022 relativo ai dati statistici degli infortuni sul lavoro nei primi sei mesi di quell’anno. Abbiamo descritto come, in alcuni giorni, gli infortuni con esito fatale avessero raggiunto il drammatico picco di 4 al giorno, portando il numero medio di incidenti fatali a 3 e con l’amara sensazione che l’eccezione stesse semplicemente soppiantando la regola. Ebbene, il giugno successivo, quello di quest’anno, sembra la replica al rialzo di quello precedente già di per sé sufficientemente drammatico. Quest’anno, purtroppo, abbiamo avuto a giugno picchi di cinque morti al giorno. Nell’intero mese di giugno, infatti, ci sono stati 67 morti in soli 15 giorni per una media di 4,46 decessi ogni 24 ore (fonte Unione Sindacale di Base). Insomma, malgrado le ripetute opere di sensibilizzazione anche a livello istituzionale sull’importanza di assicurare ai lavoratori un’adeguata protezione e preparazione sui luoghi di lavoro, gli incidenti mortali sul lavoro sembrano tornare semplicemente all’era pre-Covid, o comunque confermare una tendenza consolidatosi negli ultimi anni.
Il 2022 sembrava aver segnato un decremento rispetto al 2021 (1090 contro 1221) ma in realtà ciò è semplicemente dovuto al fatto che nel 2021 c’è stato un numero di decessi per Covid superiore. Anzi, andando ad analizzare meglio i dati vedremmo che i morti sul lavoro non attribuibili a Covid nel 2022 sono aumentati.
A questo riguardo, però, va fatta un’ultima considerazione. E’ innegabile che i dati del 2022 siano stati influenzati dai decessi sul lavoro provocati anche da Covid e ciò è avvalorato dal fatto che nel 2020, durante la massima incidenza dei numeri della pandemia, i morti furono 1538. A nostro avviso, però, non è corretto parlare di ritorno nel 2022 ai numeri prepandemici o, meglio, andrebbe chiarito considerando i dati di quel periodo e le variabili che sono entrate in gioco oltre al covid; solo così è possibile comprenderli meglio.
I dati prepandemici, infatti, sono molto più vicini al dato del 2021 di quanto non lo siano al 2022. Calcolando, ad esempio, i 4 anni di prepandemia (dal 2019 – 2016) vediamo che la media è di 1.208, assai simile ai 1221 avuti nel 2021. Perché?
Perché occorre considerare anche altre variabili, come lo spostamento per lavoro (ricordiamo che l’INAIL calcola anche gli incidenti in itinere), il mutamento del paradigma lavorativo (pensiamo a quante persone hanno lavorato da casa per lunghi periodi evitando da un lato di spostarsi con i mezzi e dall’altro di esporsi ai rischi intrinseci presenti sui luoghi di lavoro). Queste variabili ulteriori basterebbero a spiegare, ma solo in parte, la similitudine numerica tra un anno con Covid (1221 morti denunciati sul lavoro totali) e le serie precedenti in cui Covid non c’era ma che erano influenzate da altri fattori quali ad esempio: la maggiore occupazione sui luoghi fisici di lavoro e la logistica dei trasporti pubblici e privati funzionante secondo i normali regimi prepandemia. Ma ci sono anche variabili macroeconomiche come il PIL, gli andamenti ciclici di determinati settori professionali, gli andamenti occupazionali ecc…
Su tutto ricordiamo che parliamo di dati rilevati dalle statistiche, che lasciano fuori tutto il sommerso. Nel confronto dei dati a livello europeo, come analizzato nel nostro precedente articolo vengono utilizzati, in taluni casi, diversi parametri di calcolo, come ad esempio per gli infortuni sul lavoro che avvengono in itinere che alcuni paesi fanno rientrare nella statistica ed altri no.
Ma quali sono le cause che possono provocare infortuni anche fatali suoi luoghi di lavoro?
Occorre distinguere le cause esterne (diciamo macro-sistemiche) che non sono direttamente controllabili dall’impresa dalle cause interne alla stessa che invece sono per lo più prevedibili e controllabili dalle figure aziendale deputate a farlo (al netto di una certa dose di imprevedibilità di alcuni fattori umani e tecnici).
