“Da sempre sento che le parole, e non solo in poesia, sono le mie stanze e le stanze, si sa, hanno angoli bui.” – Antonietta Fragnito
Parole come stanze i cui significati simboleggiano gli angoli bui. Con questa riflessione Antonietta Fragnito ci fa immergere nel suo stato mentale di “contenitore di significati” nel quale le parole vengono centellinate e selezionate accuratamente così come un pittore, nella sua tavolozza, cerca di giungere alla gradazione di colore di cui ha immagine solo nella mente.
“Fare il pane/ Impastare il pensiero/ Addomesticare le cose// La credenza mi rotola nel palmo/ Una capinera fugge da una canzone/ e mi salta in petto// Mia madre che ricama nel cimitero” – “Il pane”
“La rosa, la cosa, l’anarchia del verso” è stato pubblicato a gennaio 2022 dalla casa editrice Tomarchio Editore ed è ormai prossimo a seconda ristampa. È la seconda raccolta poetica dell’autrice, risultato di un premio assegnato dalla casa editrice siciliana per la migliore poesia nella Seconda edizione del Contest Free Poetry.
Antonietta Fragnito si è mostrata molto disponibile nel rispondere ad alcune domande non solo inerenti alla sua pubblicazione ma anche sulla sua vita e sulle sue esperienze. Buona lettura e buona poesia!
A.M.: Ciao Antonietta, sono lieta di poter dialogare con te per presentare ai lettori la raccolta poetica “La rosa, la cosa, l’anarchia del verso”, ma prima facciamo un passo indietro: quando hai sentito la necessità di scrivere in versi?
Antonietta Fragnito: Ciao Alessia, grazie, mi fa davvero piacere presentarmi e presentare i miei versi. La mia necessità di scrivere è venuta alla luce a seguito di un evento molto doloroso: la perdita del mio amato marito. È stato allora che la scrittura si è presentata a me, mi ha preso in braccio, mi ha offerto lenimento. Ora posso affermare che le mie ere esistenziali sono due: la prima senza poesia, la seconda assieme alla poesia. Quando ho iniziato a scrivere ho sentito che mi veniva offerta una possibilità, ed è vero perché in questi anni di immersione nella scrittura, ho potuto conoscere la fibra più nascosta della parola. Questa presa di coscienza ha generato un rivoluzionario cambiamento in me. Io sento che la parola ha il potere lenitivo del canto, specie quando si aggrega e genera poesia. L’essenza della poesia è in questo: la scrivi, la leggi, la rileggi e poi magari la consegni ad un libro. Il libro ingiallisce, il verso no! Il verso intriso di lirica rimane giovane per sempre. Tornando agli esordi del mio scrivere, essendo una persona riservata, mi risultava assai difficile espormi sulla pagina. Ma poi è successo! Ho preso coraggio e ho scavalcato il cancello. Da quel momento è iniziato il mio viaggio nell’abisso della bellezza, non tanto per la mia personale ispirazione, quanto per l'apertura ad un processo di nutrimento artistico che evolve anche tramite la rilettura dei poeti del passato e la conoscenza di attuali e validi artisti del Web.
A.M.: Nella prefazione del libro racconti del titolo che originariamente avresti voluto dare alla raccolta: “Lievito padre”. Che cosa rappresentava per te quel titolo e che cosa rappresenta invece quello che poi si è scelto?
Antonietta Fragnito: Il primo titolo “Lievito padre” esercita su di me ancora oggi molto fascino perché sono convinta che l'amore genitoriale abbia svolto nella mia infanzia la funzione che ha il lievito nell'impasto. Non a caso, alcune poesie del mio libro sono una sorta di pagine epiche celebrative di mia madre e mio padre, delle loro gesta contadine, tanto simili ai voli bassi delle api operaie! Aprendosi poi il libro a numerose altre mie note intime, ho capito che il titolo non era più quello a lungo agognato, che in me ne era germogliato un altro, con un nome nuovo, fascinoso, onirico, poeticamente delirante: “La rosa, la cosa, l'anarchia del verso”. Queste parole un giorno mi sono balzate in mente di colpo ed io mi sono precipitata ad appuntarle per non disperderle. Il titolo definitivo di un libro comunque ha sempre insito lo stesso accorato turbamento che accompagna la decisione del nome da dare al proprio figlio. Un figlio lo vuoi felice, aperto al bello, ma anche ancorato alla terra e soprattutto lo vuoi libero. Questo libro ha in sé questo stesso genere di manifesto: è votato all’estasi, alla filosofia tattile e ideale, al volo anarchico della poesia.
