Benvenuto Presidente Nicolella, ci parla del ruolo importante della Corte dei conti nel suo lungo percorso professionale?
Il mio percorso lavorativo è durato oltre quaranta anni.
Ho iniziato come segretario comunale, attività questa che mi ha consentito di
acquisire esperienza di problematiche gestionali e contabili a largo raggio e di
conoscere la macchina amministrativa e i meccanismi che ne regolano le
scelte.
Preciso questa circostanza perché l’accesso alla Magistratura contabile avviene tramite un concorso di secondo grado, per il quale è prevista la presenza di specifici requisiti professionali alternativi, nel mio caso il possesso di almeno cinque anni di anzianità di servizio a tempo indeterminato nella Pubblica amministrazione
Transitato nel 1988 nei ruoli della Corte dei conti, ho ricoperto posti di
funzione sia nell’area giurisdizione che nell’area controllo, che rappresentano
le due anime dell’Istituzione.
Nel secondo settore mi sono occupato, tra l’altro, dell’analisi dei rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea (è noto che il bilancio comunitario è finanziato dai Paesi membri con versamenti calcolati in base al gettito delle singole operazioni doganali, ovvero sulla scorta di metodologie di stima
macroeconomiche riferite all’IVA e al Reddito nazionale lordo) e dei rapporti
di collaborazione con la Corte dei conti europea in relazione alle visite di
controllo disposte da questa Istituzione in territorio italiano.
In giurisdizione, settore nel quale ho esercitato la mia prevalente attività, ho
svolto funzioni giudicanti in primo grado e in appello.
In ultimo, ho svolto le funzioni requirenti di Procuratore regionale,
occupandomi anche delle requisitorie in sede di giudizi di parificazione dei
rendiconti dell’Amministrazione regionale di riferimento.
L’esperienza in un ambito professionale così ampio ed eterogeneo mi ha fatto
maturare una convinzione che ritengo guida decisiva nel mio modello lavorativo: ho cercato, invero, di porre sempre al centro delle mie analisi la verifica completa, obiettiva e indipendente dei fatti, ritenendo che questa metodica sia la premessa ineludibile per giungere al successivo corretto inquadramento della fattispecie in termini giuridici.
In quali casi si parla di danno erariale?
Il danno erariale, in estrema sintesi, è un pregiudizio di natura patrimoniale
(danno emergente o lucro cessante, in ultimo anche lesione all’equilibrio
economico e finanziario) ovvero non patrimoniale (lesione all’immagine),
causato alla Pubblica amministrazione da un soggetto legato alla medesima da
un rapporto di servizio, cioè da un legame qualificato nell’ambito del quale
emerge la condotta illecita.
Questa è, come appare evidente, la definizione della componente oggettiva
della fattispecie (il pregiudizio, appunto), accanto alla quale si pongono gli
altri elementi costitutivi, tra i quali in particolare la natura della condotta
tenuta.
Procedendo per estrema sintesi, la qualificazione del comportamento
riprovevole ha sempre posto minori difficoltà nelle fattispecie dolose, per le
quali aveva particolare rilievo stabilire se il funzionario avesse voluto la
condotta illecita, ovvero – in altra ottica - se fosse necessario accertare che vi
fosse stata anche la volontà delle conseguenze pregiudizievoli della condotta
medesima.
Questa seconda opzione è stata recepita dalla recente legislazione
emergenziale del 2020.
In caso di colpa, ha sempre presentato maggiori difficoltà l’indagine sul grado
della medesima al di sotto del quale non si potesse affermare la responsabilità
dell’agente pubblico; o, per meglio dire, il rinvenimento in concreto, nelle
singole vicende esaminate, delle caratteristiche enucleabili dal paradigma
normativo.
L’indirizzo legislativo, confermato dalle riforme degli anni ’90, ha operato la
scelta di escludere dall’obbligo risarcitorio le condotte caratterizzate da
minore colpa, quasi che le stesse costituissero una fisiologica evenienza nel
complessivo andamento della complessa macchina burocratica.
Fissata quindi la soglia riprovevole nella colpa grave (caratterizzata da
inescusabile negligenza/imprudenza/imperizia) e precisato che il nostro
sistema non contiene una puntuale tipizzazione delle singole fattispecie
dannose, è evidente che è rimessa all’accorto apprezzamento del Giudicante
l’analisi di tale presupposto (colpa grave, appunto), potendo altrimenti
insorgere da un eccessivo ampliamento della casistica il fenomeno della
cosiddetta “paura della firma”, di grande attualità.
