Partiamo da te, hai sempre voluto fare l’attrice sin da piccola o come sei arrivata a diventare il personaggio brillante che sei oggi?
Si nasce artista. Poi si sviluppa e si coltiva la dote per metterla a servizio della professione. A 6 anni usavo qualsiasi rialzo per simulare un palcoscenico da dove esprimere qualsiasi cosa in forma recitata. Ho studiato con nomi importanti alla Studio Cinema International di Roma, di Massimiliano Cardia e Pino Pellegrino, con professionisti come Pupi Avati, Ivano Di Matteo, Laura Morante, Daniele Costantini, Pino Pellegrino, Michele Placido, Giuliana De Sio, Alexis Sweet, Luca Ward e tanti altri grandi insegnanti. Ciascuno di loro mi ha fornito una sfaccettatura professionale differente, una prospettiva e un approccio unico e personale e il tutto ha formato una preparazione spendibile sia nel teatro che nel cinema, sia per quanto riguarda la recitazione che la prospettiva del regista, nonché l’utilizzo al meglio della voce in modo differente nei vari e diversi contesti.
Che bambina eri da piccola? Pensi che il tuo carattere abbia contribuito a diventare chi sei oggi nel mondo dello spettacolo?
Non ero una bambina comune, guardavo il mondo con occhi fotografici, cercando di sentire, vedere, percepire, ascoltare il prossimo prima di me stessa. Non ho trascorso la mia adolescenza in discoteca o nei gruppi che si riunivano per divertirsi e organizzare serate. Io mi nutrivo essenzialmente di vissuti: a 16 anni frequentavo con il volontariato parrocchiale la Caritas, gli ospizi, gli orfanotrofi e, crescendo, ero a disposizione come assistente dei malati sul treno bianco diretto a Lourdes durante le vacanze. Trascorrevo le mie giornate ad ascoltare le persone sole al telefono. Quindi tutto il vissuto che ho interiorizzato, è stato ed è fondamentale, per esprimere sentimenti, emozioni e storie da raccontare ovunque ci sia la possibilità di farlo, sia in teatro che nel cinema.
Negli ultimi anni hai partecipato a dei film di grande rilievo sociale, ruoli difficili e impegnati. C è un personaggio con cui ti sei trovata particolarmente affine alla tua persona e quale.
I miei lavori cinematografici dal 2000 sulle tematiche sociali, riguardano tutti personaggi e le storie che nascono dalla verità vissuta, per cui sono necessariamente a me affini: l’esperienza vissuta con Il Covid in prima persona, ha toccato temi quali la mancata remunerazione prolungata degli artisti, le ansie delle famiglie degli operatori sanitari coinvolti in prima linea, l’esigenza degli stessi di sacrificare, in nome di un giuramento professionale, la loro stessa vita difronte ad un nemico, in assenza di armi; con i ragazzi affetti da disabilità psichica, ho toccato temi come la solitudine, la dipendenza, l’abbandono, l’alterazione della realtà su base traumatica, ma anche la speranza nelle comunità terapeutiche, che sono una risorsa che andrebbe potenziata e valorizzata, remunerata, rispetto al lavoro fondamentale e gravoso che svolgono nel loro processo rieducativo dei propri ospiti; per arrivare a descrivere la sofferenza di chi vive nella malattia di un familiare e/o assiste le persone con difficoltà essendone cargiver: il sacrificio della propria quotidianità, l’empatizzare il proprio viscerale dolore, fino ad arrivare a svuotarsi emotivamente e a privare se stessi di ogni risorsa fisica ed intellettiva . Non potrei mai inventare, descrivere, raccontare una verità che non conosco, senza averla prima attraversata.
Un personaggio nel corso della tua carriera che ti ha creato difficoltà?
Uno spettacolo in teatro dove ho interpretato una donna con problemi di alcolismo e disagio familiare. Sono astemia. E nonostante lo studio fisico approfondito, specie dei senza tetto che, spesso presentano la problematica, delle loro movenze, dello sbiascicare delle parole, il non coordinamento motorio, non potevo conoscerne lo stato cognitivo e obnubilato reale. In quel caso, mi sono sforzata di essere credibile con la tecnica, ma nel rivedermi, mi rendo conto che non ho rappresentato la verità nella sua centralità ed essenza più pura.