A.M.: In apertura troviamo una citazione di Pier Paolo Pasolini di cui si celebrano proprio quest’anno i cento anni dalla nascita; i versi che hai scelto sono: “Tu sei come una pietra preziosa che viene/ violentemente frantumata in mille schegge per poter/ essere ricostruita di un materiale più duraturo di/ quello della vita, cioè il materiale della poesia.” Come mai proprio questi versi?
Antonietta Fragnito: La citazione che ho scelto costituisce per me il quadro della naturale simbiosi tra poesia, vita e amore: tre elementi che impregnano fortemente anche la mia scrittura. Di forte impatto lirico, nella citazione, è il parallelo donna, poesia e pietra preziosa, come pure assai affascinante è la metafora della poesia che ricompone la frantumazione. Nel variegato insieme delle diverse produzioni artistiche di Pasolini bisogna convenire che un posto di rilievo ha la poesia. Mi piace qui riportare queste frasi che danno la misura del rapporto poeta poesia. Pasolini afferma: “… ho cercato lo scandalo che sempre dà la poesia, attraverso lo scandalo che può dare la sincerità…” E ancora: “… per essere poeti, bisogna avere molto tempo: ore e ore di solitudine sono il solo modo perché si formi qualcosa, che è forza, abbandono, vizio, libertà, per dare stile al caos…” La scelta di allacciare la figura di Pasolini al mio libro credo stia nel sentire intensi alcuni palpiti del Poeta, specie quelli dolorosi a me un po' consanguinei! E certi moti di ribellione per certe incongruenze del reale che pure mi appartengono. Nel leggerlo, penso alla mia solitudine affollata nel rapportarmi a schemi vuoti e limitativi, a rituali sociali, a situazioni imposte che non condivido. Di Pasolini amo tutto: in primis la sua poetica, ma anche il suo ecclettismo. Sento di volerlo qui omaggiare, ricordando che egli fu scrittore, poeta, regista, pensatore, filosofo, profeta del degrado sociale e ambientale del suo tempo e di quello a venire. Denunciò con forza il consumismo imperante e pressante, l'alienazione di certi ambienti lavorativi, lo sfruttamento dei deboli e del sottoproletariato. In lui si fusero arte e realismo e, in quanto cineasta, rappresentò scenicamente la vita come se la pellicola nelle sue mani potesse divenire lo specchio della realtà. Nella scrittura, come pochi, attuò la rivoluzione del linguaggio, proteso sempre sul piano di una comunicazione diretta, scevra da maschere e dissimulazioni. Il suo viaggio nel mondo è stato troppo breve rispetto alla sua arte! E la tragedia che lo colpì, così efferata, lo rende tragicamente stanziale nel mio cuore e nel ricordo di tutti.
A.M.: Nella poesia “La stanza” si legge: “Non sto pensando alle parole/ Le parole sono stanze/ Penso invece ai miei fantasmi/ Sono una che frequenta il buio dell'anima/ Ogni poeta è un aldilà”. Che cos’è “il buio dell’anima”?
Antonietta Fragnito: Da sempre sento che le parole, e non solo in poesia, sono le mie stanze e le stanze, si sa, hanno angoli bui. È questa una lirica di segno esistenziale, dove metto in atto un tentativo di esplorazione dell'inconscio. In parole più esplicite, qui io immagino la mente come un grattacielo con infiniti piani, con la massima tensione verso l'alto, però giù in cantina rimane appostato il buio. Per buio intendo l'ombra, non solo quella che governa gli istinti e i bisogni primordiali umani, ma anche l'altra, quella proiettata dal grigio delle illusioni occultate, quella dei sogni leciti negati, censurati dalle convenzioni, dalle mistificazioni, dai divieti ideologici e sociali. Sono certa che l'uomo sarebbe un essere assai più felice se potesse estrinsecarsi liberamente, al di fuori di tanti muri innalzati. Credo che troppe volte siamo costretti a ricercare luoghi interiori più confortanti per sfuggire a una realtà avara, di dover riparare in dimensioni intime dove poter trovare qualche forma di conciliazione con i nostri fantasmi. Credo poi che alcune parole – stanze – possono essere pura geografia di luminosità o di nero, all'interno delle quali brancoliamo o ci confortiamo. Si sa che l'ingerenza dell'ombra in noi è una costante, data la nostra imperfezione. Il poeta cerca di sorvolare i luoghi soffocanti dell'anima e si fa costruttore di squarci di paradiso nella declinazione del verso. Tale presa di coscienza mi ha portato ad affermare che ogni poeta è un aldilà.