In Giurisdizione chi sbaglia paga, ma quando è il Giudice a sbagliare, cosa accade, come agisce la Corte dei conti in merito?
La responsabilità del magistrato assume rilievo anche sotto i profili penale e
disciplinare.
La domanda posta investe più direttamente la responsabilità civile del
magistrato nell’esercizio dell’attività giudiziaria, per danni sia patrimoniali, sia
non patrimoniali da lesione dei diritti inviolabili della persona anche diversi
dalla libertà personale (come ha precisato in ultimo la Consulta con la
sentenza n. 205/2022).
La relativa disciplina, introdotta nel 1988 dalla cd. legge Vassalli e riformata
nel 2015, conserva quale cardine essenziale il carattere indiretto di tale
responsabilità, nel senso che l’azione si propone innanzi all’Autorità ordinaria
nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri.
A questa fase segue, poi, l’azione obbligatoria di rivalsa della Presidenza del
Consiglio dei ministri nei confronti del magistrato, sempre innanzi al Giudice
ordinario.
Al riguardo va ricordato che non può dar luogo a responsabilità l attività di
interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle
prove; inoltre, che vi è un importante temperamento nei limiti posti alla soglia
economica del risarcimento, fissato con riguardo allo stipendio annuo del
magistrato e liquidato in relazione alla tipologia della vicenda.
Le ragioni su cui si fonda l’azione risarcitoria, invero, spaziano dal dolo alla
colpa grave (precisata quest’ultima dal Legislatore quale violazione manifesta
della legge o del diritto dell Unione europea; travisamento del fatto o delle
prove; affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa
dagli atti del procedimento ovvero negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; emissione di un
provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge
oppure senza motivazione) ed, infine, al diniego di giustizia (inteso quale
omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio).
Per quanto riguarda le competenze della Corte dei conti, la normativa vigente
ha fatto espressa salvezza della responsabilità censurabile innanzi al Giudice contabile, dovendosi ritenere che rientrino in tale ipotesi quei pregiudizi che si accompagnino ad aspetti più propriamente amministrativi dell’attività degli Uffici giudiziari.
Richiamo, a titolo esemplificativo, due fattispecie tipiche:
1) la condanna del Ministero di Giustizia o di altro Plesso giudiziario al
risarcimento dei danni derivanti dalla irragionevole durata dei processi, in
violazione del principio sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo e dall’art. 111 Costituzione quale corollario del principio del c.d. giusto processo.
L’Autorità giudiziaria ordinaria, innanzi alla quale si celebrano le relative
procedure, trasmette alle Procura contabili regionali le decisioni assunte, per
il riscontro di ogni responsabilità che possa emergere;
2) le irregolarità emerse in sede ispettiva nella determinazione del compenso
spettante a consulenti del Pubblico ministero.
Ci illustra un suo pensiero sulla giurisdizione italiana e come può migliorare?
Rimanendo nel campo della giurisdizione contabile, devo dire che il codice
approvato nel 2016, come modificato nel 2019, ha recepito i principi già
enucleabili dalla Carta costituzionale, riguardanti la parità delle parti, il
rispetto del contraddittorio e la realizzazione del giusto processo; inoltre ha sancito a carico sia del Giudice contabile (indipendente e terzo), che delle parti (Requirente e convenuti), un obbligo di cooperazione per il raggiungimento
della ragionevole durata del processo.
Vi sono statuizioni, che qui richiamo solo genericamente, intese soprattutto a
ribadire il carattere “obiettivo” dell’attività del Requirente erariale e a riaffermare la terzietà della posizione del Giudicante.
Venendo alla domanda, auspico che possa trovare ingresso nel processo contabile una figura analoga a quella del Giudice penale delle indagini preliminari, che verifichi le richieste delle Procure regionali intese sia alla chiamata in giudizio dei presunti responsabili, sia all’archiviazione delle posizioni degli indagati.
Mi rendo conto che l’istituzione di tale fase trova ostacolo nel ridotto organico
di magistratura previsto dal ruolo della Corte, ma certo la sua attuazione
determinerebbe un ulteriore rafforzamento delle posizioni di obiettività e terzietà che ho richiamato.