Il caldo estremo entra nel D.lgs.9 aprile 2008 n. 81
Facciamo un esempio sull’altro tema che riguarda questo articolo: l’anno scorso abbiamo pubblicato un articolo sulle conseguenze del caldo estremo (sempre più frequente e imprevedibile per via del Global Warming) sulla salute umana e quindi anche su quella dei lavoratori, in particolare quelli costretti ad operare in condizioni esterne o comunque senza possibilità di filtrare o mitigare l’eccesso di calore. A fine luglio dell’anno scorso, le alte temperature avvenute soprattutto nel bacino del Mediterraneo provocarono la probabile morte per malore di alcuni lavoratori impegnati in attività esterne. Anche quest’anno il problema delle temperature estreme si sta ripresentando in tutta la sua drammaticità.
E’ evidente che le imprese nulla possono fare per evitare un fenomeno climatico che coinvolge tutta la società a livello globale (fattore esterno) ma internamente possono adottare tutta una serie di misure per ridurre l’esposizione del lavoratore ai rischi correlati all’ipertermia, ne illustriamo solo alcune:
- sospendere il lavoro nelle ore centrali più calde (come avviene già in campo agricolo;
- chiedere la cassa integrazione nei giorni di temperature estreme (come previsto da Inps e Inail per temperature percepite superiori a 35 gradi);
- offrire al lavoratore un’adeguata protezione individuale (DPI) contro l’insolazione (munendolo di un abbigliamento consono a garantire la traspirazione);
- assicurare la costante idratazione per lavori ad esposizione solare;
- organizzare meglio il lavoro su più turni, evitando di esporre gli stessi lavoratori per troppo tempo;
- Non esporre i lavoratori più anziani nelle ore più critiche.
Nei prossimi anni queste criticità della stagione estiva, secondo tutti gli esperti, non solo aumenteranno tendenzialmente di frequenza ma anche di intensità, rendendo necessarie nuove politiche previdenziali, assicurative e di prevenzione dei rischi.
E’ di ieri la notizia che un lavoratore edile (gruista) impegnato su un cantiere di Amazon nel maceratese sarebbe morto stroncato da un malore dovuto alle temperature estreme, il condizionale rimane d’obbligo, anche se i picchi di temperatura mai raggiunti (si sono sfiorati i 40 C° in diverse località del centro) e l’età del lavoratore (75 anni) lascerebbero adito a pochi dubbi . Questo ci rattrista molto e ci induce a perseguire la prevenzione senza esitazioni . Questo dimostra, comunque, che il tema del cambiamento climatico e le sue conseguenze sulla salute umana, anche in ambito lavorativo, non siano pura teoria ma sono purtroppo avvalorati dai fatti di cronaca.
La cosa è presa talmente sul serio che è stato aggiornato a luglio 2023 il D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (che ha subito nel tempo modifiche e integrazioni costanti) proprio sul tema della tutela dei lavoratori sul rischio legato ai danni da calore. Il testo per essere ufficializzato attendo la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale.
Promemoria sulle regole di base della prevenzione.
Il 2023, quindi, conferma gli anni precedenti in peggio, soprattutto e purtroppo per gli infortuni con esiti fatali, a dimostrazione del fatto che resta ancora molto da fare per incidere concretamente sulle cause principali degli incidenti suoi luoghi di lavoro. In generale queste sono dovute a:
- mancata o scarsa sorveglianza interna (intesa qui quella messa in atto dal personale o dalle figure aziendali preposte per questo compito). La sorveglianza esterna, come, è affidata ad alcuni organi pubblici di vigilanza preposti a questo compito. Il nostro suggerimento è comunque e sempre quello, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, di vigilare internamente sul rispetto delle regole e sull’adeguata formazione delle persone;
- carenza nei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI);
- carenza degli strumenti di soccorso ed emergenza;
- impiego di attrezzature di lavoro non idonee;
- segnaletica sulla sicurezza inadeguata o assente;
- deficit di formazione del personale e delle figure aziendali preposte alla sicurezza. Non parliamo solo di carenza nella formazione di base generale e per le specifiche mansioni dei lavoratori, ma anche dei relativi aggiornamenti.
Oggi le imprese sono facilitate perché ci sono i nuovi strumenti delle tecnologie digitali che consentono il recupero delle formazioni con formula webinar o raggruppamento di più lavoratori di diverse aziende che necessitano un medesimo corso. Il nostro invito è di mettere a conoscenza in maniera più diffusa le aziende sulle opportunità offerte da queste tecnologie, con la consapevolezza che per alcuni tipi di mansioni, queste non possono e non devono sostituire la formazione in presenza.
Life 81, come impresa specializzata nella formazione per la sicurezza sul lavoro è costantemente impegnata nell’opera di sensibilizzazione sui temi legati alla prevenzione e alla formazione.
Paolo Conte
Ufficio Stampa