A.M.: “Succede spesso/ di tramutare qualcosa in qualcos'altro/ Come sostituire il gesto alla parola/ O il pensiero all'azione/ […]”: con questi versi principia“Spettinata”. La poesia prosegue con la traccia di una relazione d’amore tra un uomo ed una donna. Perché, secondo te, l’essere umano ha la facoltà di “tramutare”, può essere anche una sorta di dissimulazione?
Antonietta Fragnito: In questa poesia viene visitato il luogo del travestimento mentale, delle dissimulazioni che usiamo quando viviamo momenti emozionali forti che si possono manifestare tramite le illusioni, la personificazione di luoghi e oggetti, i desiderata, i sogni. Per descrivere, esprimere tali stati intimi, questa poesia si colora di folcloristiche immagini esemplificative di tali processi. Ne consegue che delle magie accadono nei suoi versi. E succede di telefonare senza apparecchio a tutte le ore, di compiere gesti sostitutivi di una qualche intenzione, come avviene quando i due amanti si danno appuntamento seduti in poltrona in due case differenti. E viene proiettata l'immagine di lui che si aggiusta la cravatta solo a pensarla la donna e quella di lei che si trucca di tutto punto per non farsi sorprendere discinta nell'incontro fantasma con l'uomo. Una poesia questa acrobatica, apparentemente scissa dall'oggetto esterno, ma ad esso fortemente allacciata oniricamente.
A.M.: Com’è stata l’esperienza con la casa editrice Tomarchio Editore? La consiglieresti?
Antonietta Fragnito: Voglio parlare dell'esperienza con la casa editrice Tomarchio Editore partendo da un racconto. Era una sera un po' noiosa. Stavo sfogliando distrattamente Facebook, quando mi apparve l'annuncio della seconda edizione del contest “Free Poetry” promosso da Oubliette Magazine. Apro, vedo che è gratuito e mi dico: “Perché no? Ora mando qualcosa!” Cerco fra i miei scritti, poi di colpo mi ricordo di questa poesia che amo molto:
“Ho steso un fazzoletto di te sull'erba
Ti ho perduto in una tazza di terra
Ora le margherite ti allacciano le scarpe”
Faccio il copia e incolla e invio.
Dopo qualche mese, un'amica, tramite Messenger, mi dà notizia della mia vittoria al Contest! Avevo perfino scordato di aver partecipato! Da quel momento mi si è aperto davanti un mondo. In pochi mesi è nato questo mio secondo libro di poesie, frutto del premio, della meritocrazia perseguita dalla Casa Editrice. Elaborare la raccolta è stato semplice e perfetto perché un lait motiv emozionale mi ronzava in testa come un tam tam! Questa avventura di scrittura, questa acrobatica rincorsa ad afferrare la mia poesia interna più vera e ancestrale è stata supportata e rinforzata dalla umana presenza, dalla genialità e serietà mostrata da te Alessia, persona di grande competenza editoriale. Mi hai affiancato con partecipazione nella realizzazione dell'opera. A te va il merito dell'avermi indirizzata e della scelta della romantica copertina!
“La rosa, la cosa, l'anarchia del verso” sta riscuotendo tra i lettori un'attenzione viva e inaspettata che mi riempie di gioia! Ringrazio tutti coloro che hanno richiesto e chi ancora vorrà ricevere la mia raccolta di poesie. Mi è spontaneo aggiungere che la Tomarchio Editore è una Casa Editrice che assolutamente consiglio: per l'affidabilità, per la promozione fattiva delle opere, non ultima per la cura, la qualità della veste editoriale delle sue pubblicazioni.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Antonietta Fragnito: “Il sogno è una costruzione dell'intelligenza, cui il costruttore assiste senza sapere come andrà a finire.” – tratta da “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese
A.M.: Antonietta ti ringrazio per la profondità che hai mostrato in queste risposte e ti saluto anche io con Cesare Pavese con una citazione tratta da “Dialoghi con Leucò” e precisamente dal dialogo “L’isola” che vede come protagonisti Calipso ed Odisseo: “Immortale è chi accetta l’istante.”
Written by Alessia Mocci
Info
Acquista “La rosa, la cosa, l’anarchia del verso”
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