Hai ricevuto numerosi riconoscimenti sia a carattere nazionale e internazionale. Qual’ è il segreto del tuo successo?
Non ho ancora fatto nulla, non posso parlare di alcun successo, solo di gratificazione personale, per essermi posta degli obiettivi di realizzazione filmica che veicolino dei contenuti di rilievo, che sono riuscita e che vorrei continuare a diffondere. Sono reduce, in questi giorni, da trasferte per un riconoscimento molto importante per me: dopo avere conseguito il premio come miglior tema spirituale per il film Uno di Fronte all’Altro, a Chianciano Terme, nel Festival Corto Fiction di Lauro Crociani, in Toscana, mi hanno conferito il campanile d’argento, premio della giuria in Lombardia, al Festival Cinematografico Internazionale dedicato alle devozioni, ad Ardesio, per mano del Direttore Artistico Roberto Gualdi e degli organizzatori Simone Bonetti, vicesindaco e Presidente di Vivi Ardesio e Fabrizio Zucchelli, ideatore e Presidente del Festival. Sacrae Scenae, è un evento finanziato dall’Unione Europea –Next Generation EU- e la cosa singolare, è che questo prodotto filmico, è stato realizzato in Puglia, nell’ambito di un Contest “4 giorni su se7”, con gli studenti del Liceo Artistico Federico II, a Corato, ideato dal direttore artistico Michele Pinto e sostenuto dall’Assessore alla cultura Beniamino Marcone e dal sindaco Corrado De Benedittis. Contesti, entrambi, dove si respira grande cultura cinematografica e la gestione è affidata a persone di eleate qualità umane e spiccate doti artistiche e professionali.
Sei definita dalla critica cinematografica “Attrice raffinata e anima nobile. Guru di tematiche sociali”. Quanto è importante per te questo tipo di filoni cinematografici che ti portano a ricoprire ruoli difficili e spesso dolorosi?
Per me è fondamentale parlare delle tematiche sociali, perché è la realtà che viviamo. Spesso ignoriamo, nel nostro vissuto, tra le mura, il disagio e i problemi che possono vivere e affrontare quotidianamente le persone. Almeno fino a quando non arriviamo ad attraversare anche noi lo stesso problema. Lo scatto migliorativo, sta proprio nel condividere cio’ che, se viene affrontato nella comunità come il problema di uno, se preso in carico, diventa la soluzione per tutti. Sono molto vicina infatti, ai diritti che, ancora oggi, nella società, stentiamo a considerare un dovere, come per esempio l’abbattimento delle barriere architettoniche per i disabili. C’è un egoismo dilagante nel benessere e nessuno si pone mai nella prospettiva, nell’ottica, del di chi vive una difficoltà e non possa fruire agevolmente di qualsiasi cosa sia nel mondo.
Progetti futuri?
Dall’incontro con una ragazza affetta da una malattia genetica rara, ne è scaturita una sceneggiatura volta a sensibilizzare la malattia dalla quale è affetta, l’atassia di Friedreich. Ho avuto modo di intervistare la ragazza e la sua famiglia, per mettere in evidenza le diverse fasi: i sintomi, la diagnosi, la comunicazione della diagnosi, le fratture in famiglia, l’assestamento, le barriere architettoniche, il rapporto con l’affettività di coppia, la ricerca, la speranza, il legame madre-figlia. La ragazza stessa sarà la protagonista del film, evidenziando la dura verità della malattia e delle sue complicanze evidenti. E’ fondamentale trovare i fondi che mi sto impegnando a richiedere ad enti che hanno, nel proprio budget, la possibilità di sponsorizzare attività di riconosciuto valore sociale. Diverse associazioni che accolgono le famiglie dei pazienti affetti dalla malattia, nel supporto quotidiano, hanno già aderito come patrocinio non oneroso al progetto. Mi piacerebbe che di questa problematica di salute, si parlasse e si sapesse, anche e soprattutto, per incentivare la ricerca rispetto a malattie della quale sono affette pochissime persone rispetto alla globalità.